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Il mito della crescita economica e l’ossessione produttivista

di Alain de Benoist - 15/09/2014

Fonte: Barbadillo


alain de benoistSono tutti d’accordo: la soluzione è la crescita! Politica dell’offerta o politica della domanda, invocazione dei Mani di Keynes o di Milton Friedman, aiuto alle famiglie o politica d’austerità per trasformare i Francesi in Greci, tutti i mezzi sono buoni per “andare a cercarla”, “stanarla”, “trovarla”, ecc. Nicolas Sarkozy si è fatto forte per “staccarla con i denti”. Emmanuel Macron (il ministro dell’Economia, ndt) stesso apparteneva alla Commissione Attali per la “liberazione della crescita”. I politici sono “veri credenti”, la crescita è il loro credo di redenzione, la loro salvezza, la condizione per la “ripresa” e il calo della disoccupazione, l’uscita dal tunnel, la fine della recessione. La canzone è nota.

E se fosse finita? E se la crescita come l’abbiamo conosciuta all’epoca del boom del dopoguerra, fosse terminata? Questa domanda iconoclasta, alcuni, come gli economisti Paul Krugman e Robert Gordon, cominciano a porsela. Il declino della produttività, il calo delle risorse energetiche, la caduta tendenziale dei tassi di profitto, alimentano la tesi di un rallentamento della dinamica espansiva del capitalismo, la crescente finanziarizzazione del capitale come fosse una sorta di risposta funzionale alla stagnazione delle economie occidentali. Sotto l’influenza dell’ideologia del progresso e dell’ossessione produttivista, l’immaginario contemporaneo si è abituato all’idea che la crescita è un fenomeno normale, naturale in qualche modo, che invece non è mai stato per secoli e anche per millenni. Ma oggi si constata che tra il 1990 e il 2011, il 54 per cento dei Paesi hanno già conosciuto una crescita negativa. E non è finita.

[Dichiarazione raccolta sul sito Boulevard Voltaire da Nicolas Gauthier. Traduzione di Manlio Triggiani]