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All’armi, son fascisti!

di Roberto Pecchioli - 09/10/2020

All’armi, son fascisti!

Fonte: Accademia nuova Italia

 

La sinistra culturale- progressismo più postmarxismo- ha vinto da decenni la guerra delle parole. K.O. per manifesta inferiorità e fuga dell’avversario. Ha poco senso tentare di rimettere le definizioni e i significati al loro posto: la potenza dell’apparato di comunicazione vanificherà ogni tentativo. Non resta che cavalcare la tigre, ossia usare quel linguaggio contro gli stessi che lo hanno costruito e imposto. Il male assoluto è il fascismo. In Italia lo affermò persino Gianfranco Fini, che alla persistenza della memoria neofascista doveva la sua carriera politica.

Fascismo, per i padroni delle parole, è qualunque idea, comportamento, condotta a loro sgradita. Il nucleo ideologico con cui sostengono il fascismo come nemico permanente da combattere, pur in assenza di qualsiasi segnale di fascismo storico, è il principio di autorità unito al divieto del dissenso. Inutile ribattere che, procedendo in quella direzione, si incontrano sistemi, regimi, organizzazioni sociali di ogni tempo e luogo. Fascismo immenso ed eterno, punto e basta. Hanno formattato e riformulato abilmente, su questo punto e su altri, l’inconscio collettivo. Non possiamo che prenderli in parola e, in base al sistema di significati da essi teorizzato, accusare il potere vigente di comportamenti fascisti. All’armi, son fascisti, diventi la nostra parola d’ordine.

Prendiamo in considerazione l’attualità italiana. Il governo si è attribuito pieni poteri- poiché questo significa stato d’emergenza- sino a fine gennaio 2021. L’annus horribilis del virus dura oltre il calendario e minaccia di diventare permanente, un regime assai prossimo al fascismo. La democrazia parlamentare – vanto e conquista antifascista – è sospesa con un semplice atto amministrativo, il decreto di un presidente del Consiglio mai passato dal voto popolare. Il virus è certamente ancora tra noi, ma non si vede – fortunatamente – una situazione sanitaria e civile fuori controllo, tale da giustificare un’ulteriore giro di vite. Scrive un giurista napoletano, Carmine Ippolito: “paradossale, ma vero: rispetto alla prima fase della crisi epidemica, adesso sono i medici che, con i tamponi a tappeto, cercano i positivi al virus, e non, come solitamente accade, gli ammalati veri, ossia quelli sintomatici, a cercare i medici. In tutti gli altri Stati europei, lo stato di emergenza è stato, nel frattempo, revocato. Nella stessa Ungheria del truce Orban, il Parlamento ne ha revocato la proclamazione sin dal mese di giugno. In Italia, la scadenza dello stato di emergenza era originariamente stabilita al 31 luglio. Ed invece, stando ai desiderata del capo del Governo, sembra non dovere mai più finire, almeno fino a quando l’ultimo patogeno non sarà stato eradicato dall’orbe terracqueo. “

Lo stato di emergenza determina l’involuzione autoritaria dell’ordinamento perché sospende o depotenzia il normale funzionamento del Parlamento, luogo cui la Costituzione demanda in via esclusiva l’esercizio della sovranità popolare e la determinazione dell’indirizzo politico dello Stato. La sospensione, ormai sine die, dei più elementari diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione risulta affidata alle decisioni di soggetti, come il capo del Governo, i vertici della protezione civile, i comitati tecnico scientifici, mai legittimati dal corpo elettorale. La condizione dello stato d’emergenza è la sua straordinarietà e la durata limitata. Un anno di emergenza- senza una guerra o una situazione insurrezionale – indica la fuoriuscita dallo Stato di diritto, peraltro con il concorso dell’opposizione parlamentare, il cui balbettio, su un tema tanto decisivo, è raggelante.

Il rischio che si corre – o l’obiettivo nascosto di lorsignori- è che l’abuso dei pieni poteri sia assuefare i cittadini all’idea non c’è bisogno del Parlamento e la democrazia- partecipazione del popolo al suo destino – costituisce un ostacolo alla soluzione dei problemi. Se questo è vero – ne vediamo ovunque i segni, a partire dal referendum sul numero dei parlamentari in cui l’intero sistema politico, da destra a sinistra, era schierato dalla stessa parte – viviamo già entro un fascismo di nuovo conio, politicamente corretto, strisciante e premuroso, un lupo travestito da fata turchina. Un trasbordo inavvertito del senso comune prende corpo (letteralmente) nella coscienza di individui distanziati, disgregati da se stessi e dalla comunità spezzata, costretti a una serie di comportamenti suppostamente di contrasto al virus (ma i dissensi scientifici si estendono). Moltissimi, di fronte al rischio reale e alla paura diffusa a piene mani di un nemico descritto come onnipotente, oltreché invisibile, “non attribuiscono più alcun valore al confronto delle idee e delle visioni contrapposte e ripudiano beni che non siano la propria personale salvezza fisica e materiale. Avanza il nuovo fascismo che declina la democrazia come un superato ostacolo alla preservazione di corpi senza volto, senza identità e senza aspirazioni più alte della materiale dimensione della permanenza in vita.” (C. Ippolito).

Nelle strade, oltre alle forze dell’ordine, sarà impiegato l’esercito per controllare il rispetto delle misure governative. Uomini e donne in divisa non utilizzate per presidiare i confini ed eventualmente per mostrare il controllo del territorio nei punti più caldi della criminalità e dell’invasione di masse umane dall’estero- ma per imporre, armi alla mano, la mascherina, totem e tabù della nuova normalità distanziata e “virale”. Per molto meno, ogni amante della libertà griderebbe al fascismo. All’armi, son fascisti che non agiscono per il nostro bene, per proteggerci e scongiurare il peggio, ma per mantenere se stessi. Non è permesso manifestare. Oltre all’acribico controllo delle distanze interpersonali, si è tacciati di “negazionismo” da un coro di gazzettieri e impiegati del potere a tariffa. Si è alla mercé del vero e proprio odio di masse impaurite pronte alla delazione; in parlamento, tra deputati mascherati e ampie assenze dei sedicenti rappresentanti del popolo, poche voci si levano a difesa di tutto ciò che fino a gennaio era ovvio. Un’aula sorda e grigia, bivacco non di manipoli di squadristi vestiti di nero, ma dei nuovi fascisti in giacca e cravatta.

Ci hanno espropriato della libertà concreta, quella di muoverci, lavorare, essere noi stessi, esprimere idee, partecipare alla vita pubblica. La sensazione di qualcuno – i più reattivi, non certo la massa conquistata alla causa del nuovo fascismo dalla paura- è di espropriazione del corpo da parte di un inquietante “Stato terapeutico” (Paolo Becchi). Bisogna sottostare a soprusi che “prima” non avremmo tollerato: incaricati che misurano la temperatura, inflessibili caporali che intimano di alzare la mascherina o allontanarsi di un palmo, vicini di casa e concittadini che si trasformano in efficienti ausiliari dell’OVRA (Opera Vigilanza e Repressione Antifascismo).

Questa, tuttavia, è solo una delle facce di una deriva che viene da lontano e andrà lontano, verso una condizione servile di massa che sgomenta soprattutto per l’assenza di reazione, la servitù volontaria scoperta secoli fa da Etienne de la Boétie, sodale di Montaigne. Parliamo non a caso di nuovo fascismo; il modello è La personalità autoritaria, il celebre studio di Theodor W. Adorno e della Scuola di Francoforte del secondo dopoguerra. Fascismo era, per l’autore di Minima Moralia, qualunque idea, attitudine, modalità comportamentale improntata all’autorità, al divieto, al controllo. Fascismo e autoritarismo diventano sinonimi.

Il potere fattosi biopotere si appropria dei nostri corpi e plasma le menti. Negli anni 60, lo psicologo Martin Seligman condusse un interessante esperimento. Chiuse due gruppi di cani in altrettante gabbie in cui gli animali ricevevano piccole scosse elettriche intermittenti. La prima gabbia non aveva uscita. L’altra aveva ne aveva una che i cani erano in grado di scoprire: dopo alcuni tentativi, fuggirono spingendo una porticina. Successivamente, mise tutti i cani in una gabbia che forniva scosse intermittenti, ma da cui potevano facilmente evadere saltando un muretto. I cani che si erano liberati nel primo esperimento furono lesti a saltare, ma gli altri non facevano più alcuno sforzo per evitare il martirio. Seligman concluse che gli animali “passivi” avevano imparato nel primo esperimento a sentirsi impotenti e, in circostanze difficili, non consideravano più la possibilità di controllare la situazione: si erano rassegnati alla condizione di cattività.

Oggi sappiamo che quell’impotenza è indotta anche negli esseri umani: può essere insegnata e possiamo impararla. Quando ci abituiamo a pensare che la nostra azione è inutile, siamo più inclini alla passività, alla depressione, alla sottomissione e all’obbedienza. Temiamo che il potere, in Italia e altrove, stia conducendo un esperimento simile: dall’inizio della pandemia non hanno smesso di darci scosse elettriche, ma non abbiamo tentato di uscire dalla gabbia. Non sono escluse ulteriori scosse. Più cresce il sentimento di paura nella popolazione, più cresce il potere dello Stato e si restringono le libertà.  L’astuzia di chi ci comanda consiste nell’indurre incertezza e debolezza: è facile sottomettere una società atomizzata e spaventata.

Abbiamo iniziato confinati e ora siamo rane mascherate, bollite, pronte a essere divorate. Impoveriti e ammaccati, alla fine supereremo la crisi sanitaria; più difficile sarà liberarsi delle catene che ci hanno imposto. La strategia della paura è più vecchia della ruota; è stata presente in ogni svolta della storia. Espone l’essere umano vulnerabile, indifeso, all’arbitrio e all’incognito. Può essere un esercito, una carestia o un virus, uguale è il risultato. Il terrore è lo stesso, la mente non è in grado di differenziare. La vulnerabilità porta l’individuo a unirsi al gregge, a esigere misure di protezione comuni. Il potere conosce da sempre la psicologia delle masse. Un individuo, un popolo che vive permanentemente nella paura cambia nel profondo, preda privilegiata di chi lo vuole sottomettere. Il fenomeno della biopolitica è un insieme di tecniche che permette di amministrare e controllare tutti gli aspetti dell’esistenza umana, compresi quelli puramente biologici. A ragionare secondo il metro corrente, nulla di più odiosamente “fascista” dell’interferenza del potere nel campo della quotidianità individuale.

La pandemia, caratterizzata da una crescente biologizzazione della politica, mette in luce la conversione della politica in biopolitica. Non cessa di stupire che la nuova sinistra, la stessa che in altri tempi smascherò il biopotere come caratteristica del capitalismo liberista, adesso lo appoggi entusiasticamente. Il potere cerca di costruire attorno a sé un consenso fatto di paura e invocazione di protezione da parte di una massa acritica costituita attorno alle misure per fermare la diffusione del virus. Bio-fascismo.

Secondo il filosofo Roberto Esposito la biopolitica neoliberista ha l’obiettivo di generare una nuova “communitas”, il massimo grado di coesione sociale che deriverà dalla consapevolezza di una minaccia esterna. Si tratta di fuoriuscire dalla nozione di Stato di diritto e riconoscimento della dignità della persona, con il pretesto della lotta contro un nemico che è insieme esterno e interno in quanto invisibile, mobile, il virus. Covid 19 smette di essere un agente patogeno per venire percepito come un assassino silenzioso che vive con noi in una moltitudine di pazienti asintomatici, perfetti contenitori dell’imminente Armageddon finale, una specie di attacco alieno simile al film di fantascienza L’invasione degli ultracorpi.

Di fonte all’ampiezza della tragedia incombente, la soluzione è la communitas che appoggia il nuovo fascismo in ogni sorta di misura antivirus, anche se spazza via lo Stato di diritto, la democrazia e la libertà delle persone, principi senza senso dinanzi alla minaccia della vita. La vera “immunitas” non verrà da un futuro vaccino ma dal riconoscimento acritico che i nostri governi, purché di natura progressista e schierati dalla parte giusta della storia, vegliano su di noi e sul fatto che i nostri veri nemici sono i dissidenti rispetto alla verità ufficiale e alla validità dei provvedimenti restrittivi. Un fascismo nuovo, in cui maschera e simbolo coincidono, appunto, nella mascherina obbligata ben calzata fino al naso.

Attraverso una biopolitica sostenuta da alcune élite economiche mondiali e portata avanti dal sistema politico, in particolare dal neoprogressismo che vede nella pandemia l’occasione per imporre i suoi progetti di ingegneria sociale, è in incubazione una nuova nozione di comunità, basata sull’ uniformità ideologica, l’emarginazione della persona dissenziente, definita pazza e “negazionista”. Il passo successivo è la proclamazione dell’oppositore a nemico del popolo insieme con la diffusione di una sfiducia generalizzata verso l’altro (homo homini lupus et virus) visto come potenziale vettore di contagio, untore e pessimo cittadino.

Ancora più grave è il clima di delazione, denuncia anonima e la criminalizzazione ingiustificata di interi settori economici. Intanto, lavora intensamente la macchina del diritto. La corrente del funzionalismo giuridico ritiene che l’obbedienza alla stabilità sociale sia l’obiettivo fondamentale che il diritto penale deve preservare. La tendenza è a costruire un doppio binario giuridico, uno per i cittadini “normali”, l’altro per chi viene indicato e stigmatizzato come nemico. Per costui si prepara un diritto penale speciale, che annulla le garanzie della non-più-persona. Le prime avvisaglie si intravvedono in materia di crimini sessuali, a seguito della pressione delle lobby femministe e nella criminalizzazione di una serie di convincimenti e persino di sentimenti non in linea con la visione progressista su alcuni temi sensibili. Le fattispecie a rischio non potranno che aumentare nei prossimi mesi per la richiesta di maggiore sicurezza.

Il fascismo con bandiera arcobaleno avanza con l’applauso di masse “zoologiche”, nel senso di ridotte dal panico alla difesa istintiva della nuda vita, nel silenzio impotente di opposizioni stordite. A nulla sembra valere l’appello alla costituzione, al diritto, ai principi di libertà e dignità. Resta la logica elementare, ma ferrea del pensiero di Forrest Gump: fascista è chi il fascista fa.