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Il “complesso” del vincolo esterno

di Thomas Fazi - 06/09/2020

Il “complesso” del vincolo esterno

Fonte: Thomas Fazi

Interessantissimo estratto di un articolo dell’intellettuale socialista spagnolo Manolo Monereo, da cui si evince come la strategia del “vincolo esterno” – cioè la scelta delle classi dirigenti di un paese di ancorare quest’ultimo all’Unione europea con l’obiettivo di delegare a quest’ultima l’imposizione di politiche classiste che quelle classi dirigenti avevano sempre auspicato ma non sarebbero mai riuscite a imporre attraverso i normali canali della democrazia –, che trova un paradossale contraltare a sinistra in quello che potremmo invece chiamare il “complesso” del vincolo esterno – cioè l’idea che il paese abbia bisogno della UE per rimanere nel consesso delle nazioni civilizzate e nella fattispecie per arginare “i nazionalisti” –, non sia un problema solo italiano:
«L’europeismo delle destre [spagnole] è singolare. Non hanno mai avuto difficoltà ad accettare un ruolo dipendente e subordinato della Spagna nell’Europa a trazione tedesca. Lo vedevano come inevitabile e necessario: perché il loro problema era lo stesso di quello del PSOE: controllare il conflitto sociale, neutralizzare il sindacalismo di classe, ridurre il peso politico del PCE e di Izquierda Unida. Il trattato di Maastricht, l’Unione economica e monetaria, era la grande opportunità per disciplinare l’economia, imporre la camicia di forza al movimento operaio e delegare alla UE le decisioni economiche fondamentali. Cedere sovranità per conservare più potere sulle classi popolari del proprio paese.
L’Unione europea – diciamolo senza eufemismi, l’Europa tedesca – riscuote il consenso totale del blocco di potere che domina la Spagna. Il suo carattere di classe è chiarissimo. I tre grandi attori della vita politica spagnola, le destre, i socialisti e i nazionalisti, condividono quella che Miguel Herrero ha definito la “sindrome di Vichy”, vale a dire delegare a una terza parte (la Germania hitleriana) la funzione di decidere un conflitto interno: “l’essenza di Vichy non fu altro che la collaborazione con la potenza occupante perché questa facesse il lavoro sporco che gran parte della destra francese (e anche gran parte della sinistra) avrebbe desiderato fare, ma non osava fare da sé”.
La politica del “blocco di potere” in Spagna è consistita nell’incistarsi a qualsiasi prezzo – questo è il consenso di base su cui si è fondata la transizione [dalla dittatura all democrazia] – in una Unione europea in costruzione. Non importa che questa integrazione ci converta in una periferia economica dipendente e politicamente subalterna. I quattro grandi attori della politica spagnola sono interni, nell’una o nell’altra forma, a questo progetto: le destre, il Partito Socialista, i nazionalisti e i sindacati. Unidas Podemos continua a sognare che questa Europa neoliberale possa essere convertita in uno spazio di diritti sociali, di libertà e di sviluppo economico inclusivo e giusto.
[Anche] gli attori sociali, basicamente i sindacati, seguono la stessa strategia delle forze politiche dominanti. Il che attribuisce loro il compito delicato di “inventarsi” periodicamente una “Europa sociale” sempre in procinto di emergere. Il paradosso è notevole: a più Europa, meno solidarietà di classe, meno convergenza sociale e minor peso dei sindacati in tutte le situazioni. La gravità del problema è difficile da nascondere: il movimento operaio organizzato non è stato capace di organizzare uno sciopero generale dei lavoratori della UE in un momento drammatico come la crisi del 2008. Oggi langue fra varie commissioni, gruppi di lavoro e riunioni periodiche con le istituzioni. Nella realtà dei conflitti e delle lotte, l’internazionalismo è meno sviluppato che nella fase degli Stati-nazione. L’accecamento volontario cresce molto nel tempo delle sconfitte.
Considerato tale livello, capisco bene quelli che, spesso enfaticamente, esprimono la seguente posizione: solo l’Europa ci salverà da noi stessi, dalle nostre contraddizioni sociali di base, dalla nostra oligarchia, dal golpismo. Dopo la nascita di Vox, questo atteggiamento si è molto accentuato. Persone rispettabili, storicamente critiche nei confronti della UE, la definiscono ora come il male minore. Questa Europa non gli piace; ma l’idea di una Spagna sovrana e indipendente la vedono come problematica e negativa nelle condizioni attuali.
[La posizione delle sinistre è però del tutto] controfattuale: (senza UE) si starebbe peggio punto e basta. A partire da qui, si inanella un discorso interminabile che giustifica cedimenti, sacrifici (perdite di) diritti. Si può capire che quelle persone e quei gruppi che credono nell’economia capitalista, nello Stato minimo, nell’autoregolazione dei mercati, nella necessità di limitare la sovranità popolare e costituzionalizzare le politiche neoliberali ecc. puntino decisamente su questa UE, la deifichino e la convertano nell’orizzonte insuperabile della nostra epoca.
Ciò che è difficile capire è che socialdemocratici, gente di sinistra, socialisti e persino comunisti continuino a difenderla e, nei momenti che stiamo vivendo, si convertano nei suoi apologeti. Non inganniamoci, ciò che questo tipo di integrazione europea impedisce è il riformismo in qualsiasi forma, le politiche economiche democratiche e il costituzionalismo sociale. Se lo sappiamo perché tacere, perché ingannarci e ingannare? Questo può solo produrre autoritarismo sociale e involuzione politica».