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Il capitale naturale, l’unico di cui non possiamo fare a meno

di Fabrizio Maggi - 07/07/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


Nella smania di monetizzare ogni aspetto dell’esistenza, abbiamo dimenticato di includere nei costi di produzione di beni e servizi la tassa occulta che ognuno di noi sarà costretto a pagare (in particolar modo le generazioni future), il mancato rinnovamento della capacità del pianeta di accogliere i nostri rifiuti e di fornire materia prima per i nostri prodotti e per le nostre esigenze fisiologiche.

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Se errare è umano ma perseverare è diabolico, siamo sulla buona strada per guadagnare la coda luciferina.
Attribuire un valore nullo a ciò di cui abbiamo più bisogno e gareggiare per stabilire chi se ne sbarazza più velocemente: miracoli del Prodotto Interno Lordo. 
Il capitale naturale, ovvero l’insieme delle risorse naturali e dei servizi che svolgono per noi e per il pianeta, è un patrimonio definito, esauribile, insostituibile. Eppure ci comportiamo come se fosse illimitato, rigenerabile all’infinito, insignificante. Nella smania di monetizzare ogni aspetto dell’esistenza, abbiamo dimenticato di includere nei costi di produzione di beni e servizi la tassa occulta che ognuno di noi sarà costretto a pagare (in particolar modo le generazioni future), il mancato rinnovamento della capacità del pianeta di accogliere i nostri rifiuti e di fornire materia prima per i nostri prodotti e per le nostre esigenze fisiologiche.

Una definizione più precisa del concetto di “capitale naturale” si trova nella Dichiarazione sul Capitale Naturale dell’Institute for Sustainable Development, dove viene definito come il capitale che “comprende i beni naturali della Terra (il suolo, l’aria, l’acqua, la flora e la fauna) ed i relativi servizi ecosistemici che rendono possibile la vita sul nostro pianeta. I beni ed i servizi ecosistemici derivanti dal Capitale Naturale equivalgono ad un valore superiore a milioni di milioni di dollari per anno e sono fonte di cibo, fibre, acqua, salute, energia, sicurezza climatica ed altri servizi essenziali. Né i servizi né gli stock di Capitale Naturale da cui derivano tali servizi sono adeguatamente valutati se confrontati con il capitale sociale e finanziario. Nonostante essi siano alla base del nostro benessere, il loro utilizzo quotidiano passa quasi del tutto inosservato nel nostro sistema economico.”
I servizi ecosistemici sono suddivisi in quattro categorie principali:

1)      Servizi di approvvigionamento (si pensi al sistema idrologico che garantisce la fornitura di acqua dolce.

2)      Servizi di regolazione (come la prevenzione dell’erosione del suolo e il mantenimento della fertilità della terra assicurati dalle foreste).

3)      Servizi culturali (l’innegabile piacere che deriva da una passeggiata nel verde).

4)      Servizi di supporto o habitat che garantiscono protezione alle specie animali e vegetali, assicurando la biodiversità.

L’unica certezza su cui si può scommettere è la nostra incapacità di sostituirci alla biosfera per fornire gli stessi servizi, incapacità manifestata in particolare da parte delle famiglie, delle imprese e dello Stato, gli unici attori degni di considerazione negli indicatori di riferimento sulla crescita economica.

Gettiamo via con noncuranza ciò che non siamo in grado di procurarci da soli con gli occhi puntati solo al portafoglio, senza pensare che i soldi sono solo mucchi di carta o stringhe in un sistema informatico. E tutto per appropriarci di beni che non ci sono di alcuna utilità.
Come sottolinea Herman Daly, “la crescita diventa anti-economica quando gli incrementi della produzione costano, in termini di risorse e benessere, più del valore dei beni prodotti. Una popolazione in crescita anti-economica arriva al limite di futilità, il punto in cui l’aumento dei consumi non aggiunge alcuna utilità; una crescita anti-economica produce rapidamente più mali che beni, e ci rende più poveri invece che più ricchi. Una volta superata la dimensione ottimale, la crescita diventa ottusa nel breve periodo e insostenibile nel lungo. Volendo, noi possiamo incrementare ulteriormente la produzione, ma questi incrementi costano, in termini di risorse e benessere, più del valore dei beni prodotti. L’ulteriore crescita del PIL non fa aumentare il benessere, ma lo blocca o lo riduce.”

Una delle soluzioni di maggior buonsenso è quella proposta da Nicholas Georgescu-Roegen, fondatore della Bioeconomia: l’energia libera presente a cui attingiamo ostinatamente è costituita da uno stock delimitato ed esauribile (soprattutto combustibili fossili) ma l’energia libera esiste anche in un’altra forma, ovvero il flusso di radiazioni solari provenienti dal Sole, un flusso costante che ha come orizzonte temporale diversi miliardi di anni.

Fonti

http://www.naturalcapitaldeclaration.org/wp-content/uploads/2012/04/natural_capital_declaration_it.pdf

Herman Daly, L’economia in un mondo pieno, in Le Scienze, numero 447, novembre 2005