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Esuli in patria

di Francesco Lamendola - 09/09/2019

Esuli in patria

Fonte: Accademia nuova Italia

Il sentimento più diffuso che si percepisce fra le persone che hanno un minimo di sensibilità e di amor di patria, in questi giorni, in questi anni, è lo sconforto. Per quel che riguarda la nostra esperienza personale, si tratta delle persone migliori: le più intelligenti, le più riflessive, le più oneste, le più limpide, ma soprattutto le più permeate dai valori che un tempo i genitori, la scuola e la società impartivano alle nuove generazioni. Sono, perciò, nella maggior parte dei casi, persone oltre la mezza età: dai sessant’anni circa, in su. In loro, si sommano la straniamento dovuto ai rapidissimi cambiamenti economici, sociali e culturali dell’ultimo mezzo secolo, con l’amarezza dovuta allo spettacolo che le cronache di casa nostra quotidianamente ci offrono, e non solo nel campo della politica, ma in tutti. La netta sensazione è che ci sia una regia ben precisa che manovra questi e che sta affrettando oltremodo anche quelli.

Intendiamoci: è naturale che una persona, diventando anziana, provi un senso crescente di disagio e disadattamento (normale nel contesto delle società moderne, caratterizzate dalla velocità e dominate dal mito del progresso illimitato), mano a mano che vede scomparire le cose a lei note cominciando dagli oggetti fisici, le case, le strade, i negozi, i bar, i quartieri e i paesi, sostituite da altre che hanno caratteristiche nuove e, soprattutto, nelle quali è la tecnologia a farla da padrona, per cui anche la cosa più semplice, prenotare un biglietto del treno o pagare una visita medica, richiede una certa competenza nell’uso del computer. Peraltro, non tutti gli anziani reagiscono male a questi cambiamenti; ve ne sono di quelli che s’impadroniscono delle nuove tecnologie con la stessa disinvoltura dei giovani, o quasi; che si servono dei social, ad esempio, con la frequenza e la naturalezza dei loro nipoti; e che si adattano con pari facilità ai cambiamenti sociali, culturali e morali. Oggi non è affatto raro che un nonno o una nonna sconsiglino vivamente il nipote dallo sposarsi senz’altro, e gli suggeriscano semmai una “prova” di convivenza: segno che i nuovi modi di penare e di sentire sono penetrati assai a fondo nel tessuto spirituale della nostra società, visto che gli anziani, da sempre, rappresentavano la roccaforte della tradizione.  È questo un indicatore da non sottovalutare, e lo si può osservare da parecchio tempo. A noi accadeva, trent’anni fa, di cogliere il sorriso ironico nelle persone di mezza età di fronte alla nostra scelta di servirci volentieri, per gli spostamenti brevi, della corriera di linea, perché a loro risultava incomprensibile che un giovanotto, proprietario di un’automobile privata, non la usasse sempre,  escludendo i mezzi pubblici; come di fronte all’abitudine di andare al lavoro in bicicletta, facendo parecchi chilometri al giorno, lasciando l’auto nel garage. Trenta anni fa c’erano dei cinquantenni così modernizzati, da trovare che la bicicletta e la corriera di linea sono mezzi di trasporto da poveracci, e che avere un’automobile equivale a servirsene sempre e comunque, anche solo per andare ad acquistare il sale nel negozio a cento metri da casa. Assai più significativi, comunque, gli adattamenti alla mentalità moderna nell’ambito del costume e della morale. Oggi si vedono andare in giro per la strada delle donne che sicuramente sono nonne, vestite, o semivestite, specialmente d’estate, come le loro vispe nipotine: esibiscono le cosce avvizzite e le vene varicose sotto le loro smaglianti minigonne, ostentano il seno flaccido attraverso scollature vertiginose o lasciano intravedere il ventre con le smagliature sotto la t-shirt a colori vistosi, e si direbbe che, per loro, tutto ciò sia la cosa più naturale del mondo. Le abitudini sessuali di molte persone anziane hanno conosciuto una rivoluzione: oggi ci sono delle sessantenni e settantenni che parlano tranquillamente, con le amiche, del loro nuovo “fidanzato”. Adoperano con nonchalance parole che, quando erano giovani, avevano un significato completamente differente. E uomini di cinquanta o sessant’anni frequentano le loro “fidanzate” sedicenni o diciottenni, sotto gli occhi compiaciuti di mamma e papà, i quali sono ben più giovani del maturo spasimante. E nessuno pare trovarci qualcosa di strano, qualcosa d’innaturale.

Ma non tutti, ovviamente, sono così: non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze. Crediamo che sia assai più numeroso l’esercito delle persone che si sentono fuori posto e non osano nemmeno esprimere il loro disagio e la loro sofferenza. Temono di essere prese in giro, di apparire ridicole o patetiche, magari di essere tacciate d’invidia e di egoismo. Oggi, per piacere ai giovani, bisogna approvare tutto quel che fanno; e a pochi viene in mente che i giovani, invece, anche se fanno tante cose che non farebbero, se non si sentissero a loro volta sotto ricatto dagli sguardi della società e dal giudizio dei coetanei, in realtà aspetterebbero come la manna nel deserto una parola diversa, un gesto o un comportamento che dia loro il segnale che si può spezzare il circolo vizioso del così fan tutti, si può tornare ad essere se stessi e infischiarsene del conformismo dell’anticonformismo, della dittatura imperante del politicamente corretto, che ha invaso anche gli spazi della vita privata, oltre che di quella pubblica. Chi sbaglia, forse sta aspettando qualcuno che lo corregga; chi si è abituato alla menzogna, attende inconsciamente una voce di verità; chi è sprofondato nei vizi, istintivamente anela a udire qualcuno che lo rimproveri, che lo scuota, che lo esorti a cambiar vita. Il grande errore dei progressisti a oltranza è di non capire che andare avanti non significa automaticamente andare nella direzione giusta, e che le masse sono, sì, passive, ma non necessariamente stupide e, soprattutto, non necessariamente prive di senso morale. Perciò chi vuol rendere un servizio alla società in cui vive; chi vuol dare qualcosa, e non soltanto prendere, non dovrebbe limitarsi ad assecondare e carezzare i gusti del momento e le mode che vanno e vengono, ma dovrebbe offrire il proprio contributo alla costruzione di una società più solida, basata su valori permanenti, che non conoscono la ruggine e l’usura del tempo, perché sono perenni. La cultura del relativismo predica appunto questo: che non esistono valori perenni; che una cosa è giusta o ingiusta, vera o falsa, buona o cattiva, bella o brutta, a seconda del momento e delle circostanze. Ma sulla sabbia del relativismo non si costruisce nulla, né in economia, né in politica, né a livello culturale, o nello sport, e neppure nella vita privata. La cellula sociale fondamentale, la famiglia, non nasce dalla sterile zolla del relativismo, bensì dalla zolla feconda dei valori perenni: anche se la prima si presenta in vesti gradevoli e la seconda è sobria e severa.

È una vera tragedia che a scordarsi questa semplice verità siano stati tanti genitori, tanti educatori e, ahimè, anche tanta parte del clero. Per secoli, per quasi due millenni la Chiesa ha avuto la forza di predicare quel che è giusto e non quel che piace al mondo; anzi, di fustigare ciò che piace al mondo e di mostrarne la vuotezza, la miseria, l’ingiustizia. Ora ha capitolato, bruscamente, inopinatamente; e anche qui è difficile non vedere, non intuire una regia occulta. I seminari sono stati infiltrati da molto tempo e una schiera di vescovi massoni ha impostato una strategia sistematica e concordata per l’autodistruzione della Chiesa stessa; fra le molte tattiche messe in opera, questa è stata senza dubbio la più facile, la più efficace e la più remunerativa: andare incontro alle mode del momento, sotto le apparenze di una “apertura” e di una volontà di “dialogo” col mondo; adattarsi a ciò che piace, a ciò che gratifica l’ego, assecondare il narcisismo, approvare la sregolatezza, l’incostanza, l’imprudenza, e anche il vero e proprio disordine morale; affermare che in fondo va bene tutto, perché Dio capisce, Dio perdona, Dio non si formalizza: e intanto benedire e sottoscrivere i peggiori scandali e gli stili di vita più immorali. Così il prete, come il genitore con i propri figli, si è fatto compagnone e amicone dei fedeli; ha voluti stupirli mostrandosi più aperto di loro, più progressista di loro, più incurante della tradizione di loro. Ci sono dei preti, e noi ne conosciamo alcuni, che sfruttano l’ambone per parlar male di alcune delle cose più care al sentimento dei credenti, ad esempio il culto di Maria Vergine o la devozione al santo Rosario; che godono a farsi vedere moderni ed emancipati, a giustificare la perversione e la sodomia, e a parlar sempre di politica e dei migranti, come del resto fa quel signore biancovestito che sta prendendo per il naso un miliardo e mezzo di cattolici spacciandosi per papa, mentre è solo un agente delle logge massoniche e uno strumento al servizio dei grandi poteri finanziari, e ha per scopo, ormai evidente a chi lo voglia vedere (ma il problema è proprio questo: il non voler vedere), la completa distruzione della Chiesa e dell’opera redentrice di Gesù Cristo sulla terra. In altre parole è un anticristo, un cooperatore del Maligno, deciso a servirsi di qualsiasi mezzo per annullare i frutti della Redenzione: o per mezzo di documenti ufficiali, come quello di Abu Dhabi, o con parole e gesti quotidiani.

Dicevamo che le persone più sensibili, e, per ragioni evidenti, le persone più sensibili che hanno ormai una certa età, sentono come intollerabile questo stato di cose. Ascoltano i discorsi del Presidente della repubblica, dei ministri del governo (questo o quello, fa poca differenza); ascoltano quel che insegnano i professori a scuola, e che riferiscono loro i figli; leggono delle sentenze della magistratura, guardano i telegiornali, ascoltano perfino le prediche in chiesa di certi preti “di strada”, e pensano una cosa sola: Che ci faccio io, qui? Dove sono capitato? Che Pease è questo, che mondo è questo? Alcuni sono presi da una tale tristezza, da un tale sconforto, da desiderare, più o meno consciamente, che la loro vita finisca presto. Già hanno perso molte persone care; vivono con difficoltà i loro anni di pensione; se non avessero duramente lavorato e fatto sacrifici, così da metter da parte qualcosa, ora non ce le farebbero ad arrivare a fine mese; la qualità della vita è precipitata, i condomini e i quartieri si sono degradati, spacciatori, prostitute e facce patibolari se ne vanno ovunque a testa alta, con aria da padroni; hanno chiuso moltissimi negozi, bar, trattorie, ristoranti, esercizi a conduzione familiare, che davano da vivere onestamente a una quantità di famiglie e adesso al loro posto ci sono una quantità di locali vuoti alle serrande arrugginite e le vetrine polverose, coi cartelli di Affittasi o Vendesi, ma quei cartelli sono sempre lì, da anni e anni, nessuno affitta, nessuno compra, nessuno ha i soldi per far ripartire un esercizio commerciale, per prendersi una casa; nessuno ha i soldi per pagare le tasse, per pagare le bollette e le rate condominiali. Oppure ci sono bar o pizzerie da asporto la cui gestione è stata rilevata dai cinesi, o magari ci sono McDonald’s e  svariati ipermercati, e poi banche, banche ancora banche; ma i negozi e i locali a conduzione familiare, quelli sono quasi spariti. Le piazze dei paesi si sono svuotate di gelaterie, di alimentari, edicole, cartolerie, mercerie, negozi di giocattoli (con che giocano i bambini?) e al loro posto ci sono, allineate una dietro l’altra, tre, quattro, cinque banche, molte straniere. Vengono a rastrellare il risparmio privato degli italiani, che è ancora grande: come gli avvoltoi quando sentono il puzzo di un cadavere. Strade e piazze si svuotano, specie la sera, e sono popolate solo di africani, di maghrebini, di bengalesi: uomini vestiti come si fosse a Timbuctù, donne velate e intabarrate sino ai piedi, e poi carrozzine, bambini grandi e piccoli, tre, quattro per famiglia. E i giovani italiani e le giovane italiane se ne stanno a casa, oppure vanno a spasso col cane. Ladri e rapinatori son padroni del campo, quasi ogni appartamento e ogni locale pubblico è stato svaligiato almeno una volta, alcuni anche sei o sette consecutive; le donne anziane devono stare in guardia all’uscita dal supermercato, perché delinquenti senza scrupoli sono in agguato e le scippano della borsa, incuranti di gettarle a terra. Ormai non c’è ritegno: i ladri picchiano selvaggiamente i custodi, ammazzano i cani da guardia e poi fanno razzia nelle ville; altri ladri, più miserabili, rubano i vasi di fiori al cimitero, o i fili elettrici e i materiali metallici dei depositi ferroviari, o i copertoni usati lasciati dai gommisti fuori dall’officina per mancanza di spazio.

E intanto Mattarella dice che l’Unione Europea è una realtà irrinunciabile, che l’Italia senza di essa è perduta e che bisogna fare tutto ciò che ci chiede l’Europa; e Bergoglio dice e ripete tutti i giorni che l’Italia deve accogliere i migranti, che è una carità cristiana, anzi un dovere cristiano, e che dovremmo essere felici di accoglierne il maggior numero possibile; quanti esattamente non si sa, nessuno ha fissato un tetto, sarà come la moltiplicazione dei pani e dei pesci: più se ne accolgono, più posti di lavoro, alloggi e servizi sociali spunteranno per far fronte al bisogno, senza limiti; e tutti insieme dicono che bisogna stare al passo coi tempi, aprirsi, spalancare le porte, gettare ponti, abbattere muri, sorridere al meraviglioso futuro che ci si prospetta. O costoro vivono in un mondo a parte, completamente diverso da quello in cui viviamo noi, oppure ci stanno platealmente prendendo in giro, e per giunta ci stanno tradendo: ci stanno rubando il futuro (altro che l’anidride carbonica di Greta e dei gretini), e più esattamente lo stanno rubando ai nostri figli, con la frode e con tutta la malizia di attori consumati, i quali mentono sapendo di mentire; probabilmente sono vere entrambe le cose. E mentre alcune persone, più sensibili, si consolano, si fa per dire, pensando che fra qualche anno non ci saranno più, e la morte le avrà liberate da tutto questo schifo, da queste angosciose incertezze, ce ne sono altre che si stanno arrabbiando. Si stanno arrabbiando terribilmente, ciecamente, come accade ai buoni, ai miti e ai gentili. Noi ne conosciamo diversi. Stiano attenti i Mattarella, i Bergoglio, i Paglia, i Grillo, i Renzi, perché la loro collera sarà terribile.