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Exodus

di Livio Cadè - 06/02/2022

Exodus

Fonte: EreticaMente

“Quid est praecipuum? Animus contra calamitates fortis et contumax…” (Seneca)

Contumax significa caparbio, indocile, disubbidiente. Senso che gli viene dal disprezzare (contemnere) la legge, sottraendosi al suo giudizio. Contumacia è anche lo stato di isolamento, segregazione o quarantena in cui vengon tenute persone o cose sospette d’essere infette. In senso medico, contumace è pure la malattia ostinata, ribelle alle cure. Infine, contumace è lo scomunicato, di cui Dante dice: «quale in contumacia more di Santa Chiesa». Emancipandosi da queste accezioni negative, contumacia è diventata oggi parola ricca di nobiltà morale. Esser contumace è infatti l’unico modo d’esser libero.   
Lo stesso Dante fu contumace. Quando i Guelfi neri presero il potere a Firenze, lui, priore bianco, fu costretto a prender la via dell’esilio. Dice la sentenza del 1302: “Alighieri Dante è condannato per baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estorsive, proventi illeciti, pederastia, e lo si condanna a 5.000 fiorini di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpetuo (in contumacia) e se lo si prende, al rogo, così che muoia”. Carducci, nel suo saggio “Delle rime di Dante” (1893), rievoca quella temperie e lo stato d’animo del poeta:
« … si sente esule, vinto e solo; ma dopo un colpo di stato infame anche sente e crede che il diritto la legge l’avvenire è per lui e per la parte sua, per gli spogliati i banditi (messi al bando) e calunniati d’oggi, che erano gli onorati di ieri, che saranno i gloriosi di domani. Carlo di Valois giura solo per spergiurare; e anelando a’ bei fiorini d’oro, egli il senza-terra, tende in Firenze, come masnadiere in selva, gli agguati ai cittadini grassi che si lasciano spogliare. Messer Musciatto Franzesi segna le case da svaligiare e da ardere, per amore del buono stato guarentito dal re di Francia e dal pontefice; e al lume degli incendi Cante d’Agubbio, onorevole cavaliere anch’egli e podestà, riempie in fretta le liste di proscrizione. I magistrati e i giudici fanno da boia essi stessi e danno il tormento per strappare la rivelazione dei tesori, sempre a onore del buono stato o dell’ordine che voglia dirsi; e agli strilli dei tormentati e a i pianti delle donne e donzelle tratte alla vergogna i preti cantano in San Giovanni Te deum laudamus. E la plebe, mentre Corso Donati passando a cavallo schizza su i volti avvinazzati un po’ di fango sanguinoso, grida a squarciagola: Viva il barone! In somma, la maggioranza, ubriaca di vigliaccheria dinanzi alla forza, libidinosa di fornicare col buon successo, caccia via a calci il diritto e le leggi umane e divine. Che importa? Il diritto e le leggi riparano, come a loro asilo, all’anima di Dante».
Riporto questo brano giacché, riscritto con altri nomi e ammodernato, se ne potrebbe ritrovare intatta la sostanza nel tempo presente. Molti, esposti oggi alle ingiurie di leggi ‘dragoniane’, vedono in un volontario esilio l’unica via di salvezza (anche se è assurdo definire ‘volontario’ un atto cui si è indotti contro volontà). Sono molti a vagheggiare la fuga da un paese in cui si “caccia via a calci il diritto e le leggi umane e divine”, dove la gente grida a squarciagola: Viva il tiranno! E forse milioni di italiani, se trovassero un nuovo Mosè, sarebbero pronti all’esodo, ad attraversare deserti, pur di fuggire alla malvagità del Faraone.
Ma nessun Dio promette più una terra dove la dignità, la libertà, la vita stessa dei cittadini non siano vilipese. Più fortunato fu Dante, che poté riparare in città amiche. Per i ‘bianchi’ non esiste oggi luogo dove il ‘potere nero’ non possa raggiungerli, dove “la maggioranza ubriaca di vigliaccheria” non sia ostile e delatrice. Siamo circondati da una palude mortifera di norme, dal filo spinato dei decreti, persi nel labirinto legislativo di una corruptissima re publica e delle sue plurimae leges. Vessati da un pandemonio di regole che ufficialmente vorrebbe prevenire i contagi ma in realtà mira ad annientare una società – la sua economia, la sua politica, la sua cultura, il suo tessuto morale, le sue facoltà mentali.
Siamo oppressi da una teocrazia medico-scientifica, culto dal carattere semitico che ci impone un sistema farraginoso di purificazioni rituali, tabù e interdizioni. Si stabilisce così una nuova identità sociale, in cui la dignità della persona è vincolata all’osservanza di protocolli pseudo-religiosi. Solo chi si conformi a questo coacervo di ordini e divieti può far parte del popolo eletto. I pagani, gli idolatri, gli impuri, i non circoncisi, vanno esclusi e perseguitati. La matrice biblica di questo moderno Deuteronomio sanitario è riconoscibile da numerose analogie:
«Ora dunque, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, perché le mettiate in pratica, perché viviate … Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore Dio vostro che io vi prescrivo … Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte … Osservate attentamente tutte le prescrizioni che vi comunico, e fate quel che il Signore ordina come buono e giusto. Così voi e i vostri figli sarete sempre felici».
Questa reiterazione costante dei mitzvot – precetti, ingiunzioni – è oggi affidata agli organi di (dis)informazione. Una mascherina diventa il ‘segno’, il ‘pendaglio tra gli occhi’ con cui ricordarsi costantemente delle proprie obbligazioni religiose, fino a farne una seconda natura. E sulle porte di uffici, negozi ecc. troviamo affissi gli opportuni memorandum, perché i vari formalismi farisaici che la Legge ci impone siano sempre presenti alla coscienza dei cittadini.
«Potrebbe venire tra voi qualche profeta o qualche visionario a dirvi di seguire e di adorare altri dèi, con i quali non avete nulla a che fare. Cercheranno di dar forza alle loro parole con la predizione di qualche fatto straordinario, che poi si avvererà. Non ascoltate le parole di quel profeta o di quel visionario! … Quel profeta o quel visionario saranno messi a morte … Può anche succedere che una delle persone più care – un fratello, figlio della tua stessa madre, un figlio, una figlia, la moglie o un amico – ti inciti di nascosto a seguire e ad adorare altri dèi … Non ascoltarli e non dar loro retta!»
Così, se oggi qualcuno ci mostra – con dati, testimonianze affidabili, prove concrete – le falsità e le assurdità su cui si regge la Legge covidica, ci vien detto di non ascoltarlo. E se l’evidenza dei fatti confermasse le sue parole, dobbiamo negare l’evidenza. Ogni obiezione va estirpata con cieco, feroce dogmatismo.
«Non lasciarti neppure prendere da compassione per perdonarli o coprire la loro colpa. Devi uccidere una persona del genere! Devi essere il primo a lanciare il sasso, e poi tutto il popolo getterà sassi per farla morire … Tutti gli Israeliti dovranno venirlo a sapere, e, per la paura, nessuno tra voi oserà più commettere una tale azione malvagia! … farete indagini per conoscere come stanno le cose: vi informerete con cura. Se risulterà che il fatto è vero, e che una tale vergogna è stata commessa in mezzo a voi, destinerete allo sterminio quella città e quanto c’è in essa. Ucciderete gli abitanti e il loro bestiame, e porterete tutto il bottino in mezzo alla piazza».
“Vi informerete con cura” non significa che si debba esaminare obiettivamente la realtà, ma vigilare sull’ortodossia, reprimere brutalmente il dissenso e tutto ciò che attenti all’integrità della Legge. In tale contesto, le stesse disposizioni alimentari acquistano un’importanza cruciale per verificare la ‘purezza’ della nostra condotta:
«Potrete mangiare questi animali: il bue, la pecora e la capra, il cervo, la gazzella, il daino, lo stambecco, la capra selvatica, l’antilope e il camoscio. Vi sarà lecito mangiare ogni animale che rumina e che ha lo zoccolo spaccato, diviso in due unghie. Fra gli animali che ruminano o hanno lo zoccolo spaccato non mangerete il cammello, la lepre, l’irace: anche se ruminano, non hanno lo zoccolo spaccato. Essi saranno per voi animali impuri. Considererete impuro anche il maiale, che ha lo zoccolo spaccato, ma non rumina. Vi è proibito mangiare la carne di questi animali e non ne toccherete i cadaveri. Fra tutti gli animali che vivono nell’acqua vi sarà lecito mangiare quelli che hanno pinne e squame. Non mangerete nessuno di quelli che non hanno pinne e squame: considerateli impuri. Potrete mangiare gli uccelli considerati puri. Non mangerete invece questi: l’aquila, l’ossifraga e l’aquila di mare, il nibbio, ogni specie di falco e di corvo, lo struzzo, la civetta e il gabbiano e ogni specie di sparviero, il gufo, la nottola, il cigno, il pellicano, l’avvoltoio, l’alcione, la cicogna, ogni specie di airone, l’upupa e il pipistrello. Saranno per voi impuri tutti gli insetti che volano: non li potrete mangiare. Gli altri volatili saranno considerati puri e li potrete mangiare. Non mangerete la carne di un animale morto di morte naturale. Non farete cuocere un capretto nel latte di sua madre».
Ho citato per esteso per mostrare come, benché si riferiscano ad ambiti diversi, l’astrusa normatività vetero-testamentaria e le varie prescrizioni anti-contagio rimandino a uno stesso codice letterario. E poco cambia se invece di un profeta che riceve indicazioni da Yahweh v’è un leader politico che consulta un onnisciente “comitato tecnico scientifico”. Anche gli involuti decreti sanitari definiscono una tassonomia del lecito e del proibito basata su ragioni inesplicabili, aleatorie o simboliche, e parallelamente impongono protocolli di culto, di sacrificio, di osservanza religiosa. Mutata mutandis, determinano un’uguale soggezione all’Autorità, la stessa ossessione dell’impurità rituale, la reiezione violenta dell’infedele, un incitamento all’odio e al fanatismo.
Importante non è il senso o l’utilità della regola ma il dovere di rispettarla, inibendo ogni libero esame. La norma può essere in sé assurda e in un certo senso deve esserlo. Infatti, più è illogica e incomprensibile, tanto più si rende evidente la necessità dell’ubbidienza e della fede. Proprio nella loro insindacabile irrazionalità, le disposizioni sanitarie, come moderni mitzvot, indicano nella sottomissione l’unica via per giungere alla salvezza, alla terra promessa dove scorrono fiumi di latte e miele.
Vi sono tuttavia alcune fondamentali differenze storiche e morali: 1) il popolo ebreo fu spinto a seguire Mosè da prodigi e profezie veridiche. Oggi la gente crede ai profeti covidici nonostante continui, clamorosi fallimenti e predizioni errate. 2) La legislazione mosaica ricorre alla classica polarità pedagogica premio-castigo, minaccia-lusinga. L’attuale normativa prevede invece solo la punizione, il bastone senza la carota. La ricompensa consiste nel non togliere libertà fondamentali, nel non applicare penalità. L’intimidazione diviene perciò l’unico strumento di governo. 3) Le norme mosaiche avevano carattere di stabilità e chiarezza. Quelle attuali sono invece ondivaghe e caotiche, richiedono sempre nuovi e diversi adempimenti. Creano così un’incertezza strutturale e le condizioni di un continuo “essere in difetto”. 4) La differenza più radicale: gli ebrei fuggivano dalla loro condizione di schiavi in Egitto. La gente fa oggi il viaggio inverso. Il nostro è un esodo verso la totale schiavitù.
‘Esodo’ è in realtà allegoria di un viaggio dello spirito. Oggi ci troviamo a un bivio, di fronte a due possibili esodi. Possiamo uscire dalla nostra ‘umanità’. Esodo verso un Egitto tecno-farmacologico dove saremo ridotti a ubbidienti dispositivi. L’alternativa è lasciare questa civiltà putrida, in disfacimento, per cercare “un nuovo cielo e una nuova terra”. Esodo di contumaci che rifiutano un Potere corrotto e la sua Legge. Esodo di ribelli e di scomunicati, di quanti son tenuti in quarantena perché non diffondano un contagio di libertà. Se ‘umanità’ indica ciò che v’è di nobile nell’uomo, non v’è dubbio che saranno i contumaci a salvarla.