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Il ricatto dei mercati

di Roberta Barone - 28/10/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


In un paese in cui troppo spesso i fenomeni economici vengono affrontati tralasciando quelli giuridici e così al contrario, il piccolo ma grande miracolo portato avanti dall'autrice in queste pagine consiste proprio nell'aver colto il senso di queste trasformazioni attraverso un perfetto connubio tra economia e diritto, spiegando in che modo la finanza internazionale possa realmente rappresentare una minaccia - ricatto appunto- per la democrazia e la stessa economia reale.

  

Nell’era della globalizzazione e delle grandi manovre finanziarie che sfuggono al controllo degli Stati, la parola “ricatto” risulta un’espressione tanto efficace quanto mirata a descrivere quei meccanismi oscuri di un capitalismo finanziario forgiatosi dietro le quinte della stessa democrazia. Il dizionario descrive il ricatto come una “costrizione morale” che agisce “tramite minacce di gravi danni al fine di estorcere denaro o altri vantaggi”, ed è da questo principio che bisogna partire per meglio comprendere il campanello d’allarme lanciato da Lidia Undiemi nel suo libro, manuale che non si ferma alla sola denuncia di un sistema terribilmente attuale, ma che si offre come un’arma nelle mani di tutti quei cittadini pronti a riprendersi le redini del proprio futuro. Un futuro oggi minacciato non solo dal “ricatto occupazionale” di cui tanto si parla a proposito di articolo 18 e su cui sembra arrestarsi futilmente l’attuale dibattito politico, ma fondamentalmente da processi di frammentazione di grandi imprese in piccole realtà, fenomeno che ha comportato una pericolosa “deresponsabilizzazione” degli stessi operatori economici e finanziari da cui dipendono, aggrappate ad filo, le vite di troppi lavoratori. Il ricatto dei mercati, edito dalla casa editrice Ponte alle Grazie, fornisce una chiave di lettura semplice e nello stesso tempo minuziosamente documentata di quei processi che, trasformando lentamente e dal basso il mondo del lavoro, hanno accompagnato le multinazionali in un percorso interamente concentrato sulla logica della accumulazione prima ancora che su quella della produzione. In un paese in cui troppo spesso i fenomeni economici vengono affrontati tralasciando quelli giuridici e così al contrario, il piccolo ma grande miracolo portato avanti dall’autrice in queste pagine consiste proprio nell’aver colto il senso di queste trasformazioni attraverso un perfetto connubio tra economia e diritto, spiegando in che modo la finanza internazionale possa realmente rappresentare una minaccia – ricatto appunto- per la democrazia e la stessa economia reale.

Non a caso l’auspicio della Undiemi, promotrice altresì di una proposta di legge per la responsabilizzazione delle imprese di gruppo nazionale che internazionale, risiede nella necessità di una maggior “sinergia tra giuristi ed economisti”. Dal fenomeno dell’outsourcing e quello delle esternalizzazioni delle grandi imprese al passaggio dalla Old alla New Economy, la Undiemi individua le chiare conseguenze di una crisi finanziaria senza precedenti che agisce non solo nel contesto nazionale ma anche in quello internazionale. Preziosa testimonianza è rappresentata proprio dai Call Center, fenomeno che continua a produrre nel mondo enormi volumi di affare quanti numerosi giovani sfruttati e sottopagati: espressione di quella New Economy che si traduce nel sistema del precariato ed in quel sentimento di profonda incertezza che pesa come un macigno nelle vite di troppi giovani. Al di là di una propaganda che, in tempi di crisi, opera attraverso dogmi e censure al fine di diffondere l’idea che questa integrazione europea sia l’unica strada da perseguire anche a costo di soccombere (“Ce lo chiede l’Europa”), il viaggio del libro in questione percorre anche importanti tappe che analizzano in primo piano la vita politica italiana degli ultimi anni. La famosa lettera risalente al 5 Agosto del 2011, inviata dall’allora presidente della Bce Jean-Claude Trichet ed il successore Mario Draghi proprio all’ex Presidente del Consiglio Berlusconi, rappresenta uno dei più importanti presupposti che hanno portato al passaggio da un Governo che, contestabile o meno, era comunque espressione di una legittimazione popolare, a Governi tecnici pronti ad attuare tutte quelle drastiche riforme contenute proprio in quella lettera. Da lì, la supina subordinazione a trattati come il Mes (Meccanismo europeo di stabilità) entrato in vigore dapprima con la modifica dell’art. 136 del TFUE e poi con la sottoscrizione da parte degli Stati, ha dimostrato in che modo lo stesso significato di “democrazia” viene svilito già al di fuori dei confini nazionali: prova fondamentale è data dal fatto che i singoli Stati membri, partecipanti del Mes, avrebbero una voce in capitolo, rispetto alle decisione interne, proporzionale al peso finanziario da essi rappresentato. Non viene difficile dunque immaginare in che modo la voce tedesca, in Europa come in questo preciso contesto, risulti ben più “grossa” rispetto a quella di paesi massacrati dalla crisi, costretti a chiedere aiuti finanziari in cambio della richiesta di condizionalità rigorose imposte da chi continua a privare i paesi delle ultime briciole di sovranità. Un’inchiesta a cui va riconosciuto, come si legge nella eccellente prefazione di Roberto Scarpinato, il merito di “aver fornito elementi di cognizione che aiutano a capire cosa sta succedendo sopra le nostre teste”, proiettando nella mente del lettore di ogni fascia d’età profondi sentimenti di rivalsa, di rivincita e di ripresa per una nuova rivoluzione culturale che parta proprio dal basso. L’unica che forse potrà salvarci dal ricatto dei mercati.