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Sui pericoli del TAFTA e gli equivoci del femminismo

di Franco Cardini - 09/06/2014

Fonte: Franco Cardini


Metto insieme, su sollecitazioni della mia “vecchia” amica Laura Messeri Pallini, alcune considerazioni provocatorie e reazionarie a proposito della “filosofia del gender” che va tanto di moda e che molti considerano un tabù; del femminismo che secondo alcuni è una specie di ideologia ormai acquisita e irreversibile e secondo altri (che però non osano dirlo) un noiosissimo luogo comune che è pericoloso mostrare di non condividere; e del nostro sistema d’informazione ormai diffuso a livello mondiale e sostenuto da potentissime lobbies, che è un vero e proprio “sistema della menzogna” che ci tiene sempre aggiornati sugli ultimi exploits di Angelina Jolie mentre nasconde accuratamente le foto di papa Francesco in visita nel Vicino Oriente mentre sosta in preghiera dinanzi al Muro che separa gli israeliani dai palestinesi, e mostrar il quale è evidentemente considerato non politically correct, mentre evita di darci particolari e addirittura perfino di nominare il cosiddetto TAFTA, Transatlantic Free Trade Area, un accordo economico, commerciale e finanziario che sta per coinvolgere gli interi continenti americano ed europeo stipulato passando sulla testa dei popoli ignari. E’ significativo che solo la versione francese di Wikipedia se ne parli un po’ di più, dato che tale tema è stato in Francia usato molto durante le recenti elezioni europee. Le critiche principali rispetto a tale mostruoso progetto riguardano le negoziazioni segrete (i cittadini non hanno avuto accesso nelle fasi di discussione ai documenti relativi agli accordi, mentre i rappresentanti legali delle corporations “multinazionali” sì); la possibilità per le imprese di citare in giudizio gli stati, la politica dei quali dovesse intralciare le loro attività commerciali anche quando si tratti di politiche riguardanti i pubblici interessi (casi di tal genere si sono già verificati in alcuni paesi dell’ex “Terzo Mondo”, espressione desuete che indica paesi di serie B verso i quali ci stiamo allegramente dirigendo a rientrare anche noi italiani: la canadese Pacific Rim ha per esempio fatto causa al governo del Salvador che ha le rifiutato la licenza per estrarre l’oro sul suo territorio); la deregulation relativa alla normativa sugli scambi commerciali (in pratica non ci sarà più possibilità di rifiutare l’immissione nei nostri mercati, ad esempio, di OGM o di prodotti di bassa qualità provenienti ad esempio dagli USA, con gravissimo danno per i nostri produttori di beni di qualità che si vedranno distrutti dalla concorrenza di prodotti pessimi o addirittura nocivi ma a bassissimo prezzo. Siamo, nella pratica, alla distruzione di quel che resta della sovranità degli stati e quindi alla cancellazione in apparenza indolore della libertà, della dignità e della tutela dei cittadini. Sarà interessante vedere come, nel prossimo semestre, l’Italia del presidente Matteo Renzi – che otterrà per il luglio-dicembre 2014 la presidenza della Commissione Europea, cioè di quell’istituzione dell’Unione Europea che dovrebbe vagamente somigliare a un governo, se l’Unione fosse davvero un’entità politica – reagirà a questo tremendo pericolo che incombe direttamente sulle nostre famiglie perché la TAFTA inciderà pesantissimamente sui costi e sulla qualità della spesa quotidiana che ci portiamo a casa.

Dico tutto ciò per mettere in guardia le signore e le signorine che stanno leggendo queste righe: se i loro e i nostri problemi fossero tutti quelli relativi alla par condicio, alle “quote rosa” o perfino alla pur seria e tragica questione della violenza contro le donne e delle culture che la rendono possibile e in qualche caso addirittura legittima, potremmo comunque ritenerci relativamente tranquilli. Il fatto è che a minacciarsi tutti – uomini, donne, transessuali, vecchi, bambini -, indipendentemente dal nostro sesso, gender, razza, nazionalità, religione, lingua e condizione socioeconomica, c’è di peggio.

Tutto ciò è, per le donne, un invito a non commettere l’errore consistente nell’isolare i loro problemi di sesso e di gender dal più generale contesto in cui essi vanno collocati. Esiste, da parte della “Banda Bilderberg” e di tutti i signori (tra cui ci sono anche alcune signore) delle lobbies multinazionali che dirigono il pianeta senza assumere responsabilità di governo ma prendendone tutti i vantaggi e i profitti, la precisa volontà d’ingannarci proponendosi di continuo, attraverso i media, falsi o parziali obiettivi contro i quali mobilitarci. Un solo esempio: il fondamentalismo islamico. Avete notato che, dopo averne parlato intensamente e di continuo soprattutto dai tempi degli attentati dell’11 settembre 2001 in poi, il fantasma-al Qaeda è misteriosamente uscito dalle cronache giornaliste e televisive internazionali (da quando, con le crisi libica e siriana dal 2011 in poi, i gruppi fondamentalisti musulmani sono serviti ai disegni destabilizzatori occidentali, statunitensi e inglesi ma soprattutto francesi, per modificare l’assetto politico del mondo arabo e del Vicino Oriente), salvo rientrarci proprio negli ultimi giorni in seguito all’attentato compiuto da un cittadino francese d’origine araba al Museo Ebraico di Bruxelles. Attenzione: perché l’iperdisinformazione relativa al “problema della donna” fa parte di questa complessa e precisa manovra diversiva che c’impedisce di veder chiaro nella cose che succedono al mondo.

Di ciò, fornisco in extenso un altro esempio di mistificazione mediatica: ai primi del giugno 2014 i giornali italiani hanno pubblicato la notizia dell’omicidio di una giovane donna in Pakistan: “È stata circondata e lapidata da un gruppo di persone, tra cui suo padre e suo fratello, e «punita» per quella che i suoi familiari consideravano una «colpa»: aver sposato un uomo scelto da lei e non da i suoi parenti”, abbiamo letto sul “Corriere della sera”. Da parte sua, “Repubblica” ha aperto con la notizia: “Una donna pachistana incinta di tre mesi è stata lapidata a morte dalla sua famiglia perché aveva sposato l'uomo che amava. … La donna, una 25enne di nome Farzana Parveen, era convolata a nozze con Mohammed Iqbal con cui era fidanzata da anni nonostante l'opposizione della famiglia di lei”.

Insomma: il matrimonio d’amore contro quello combinato eccetera; le donne vittime della violenza maschile e via dicendo; nonché, nei forum ospitati dai giornali, il solito alto e forte ragliare contro l’Islam oscurantista. Peccato che l’essenziale sia stato taciuto.

Torniamo allora su quella tristissima vicenda per aggiungere qualche particolare che i giornali italiani si sono dimenticati di raccontare, svelti come sono a dare una notizia per poi passare alla successiva senza alcun approfondimento; ed esperti nel fornire particolari secondari tacendo o falsando l’essenziale, secondo la tecnica del “montaggio” esemplarmente illustrato anni fa da Vladimir Volkoff (che veramente esaminava la tecnica della menzogna usata in Unione Sovietica, molto primitiva e grossolana e anche molto meno disonesta da quella usata dai media controllati dal “Gruppo Bilderberg”).

Il marito scelto per amore dalla povera Farzana Parveen si chiama Muhammad Iqbal: egli, qualche anno fa, aveva strangolato la prima moglie per poter essere a sua volta libero di sposare la sua nuova fiamma; aveva fatto per questo un paio d’anni di carcere ed era stato rilasciato (anche qui, le circostanze sulla base delle notizie in nostro possesso non sono chiare: probabilmente aveva ottenuto una grazia, magari sulla base del perdono della famiglia della donna uccisa come accade nella legislazione di alcuni paesi musulmani).

Farzana conosceva bene la storia di Mohammad, ma evidentemente non la riteneva un ostacolo al mantenimento dei suoi rapporti con lui: il che dovrebbe sempre ricordarci come le notizie relative a paesi tanto diversi dal nostro andrebbero sempre rigorosamente inquadrati nel contesto di una cultura che appare condivisa dagli uomini e dalla donne, che è tanto maschile quanto femminile. La stessa famiglia di Farzana Parveen in realtà non era contraria al suo matrimonio con un uxoricida, sul quale c’era iniziale accordo; senonché il padre di lei aveva domandato un prezzo alto (la dote nei paesi musulmani la portano gli uomini), che Iqbal aveva promesso di versare ma poi omesso di pagare. Per questo era partita da parte della famiglia di lei la denuncia contro di lui, considerabile – dal momento che non aveva corrisposto il prezzo convenuto per le nozze – come reo presunto di rapimento nei confronti di Farzana; la quale, quando è stata uccisa dai familiari, era diretta in tribunale a difendere lo sposo da un’accusa che egli – uxoricida e inadempiente rispetto agli impegni presi con i familiari della promessa sposa – non meritava, quella di essere appunto un rapitore. Dietro alla morte della donna, dunque, nessuna orribile storia di fanatismo religioso: solo una squallida storia di soldi e d’interesse.

In tutto questo, che cosa centra l’Islam? Tahir Ashrafi, la guida del Concilio pakistano degli Ulema, ha emesso una fatwa condannando qualunque forma assassinio di donne, compresi quelli commessi per ragioni “d’onore”. La ragione della fine orribile di Farzana Parveen risiede semmai nel fallimento dello stato pakistano, incapace di far rispettare la legge sul proprio territorio dove allora prevalgono i costumi tribali, a loro volta corrotti dall’instabilità sociale e dalla povertà che affliggono il paese. Ma in questa incapacità di un governo indebolito dai colpi di stato, dalla guerra perenne nel vicino Afghanistan, dalla tensione continua con la vicina India per il Kashmir, gli occidentali non hanno nessuna colpa? Magari da quando hanno cominciato a utilizzare il Pakistan come base per controllare la regione, favorendo costantemente i personaggi e i governi più corrotti mentre lasciavano intanto anche lì via libera, come più tardi in Siria, ai dollari e all’influenza del fondamentalismo proveniente entrambi dell’Arabia Saudita e del Qatar, fedeli alleati degli Stati Uniti e del Libero Occidente anche se non loro paese non c’è democrazia e di pratica estesamente la pena di morte? Arabia Saudita e Qatar, responsabili di una crudele fitna (“guerra interna all’Islam”) contro gli sciiti che negli ultimi anni è stata una delle ragioni fondamentali dell’instabilità del Vicino Oriente?

Di tutto ciò, tuttavia, i nostri media e chi li controlla ritengono che non il caso di parlare: tantopiù che con l’Arabia Saudita e il Qatar si fanno fior d’affari. E allora, a proposito del “pasticciaccio bbrutto” (come lo chiamerebbe Emilio Gadda) di Farzana Parveen, meglio trasformare quella povera donna vittima probabilmente del proprio cieco amore e della brutale avidità dei suoi familiari in un’eroina della libertà femminile uccisa da fanatici religioso-tribali: una storia utile a scandalizzare per qualche minuto i lettori benpensanti e ribadirli nella loro semplicistica convinzione che tutti i mali del mondo derivano dal pregiudizio, dalla mancanza di democrazia eccetera eccetera. E non magari anche dal dilagare della peggior malattia contagiosa che l’Occidente moderno ha diffuso in tutto il mondo, l’egoismo individualistico e la fame di profitti.

Infine, dal momento che non sono abbastanza sicuro di aver ababstanza scandalizzato, aggiungo una considerazione marginale, una specie di cigliegina avvelenata sula torta già tossica che vi ho or ora ammannito. Qualcuno avrà notato che, a proposito della povera Farzana Parveen, ho di proposito evitato il ridicolo neosostantivo “femminicidio”. E ciò non perché io sia un maschilista o comunque un antifemminista: ma semplicemente in quanto sono persona di buon senso e che tiene per giunta alla difesa anche etimosemantica della propria lingua.

Il termine “omicidio” deriva come tutti sanno dal latino homo, “uomo”, che però – nonostante nell’uso comune della lingua italiana la parola “uomo” e quella “maschio” si equivalgano – significa propriamente non già “essere umano di sesso maschile”, bensì “appartenente al genere umano”. Nella Bibbia, è detto che “Dio creò gli uomini a norma della Sua immagine, e norma dell’immagine Dio li creò, maschio e femmina li creò” (Genesi, 1, 27). Ora, nella lingua italiana la parola “omicidio” significa propriamente “uccisione di un appartenente al genere umano”: maschio o femmina che la vittima sia. Poiché non esiste e mai è esistito nella nostra lingua la parola “maschicidio”, illegittimo è il neologismo “femminicidio”. Così è, se vi pare. Il resto è terrorismo lessicale e cattivo gusto.

Care signore e signorine, continuate la vostra battaglia: vi faccio i migliori auguri di successo. Ma non fermatevi alle apparenze; non lasciatevi ingannare dalle etichette. Il mondo d’oggi è molto più complesso di quanto la propaganda di alcuni esagitati gruppi iperfemministi non voglia farci credere. La battaglia per l’equità nei confronti delle donne non si vince se combattuta solo in quanto tale, ma se inserita in un contesto che vede ancora il mondo intero lontano dal soddisfacimento di quelle famose “quattro libertà” individuali e collettive che alla fine della prima guerra mondiale il presidente statunitense Woodrow Wilson sosteneva di ritenere un obiettivo fondamentale per l’intero genere umano e che da allora sono rimaste quasi lettera morta, sia pure in modo diverso da paese a paese: due “libertà di” (di parola e di pensiero) e due “libertà da” (dal bisogno e dalla paura). E attenzione: perché nei paesi considerabili ancora – nonostante la crisi attuale – parte della “società del benessere” (che comprende, sia pure con spaventose sperequazioni interne, appena un miliardo degli ormai sette che popolano il mondo: che riguarda cioè solo circa il 7,50% degli abitanti del pianeta) ci si preoccupa soprattutto delle libertà del primo tipo (quelle di), che in realtà il resto del globo considera un inarrivabile lusso in quanto ancora preoccupato da quelle del secondo tipo (quelle da). Considerate, carissime amiche, che il bisogno e la paura sono strettamente collegati in quanto la mancanza di giustizia distributiva genera il bisogno che, per essere soddisfatto, può ricorrere anche alla violenza, e da qui si genera la paura. Chi teme i migranti che arrivano di continuo a Lampedusa dovrebbe capire che il problema non sussisterebbe se in Africa la gente non morisse di AIDS perché le lobbies farmaceutiche si ostinano a tenere altissimi i costi dei brevetti impedendo al diffusione di farmaci a prezzi abbordabili; se non morisse di fame perché le corporations multinazionali hanno diffuso le monoculture necessarie ad alimentare i nostri consumi (il caffè, l’ananas, i filetti di persico del lago Vittoria) distruggendo culture che fino ad alcuni anni fa erano in possesso dell’autosufficienza alimentare; se non morisse di sete in quanto si sta cercando, da parte di imprenditori occidentali in combutta con i corrotti governi africani, d’imporre altissimi costi di gestione della stessa acqua potabile che la gente dovrebbe pagare; se non morisse di miseria pur essendo nati in paesi dal sottosuolo ricchissimo perché le imprese multinazionali non la derubasse del suo oro, del suo uranio, del suo coltan, del suo petrolio, dei suoi diamanti con i quali si alimenta un sistema mondializzato – è questa la “globalizzazione” - retto dalle “ferree leggi del mercato” (!?) che punta alla sempre maggior concentrazione della ricchezza e quindi alla crescente proletarizzazione delle masse del pianeta. Questo problema, signore e signorine che siete donne per sesso o che tali vi sentite per gender, riguarda anche voi: come donne, come lavoratrici, come produttrici, come professioniste, come educatrici, come mogli, come sorelle, come madri, come studiose, come insegnanti, come intellettuali, come membri delle forze armate e della polizia, come casalinghe di Voghera o di qualunque altra città, come persone impegnate in politica o nel volontariato. Se non capite tutto questo, il vostro femminismo è solo una chiacchiera retorica da salotto o da circolo culturale. Franco Cardini