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Il “riciclo” del Pd e l’agonia cinquestelle

di Emanuele Boffi - 09/09/2019

Il “riciclo” del Pd e l’agonia cinquestelle

Fonte: Tempi

Caro direttore, a proposito del nuovo governo giallorosso. Forse pochi sanno che l’Italia è leader europeo per l'”economia circolare” cioè con la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti, più del doppio della media europea. Ma nessuno sa che siamo anche leader europei per la “politica circolare” cioè il tasso di riciclo dei partiti rifiutati dall’elettorato alle ultime elezioni amministrative e europee.
Gianmario Gatti

Vecchia storia, Gianmario. Come ha scritto Paolo Mieli «da noi, in settantacinque anni, non è mai successo che la sinistra sia andata al potere in seguito a una vittoria elettorale. Con l’unica eccezione del 21 aprile 1996 quando vinse l’Ulivo con Romano Prodi».
C’è, poi, un altro riciclo in atto, mi pare, ed è quello delle seconde linee del Pd, che ci fa capire quanto il partito creda in questo governo (se si eccettua Paolo Gentiloni, che, infatti, è stato mandato in Europa come commissario europeo). Matteo Renzi e Nicola Zingaretti sono rimasti fuori e così si tengono le mani libere: chi ha seguito in questi giorni le trattative non può non avere il fondato sospetto che tra i due sia in corso una battaglia per avere la supremazia tra i democratici e che, al momento opportuno, soprattutto il primo, useranno dei risultati dell’esecutivo per regolare i conti.
Seconda osservazione: dei 21 ministri, 10 sono del Pd (Luciana Lamorgese agli Interni passa come tecnico, ma è una dem), 1 di Leu (Roberto Speranza, ex Pd), 10 del M5s. Quindi, a differenza del governo gialloverde, dove c’era – visto il risultato delle elezioni del 4 marzo – una predominanza grillina, qui c’è sostanziale parità (nonostante, appunto, allora il M5s avesse preso il 32 per cento e il Pd il 18). Adesso escono i ministri più “scomodi” (Trenta, Toninelli), Di Maio ottiene un dicastero importante, ma non è più vicepremier, e quelli davvero strategici (Economia, Interni, Infrastrutture) vanno ai rossi.
Terza osservazione: Giuseppe Conte. Ormai è post-grillino e questo spiega perché Di Maio, fino all’ultimo, abbia cercato di fare il vicepremier. Ha capito che il presidente del Consiglio stava giocando una partita tutta sua, ormai slegata dal Movimento. Alla fine ha vinto Conte e perso Di Maio, che è riuscito solo a piazzare Riccardo Fraccaro alla vicepresidenza, ma non se stesso.
Conclusione: ha ragione il politologo Roberto D’Alimonte quando dice che questo governo è stato voluto da Beppe Grillo: è lui che ha deciso di mollare Di Maio e puntare su Conte, «utilissimo al Pd», come dice Salini. Di Grillo si può dire tutto (io penso il peggio), ma non che sia stupido: ha capito che il M5s era arrivato ad un punto morto per l’evidente inadeguatezza della sua classe dirigente e, con un colpo di teatro, s’è messo nelle mani dei democratici. Alla morte, ha preferito l’agonia. Da parte loro, quelli del Pd hanno scelto di prolungare la legislatura per non andare a elezioni con un centrodestra che, con questa legge elettorale, avrebbe fatto cappotto. Ma hanno scelto di andare avanti con la “squadra B”, vedi mai che la cosa finisca male. Secondo me, finirà male per il Paese, ma durerà fino all’elezione del nuovo capo dello Stato. E a Matteo Salvini ci penseranno i giudici.