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Cosa ho capito del Covid

di Franco Ferrè - 12/07/2020

Cosa ho capito del Covid

Fonte: Così va il mondo

Non voglio dare lezioni a nessuno, né affermare un qualche tipo di verità. Ma, dopo quattro mesi di articoli, post, twit, inchieste, report, statistiche, conferenze stampa, DPCM e chi più ne ha più ne metta voglio provare a riassumere quello che ho capito del Covid. Non tanto perché sia sicuro di avere ragione, quanto per testare quanto può capire un cittadino medio, che cerchi di selezionare le fonti della propria informazione, nel mezzo di una tempesta mediatica come quella generata negli ultimi mesi.
Io, di selezione, ne ho fatta tanta negli ultimi dieci anni, se possibile intensificandola ed affinandola, in questi mesi. Ho parlato pochissimo del virus e ascoltato molto: rapporto 1 a 100. Ho poco tempo, e di link ne metterò pochi, altrimenti ci metterei un mese a ricostruire tutto quello che ho letto… mi fido della mia memoria e fidatevi anche voi: se farò supposizioni sarò il primo a dirvelo, tutto il resto è roba che ho letto e che, se serve posso sempre ritrovare e precisare la fonte.
Innanzitutto, un po’ d’ordine. Il tema, secondo me, va diviso in tre parti:
Come è potuto accadere?
Come se ne esce?
Quali sono (e saranno) le conseguenze?
COME E’ POTUTO ACCADERE?
Lo dico subito: il dibattito sull’origine del virus non mi appassiona più di tanto. Sapere se il Covid è un virus emerso spontaneamente da una delle innumerevoli combinazioni possibili in natura oppure, all’estremo opposto, se è il risultato di una manipolazione in laboratorio deliberatamente realizzata (e diffusa) al fine di creare casino in qualche parte del mondo, non cambia granchè i termini del problema, cioè l’andamento dei due punti successivi. Ritengo comunque poco probabile l’ipotesi di una creazione VOLONTARIA della pandemia, poiché dovremmo aspettarci che il responsabile ne fosse rimasto immune. Ma nessuno dei possibili colpevoli (che possono essere solo grandi e potenti attori geopolitici, cioè uno tra Stati Uniti, Russia e Cina o loro stretti alleati) ne è rimasto fuori: tutti costoro ed i loro alleati hanno pagato, e stanno pagando un prezzo elevatissimo in termini di vite, di immagine ed economici. Il che fa pensare che nessuno di loro può avere pianificato e realizzato una cosa del genere o che, se lo hanno fatto, sono dei completi imbecilli, dati i risultati (il che, trattandosi in ogni caso, dei servizi segreti di una delle tre grandi potenze mondiali, non credo possa essere).
D’altro canto, le notizie emerse sull’ormai famoso laboratorio di Wuhan non fanno pensare a qualcosa di totalmente naturale: lì si conducevano esperimenti piuttosto pericolosi (e dalle finalità poco onorevoli) su manipolazioni di virus, su iniziativa cinese, ovviamente, ma non solo: il laboratorio era finanziato e sostenuto anche da paesi occidentali (Stati Uniti e Francia, ad esempio, alcuni parlano addirittura di esperimenti diretti da Fauci, il capo della Task force anti-Covid americana) e non è impossibile che, alla fin fine, se giochi col fuoco, prima o poi ti scotti e, per quanto si possano immaginare tutti i casi possibili e prendere tutte le precauzioni possibili, alla fine il caso e l’infinità variabilità della vita può sempre trovare il modo di fregarti. Per questo, tendo a pensare che per avvicinarci alla verità, si debba immaginare una qualche circostanza in cui un virus in fase di manipolazione (il perché, lo lascio ipotizzare a voi…) sia in qualche maniera uscito dal laboratorio ed abbia cominciato a fare il mestiere per cui tutti i virus nascono, cioè riprodursi. Senza peraltro escludere del tutto l’ipotesi dei famosi Giochi militari di Wuhan del novembre 2019 ed i relativi racconti degli atleti presenti che parlano di malesseri e malattie molto simili al Covid che giravano tra gli atleti. In ogni caso, mi sembra chiaro che sapere come è nato il virus non ci aiuterebbe a capire come uscirne, quindi per ora lascerei il compito di scoprirlo agli storici, consapevoli dei lunghi tempi di attesa…

COME SE NE ESCE?
Bene. Posto che, probabilmente, siamo in presenza di un evento non voluto e quindi non abbiamo un colpevole a cui chiedere (con le buone o con le cattive) l’antidoto, la domanda da porsi è “come uscirne?”.
Di fronte ad una qualunque malattia contagiosa di una certa gravità, le alternative fondamentali sono due:
Non ammalarsi (prevenire);
Curarla, quando ci si ammala.
L’opzione del NON AMMALARSI, a sua volta, vede due strade possibili: evitare il contagio oppure, se disponibile un vaccino, vaccinarsi. Il Covid si è presentato fin dall’inizio come una sindrome fondamentalmente “nuova”, per la quale non c’era vaccino né cure specifiche già sperimentate. I malati a valanga nelle terapie intensive che morivano in modi sconosciuti senza avere cure (o a causa di cure sbagliate) e senza nemmeno il conforto dei parenti, hanno fatto pendere fin da subito la bilancia a favore del massimo isolamento. RESTA A CASA, è stato il mantra. E ci sta, all’inizio. Tuttavia, la mia impressione è stata che sia mancata, in molti casi, razionalità e che questo abbia reso peggiore un problema che era serio, ma non così mortale. Parliamo dell’Italia, che è il caso che conosco meglio. Se il virus era nuovo e il piano A era non ammalarsi, perché il governo dichiara lo stato di emergenza sanitaria il 31 gennaio e stabilisce la prima zona rossa solo venti giorni dopo, senza bloccare in alcun modo chi proveniva dalla Cina e riempiendo i media, nel frattempo, di dichiarazioni tipo “abbraccia un cinese”? Ci sono studi, di tipo statistico, che affermano che le misure prese nei primi 17 (…) giorni dall’inizio della diffusione di un virus siano decisivi, tanto è vero che le curve previsionali espresse dai modelli statistici sono molto vicine a quelle effettive (e si può fare la prova sul sito ) . Se il modello ci azzecca (e ci azzecca) allora quei 17 giorni, in Italia, sono passati invano e quando poi, presi dal panico, i vari Governo, regioni, etc hanno chiuso qualunque cosa che si muovesse, era ormai troppo tardi per evitare un contagio abbastanza diffuso da superare le capacità ricettive degli ospedali italiani (falcidiate da un paio di decenni di tagli tipo “ce lo chiede l’Europa”). E comunque non è che i modelli statistici ci abbiano granchè azzeccato, a parte quello (l’Imperial College a inizio epidemia prevedeva 280 mila morti in Italia…).
Ragioniamo. Se il problema è non diffondere il contagio, perché in Lombardia non si è proceduto da subito a tracciare i contatti degli infetti, quando erano pochi e, quindi, tracciabili? La persona che aveva accompagnato il famoso “paziente 1” all’ospedale di Codogno, intervistata dal tg3 Lombardia diversi giorni dopo l’accaduto, raccontava di non essere stato contattato da nessuno, di non aver fatto nessun tampone, e di essersi messo in isolamento domestico per pura precauzione personale… se la persona più vicina al primo teorico contagiato non era stata “tracciata”, figuriamoci le altre; nelle prime fasi dell’epidemia, quando ancora i casi sono relativamente pochi, la chiave è bloccare il contagio, tracciando tutto e tutti. A Vò Euganeo, focolaio più o meno contemporaneo a Codogno, lo hanno fatto, ed i risultati sono stati evidenti (il comune è uscito dalla quarantena molto prima di Codogno). A quel punto, ma solo a quel punto, l’unica strategia possibile poteva effettivamente essere la chiusura totale.
Una volta chiuso tutto, però, è cominciato un altro balletto, anch’esso intriso di irrazionalità, basato sull’alternativa “vaccino o cura?”. In realtà l’opzione della cura non appariva (e non appare tuttora) all’orizzonte visivo del mainstream, se non sporadicamente. La linea editoriale è stata fin da subito “voi state in casa, il vaccino è l’unica speme”; peccato che, come ricordava un post di Zerohedge che non riesco a ritrovare, il Covid è numerato “19”, ma per nessuno dei 18 virus precedenti dello stesso ceppo sia mai stato trovato un vaccino. E peccato che, anche ammettendo che questa volta sarà diverso e che un vaccino verrà trovato, il suo sviluppo richieda, normalmente, molti mesi di sperimentazione, su varie fasi, prima di poter essere utilizzato. E tutto ciò senza tenere conto che, a quanto pare, finora il virus ha già avuto quasi 7mila mutazioni, tutte meno contagiose dell’originale, quindi, anche se si trovasse un vaccino, contro quale delle 7mila varianti ci si vaccinerebbe?
Molto più ragionevole è stata la strada imboccata (nel silenzio e, a volte, perfino con l’aperta ostilità dei media e delle “autorità”) dai singoli ospedali che, di fronte all’emergenza dei morti senza cura, hanno cercato farmaci già in commercio che potessero funzionare. Esaminando i malati veri che ogni giorno gli si presentavano, molti ospedali hanno dapprima capito la vera natura della malattia e codificato le sue fasi di sviluppo e poi provato (in alcuni casi con successo, in altri meno) vari farmaci, molti dei quali anche poco costosi. Non è un caso che il primo reparto che si è svuotato, nella seconda fase dell’epidemia, è stata la Terapia Intensiva, cioè quello dove stavano i pazienti ospedalizzati da più tempo e che, quindi, da più tempo erano sotto l’osservazione dei medici. In più, anche nelle fasi precedenti della malattia sono stati trovati efficaci rimedi in combinazioni farmaci, per lo più rivolti a combattere l’infiammazione che il virus porta con sé. In questo campo non è il caso di entrare in dettagli che non posso padroneggiare, ma la fonte del blog del Chimico Scettico (https://ilchimicoscettico.blogspot.com ) potrà fornirvi tutte le informazioni che cercate sui diversi aspetti della cura, non solo medici, ma anche economici e politici. La sua posizione è sempre stata quella di cercare innanzitutto una cura, consapevoli che le ricerche costano e che per ora, molti di questi costi sono sostenuti da aziende private.
In generale, una (enorme) difficoltà aggiuntiva nel farsi un’idea è venuta dalle diverse e spesso contrastanti statistiche su contagi, malati, e perfino morti, pesantemente influenzate da una serie di problemi, soprattutto inerenti le politiche di rilevazione, diverse da paese a paese e, spesso, anche da regione e regione, in particolare sul numero dei contagi (determinato in gran parte dal numero dei tamponi effettivamente eseguiti). Questi problemi impediscono, secondo me, di avere idee un minimo sensate su quanto il virus fosse (e sia) davvero diffuso e sul suo effettivo tasso di mortalità, una volta preso. E mi stupisce tuttora lo scarso o nullo livello di dibattito che c’è stato sull’efficacia dei tamponi stessi: se anche il test di gravidanza (forse il tipo di test più usato del mondo) c’è sempre un 1% di errori, quale può essere il margine di errore su un test per un virus sconosciuto, sperimentato in pochi giorni? Il presidente della Tanzania ha fatto il tampone ad animali e fritti ed ha trovato positivo … il mango. Eppure tutti a fare il tampone e nessuno fiata (ma intanto, zitti zitti, da un certo punto han cominciato a farne sempre due).
Tuttavia, pur con tutte le cautele del caso, mi sembra che si possa concludere che, tutto considerato, siamo di fronte ad un virus di una certa gravità, ma non letale, almeno nella gran maggioranza dei casi: è dato comune il fatto che, tra i positivi al tampone, ci sia un’alta percentuale di casi del tutto asintomatici o che, pur presentando sintomi, non necessitano di cure ospedaliere: mi pare che la percentuale di “ospedalizzazioni” si aggirasse, all’inizio, sul 20-30% dei positivi, di cui solo un 10% finiva poi in terapia intensiva; oggi gli ospedalizzati sono solo il 7% dei positivi e vanno in terapia intensiva solo il 7% degli ospedalizzati! In pratica, è più probabile morire attraversando la strada sulle strisce che non per Coronavirus e, per la stragrande maggioranza dei casi, si guarisce a casa con l’aspirina.
Il che – tra l’altro – confermerebbe la tesi (contestatissima dai media) di chi sostiene che il virus si stia indebolendo. Le statistiche dei morti parlano in modo univoco di segmenti ben definiti di soggetti a rischio (persone anziane o molto anziane, età media 80 anni, con oltre l’80% dei casi di soggetti con due o più patologie croniche gravi pregresse), quindi perché ancora parlano tutti di quarantena generalizzata come misura di contenimento e di vaccino come unica strada di cura? Non basterebbe curare quelli che si ammalano, sottoponendo a misure restrittive, in caso di nuovi focolai di infezione, le (poche) persone coinvolte e/o i soggetti più a rischio, cioè gli ultraottantenni o coloro con patologie gravi preesistenti?
La grafica dei morti per 100.000 abitanti non sembra fornire alcuna certezza: tra i paesi più colpiti vi è chi, come l’Italia, ha adottato strategie severe di quarantena e chi, come la Svezia, non ne ha adottata nessuna o quasi; paesi con bassa densità di popolazione e sistemi sanitari efficienti, come la Finlandia, hanno avuto più morti della Grecia, dove gli ospedali non curano più nemmeno le malattie “ordinarie” o gli stessi della Polonia, dove certo il sistema sanitario non è così avanzato come in UK (il che avvalorerebbe la tesi degli statistici, dato che Grecia e Polonia hanno chiuso tutto da subito, con pochissimi casi e morti).
Riassumendo: il virus era sconosciuto e si diffondeva facilmente, ma la sua pericolosità non era così elevata come le prime fasi facevano sembrare. Più che cercare il vaccino (che resta una delle possibilità, ma non l’unica e non subito), sarebbe utile sperimentare le cure, che oggi, alla luce dell’esperienza, sembrano essere molto più a portata di mano, ed adottare misure di confinamento ed isolamento solo in casi limitati e/o per le fasce di popolazione più a rischio, che sono abbastanza chiare, ormai. Anche perché le conseguenze del RESTATE A CASA generalizzato sono state (e sono tuttora) devastanti, e veniamo all’ultimo punto.

LE CONSEGUENZE
Innanzitutto credo vi siano state due enormi conseguenze di tipo sanitario, di cui pochi parlano: da un lato l’isolamento e la clausura forzata cui è stata costretta la popolazione dei paesi interessati porterà con sé uno strascico di fenomeni psicologici di cui ora non possiamo ancora valutare la portata. Gli anziani, in particolare, potrebbero non riprendersi mai più del tutto dalla forzata inattività e dai ridotti contatti sociali dei questi mesi, ma anche dalla paura dei contatti sociali (e questo, non solo gli anziani). In secondo luogo, l’emergenza Covid ha di fatto congelato (e non sempre in modo giustificato) moltissime (tutte?) misure di diagnosi e cura delle altre patologie. Un numero spropositato di esami, controlli, visite sono state annullate o rinviate sine die, anche per patologie oncologiche (ne ho cognizione diretta) o potenzialmente molto gravi. Qualche statistica registrerà questi casi, e le loro conseguenze? Non credo. Ma nessuno sembra tenerne conto quando si parla di tornare a chiudere tutto per evitare la “seconda ondata”.
E la scuola? La didattica a distanza cosa ha comportato, a livello sociale e cognitivo nei ragazzi (in particolare nei più piccoli)? A differenza di altri paesi, l’Italia sta ritardando molto il ritorno alla normalità, nonostante il distanziamento non sia sempre necessario, e anche questo avrà delle conseguenze. Parlo, ad esempio, degli esami di maturità, che si sono svolti in maniera “ridotta”, con la sola prova orale, mentre anche le prove scritte si sarebbero potute fare normalmente, dato che il distanziamento, in quel caso, c’è sempre stato (ricordate le file dei banchi messi lontano gli uni dagli altri e nei corridoi?). Quindi, perché abolire gli scritti? E perché non ritornare comunque in classe a settembre, visto che i giovani sono la categoria in assoluto meno a rischio di tutti (i bambini in particolare)? Oltre alla questione sanitaria, qualcuno ha messo sull’altro piatto della bilancia anche le conseguenze educative, sociali e pedagogiche del non far andare a scuola i bambini? Io credo di no. E i motivi li vediamo nel prossimo punto.
Qualunque sia il punto di vista, la domanda – unica e totalizzante – su tutto ciò che è stato fatto e non fatto finora è sempre la stessa: perché?
Se i vari studi convergono nell’affermare che all’aperto e per contatti brevi/occasionali le probabilità di contagio reciproco sono nulle, e sono molto basse anche in molte delle altre situazioni, in particolare con certi tipi di mascherina, perché continuiamo a doverle portare anche all’aperto (Lombardia)?
Se i casi in Italia sono al minimo da gennaio, ed è passato oltre un mese dall’ultima “riapertura” senza che ci fossero “seconde ondate”, perché tutti i media parlano sempre e solo di allarmi, pericoli, paesi in cui il virus sta aumentando (te credo, il contagio è arrivato mesi dopo di noi) ed enfatizzano numeri minimi di nuovi casi, ricorrendo, se proprio non ci sono notizie negative in Italia, ai numeri mondiali o, ancora meglio, cumulativi (quelli sono una certezza…. non possono diminuire)?
Venendo ai temi economici, se il problema principale è stata la SPARIZIONE letterale di redditi per milioni di persone, che hanno dovuto dall’oggi al domani smettere di fare il proprio lavoro, così come hanno dovuto smettere di fare una serie di cose che generavano flussi di denaro per altre persone (uscire, fare sport, viaggiare, andare al cinema/teatro, fare shopping, etc), perché, invece che ripristinare i redditi delle persone, i paesi europei, ed in particolare l’Italia, stanno ricorrendo per lo più a PRESTITI?
Il prestito è uno strumento adatto a situazioni in cui il richiedente ha bisogno di maggior disponibilità finanziaria OGGI in vista di un maggior reddito DOMANI (al quale l’acquisto/investimento contribuirà) con il qual reddito potrà restituire quanto oggi gli è stato prestato. Il prestito NON può (ripeto: NON può) sostituire un BUCO di reddito, al quale non è affatto sicuro né probabile che seguirà un aumento futuro con il quale ripagarlo. Anzi: dato che il buco viene da una circostanza di questo tipo, è molto probabile che in futuro il reddito continuerà a non esserci o, se ci sarà, sarà inferiore a quello precedente… QUINDI? Le garanzie statali sono spesso parziali e le procedure per ottenerle a dir poco farraginose, il che significa che tra qualche mese (Bankitalia dice tre mesi, per almeno un terzo della popolazione) ci sarà la fame, altro che restituzione dei prestiti e la ripresa dell’economia.
E infine, collegato al punto precedente, se la BCE ha dichiarato apertamente che, se gli stati avessero emesso nuova moneta attraverso titoli di stato, avrebbe comprato il debito pubblico di qualunque paese senza limiti, perché l’Italia ha fin qui emesso quantità ridicole di titoli di stato, molte volte inferiori alla domanda?
PERCHE’?

Io un’idea ce l’avrei, e risale a quattro anni fa. La figura sottostante riassume il nocciolo di quello che prevedevo (cfr. in particolare ultimo paragrafo).
L’economia italiana è stagnante da molto tempo (diciamo a grandi linee dall’ingresso nell’euro) e il progressivo venir meno dei redditi è stato fin qui colmato (in parte) da PRESTITI delle banche (un dèja vu, quindi). I prestiti non erano restituibili, e la BCE, sotto la cui vigilanza è oggi la gran parte del sistema bancario italiano, da anni chiede alle banche italiane di ridurre le sofferenze. Pena: il fallimento. Il processo di progressivo fallimento (e ricapitalizzazione a spese dello stato) delle banche doveva concludersi con l’arrivo della Troika in Italia, in modo da mettere le mani sull’Italtacchino, preda ben più prelibata delle pur succose DDR e Grecia. Il processo prevedeva di passare dalle banche, perché le banche erano l’anello attaccabile, l’ente che “non può fallire”, ma che era stato incaricato di tenere in piedi tutti gli altri. I prestiti coprono da vent’anni almeno i “buchi” di reddito e, alla fine, siccome i soldi ce li avrebbe messi lo stato, le regole di bilancio imposte dalla UE (leggi: Germania) agli stati aderenti avrebbero fatto il resto.
Ci stavano mettendo un po’, effettivamente: il processo di fallimento di un paese un tempo tra le cinque maggiori potenze industriali del mondo non è facile, né rapido. Il Covid ha presentato l’innegabile vantaggio di accelerare il tutto: fai in sei mesi quello che avresti fatto in sei anni, vuoi forse sprecare l’occasione? Se la gran maggioranza della nostra classe dirigente ha sposato da decenni la filosofia del vincolo esterno, ergendosi a novelli Quisling pronti (fin dalla famigerata combriccola del Britannia, anno 1992) a consegnare le ricchezze del paese agli stranieri in cambio del permesso di amministrare le  (consistenti) briciole, come era possibile pensare che si sarebbero fatti scappare l’occasione? E non parlo solo di economia, ma anche di altri aspetti non meno importanti dell’agenda (vogliamo parlare del tam-tam su quanto sarà obbligatorio il vaccino, quando apparirà?). Ed ecco spiegato, allora, tutto.
L’immobilismo iniziale si spiega – oltre che con lo stupido buonismo dell’abbraccia un cinese – con l’aver forse intravisto all’orizzonte la “grande occasione”: la minaccia poteva essere valutata ed affrontata fin da gennaio, ma si è perso tempo, i famosi 17 giorni sono trascorsi invano e comunque, per non sbagliare, il virus ha colpito prima noi di tutti gli altri, e non ho trovato altre spiegazioni convincenti del perché (solo sfiga? Bah…).
Si spiega anche con la necessità di isolare la gente e impedire pericolose manifestazioni di dissenso il comportamento successivo che, mentre scavalcava uno dopo l’altro tutti i possibili limiti costituzionali a colpi di DPCM, demonizzava i cittadini con un regime di terrore e paura fatto di minacce oscure ed onnipresenti e di elicotteri che pattugliavano un paese deserto per far rispettare divieti che – ora lo si sta realizzando – per gran parte erano inutili.
E, mentre il blocco delle attività scavava un buco che – ne sono convinto – siamo ancora lontani dal poter veramente quantificare, il Governo creava (e sta tuttora creando) le condizioni ideali per realizzare la “soluzione finale”: mettere il paese in mano alla Troika. Aiuti scarsi o assenti per chi ha perso reddito, concessi dopo lunghi tentennamenti e caterve di annunci in prima serata, con decreti di centinaia di pagine che uscivano molti giorni dopo le conferenze stampa e dispensavano cifre ridicole, da ottenersi attraverso procedure complesse e farraginose. E quando – avranno pensato – rinvio dopo rinvio, la situazione sarà arrivata al punto di rottura, anche i quattro spicci del MES sembreranno oro e nessuno avrà il coraggio di rifiutarli. Non è forse questo il ragionamento che sentiamo oggi a reti unificate? Entriamo nel recinto e, Grecia insegna, non potremo più uscirne, se non a piedi avanti.
Ma c’è un problema: a differenza del piano A (lento strozzamento via austerità, specifico sull’Italia), il piano B ha colpito anche gli altri, quindi non si è potuto applicare a tutti la ricetta che era in serbo per noi. Se per tutti era chiaro fin dal principio che si doveva intervenire stampando moneta, e che era la BCE a doverlo fare, BCE non poteva dire “aiuteremo tutti i paesi, tranne l’Italia”; troppo scoperto sarebbe stato il gioco. Ed ecco che si spiega il tentennamento, i rinvii continui delle manovre, la riluttanza a deliberare sforamenti di deficit da coprire con emissioni di titoli, nonostante la domanda su tutte le ultime emissioni avesse superato ampiamente l’offerta. E Gualtieri che dice in TV che “crisi è recuperabile”, minimizzando oltre ogni logica? La BCE non pone condizioni: quello che emetti, compra e i tassi sono bassi, perché non farlo e mettere i soldi in tasca ai cittadini? Tutti gli altri paesi europei che rifiutano il MES e usano la BCE sono forse stupidi? Perché siamo i soli a volere il MES? Il senatore Bagnai è arrivato ad ipotizzare che “forse sono minacciati”, tanta era la illogicità dei comportamenti del Governo.
E il Recovery Fund, che non vedrà mai la luce, a cosa serve, se non a mettere l’ennesima (finta) carota davanti agli italiani per tirare lungo? Prima doveva essere pronto a maggio, poi si è trattato fino a giugno, adesso si parla di proposte sui punti aperti (tutti) da discutere a metà luglio… e intanto la gente erode i risparmi per vivere, oppure chiede prestiti che non potrà rimborsare, con le élites in attesa di poter gridare il prossimo (inevitabile?) FATE PRESTO.
Ecco il perché.
Mantenere il Controllo con la paura, mentre realizzo l’agenda ordoliberista in salsa europea, per la quale tutto il sistema lavorava da almeno vent’anni, e che, in tempi normali, avrebbe richiesto tempo, ma per il quale adesso posso, a tappe forzate, creare in pochi mesi le condizioni ideali a scatenare la catena di eventi desiderata.
Un evento sanitario forse imprevisto, complesso, ma per lo più non letale, ed ecco arrivare alla porta di casa la più bieca e lurida Shock economy della nostra storia, con prove tecniche di autoritarismo e sospensione della democrazia e l’Italia, come sempre, a fare da apripista. E noi ammutoliti dietro una inutile mascherina a guardarci di sbieco e contare gli spiccioli nel portafoglio.
Questo è quello che ho capito (finora) del Covid.
Son preoccupato. Andrà tutto bene un cazzo.
In fondo, spero di aver capito male.

PS: un compendio di molte notizie tecniche sull’epidemia sta nel lavoro di Marinella Correggia. Ad esempio, QUI

 

Franco Ferrè