L'accelerazione finale dell'accumulazione del capitale
di Carlo Formenti - 12/07/2021
Fonte: Carlo Formenti
Marx diceva che il capitale vorrebbe neutralizzare spazio e tempo per spingere alla velocità assoluta il ciclo dell’accumulazione. Ebbene ci siamo, esulta tale Gianmario Verona sul Corriere di oggi (“Il nuovo tempo ibrido che ci porterà al futuro”). “il tempo digitale”, scrive, “è 24x7…di giorno di notte, al lavoro, in vacanza è sempre attivo e funziona costantemente. Come i prodotti Amazon che ci portano a casa dopo che li abbiamo acquistati negli orari più improbabili…”. Non ingannatevi, qui la vacanza non c’entra: ciò di cui si sta parlando è una giornata lavorativa di 24 ore, quella che sognavano i padroni dell’800 quando prolungavano il tempo di lavoro fino alle 18 ore, con il rischio di far crepare i dipendenti. Ora il sogno diventa realtà grazie all’universo digitale in cui “il tempo è una variabile che semplicemente non conta. È sempre on, sempre acceso”. Certo, qui non si rischia l’estinzione della classe operaia, che indusse i governi inglesi a introdurre il limite delle dieci ore di lavoro, perché, come scrivevo qualche anno fa in “Felici e sfruttati” (Egea editore), una quota del lavoro in questione non è percepito come tale, è lavoro del consumatore (cui vengono delegate funzioni che prima erano svolte dal capitale commerciale che oggi, a proposito di Amazon, ne scarica una parte ai consumatori e il resto agli schiavi che sgobbano nei suoi magazzini e che, quando si ribellano, rischiano di finire sotto un camion, come è successo qualche giorno fa), o è lavoro degli utenti social che producono gratuitamente i big data che sono la materia prima del modello di business delle Internet Company. Ciò detto, l’intensificazione produttiva cui ci ha obbligati la pandemia immergendoci nel tempo digitale, è un fatto indiscutibile: “completata una riunione (o una lezione) ne iniziamo un’altra” gongola Verona e via di questo passo (ciò che non dice è che preparare sessioni di Dad, riunioni virtuali ecc. comporta un sacco di lavoro di preparazione offline, pari se non superiore a quello svolto in tempi “normali”). E del resto perché rimpiangere la normalità, visto che, ora che minaccia di tornare, scrive il nostro, “ci stiamo rendendo conto che il tempo non ci basta più” (lascia perdere il “ci” e parla per te coglione, verrebbe da dirgli). Il rischio, aggiunge, è che “divenga impossibile MANTENERE LA PRODUTTIVITÀ’ DIGITALE”. Ecco il punto: la produttività (categoria che il capitalista interpreta giustamente come leva per incrementare il tasso del profitto) deve divenire l’unità di misura di tutte le attività umane, perché di tutte le attività umane il capitale digitale è in grado di appropriarsi per integrarle nel suo processo di valorizzazione (a condizione che ci si adegui ai suoi codici, ai suoi linguaggi e al suo immaginario). Abbandonare lo smart working ora che ne abbiamo sperimentato le “virtù”? Non sia mai: “raramente Sapiens è tornato indietro soprattutto quando le innovazioni che hanno cadenzato la sua vita rappresentavano elementi di miglioramento (!!??) della stessa”. E dopo questa pippa ritrita sulla irreversibilità del “progresso” tecnico, si torna al vero nodo: “possiamo infatti essere più PRODUTTIVI fare più cose…e allo stesso tempo così guadagnare ore da dedicare a noi stessi, alla famiglia, alle relazioni in generale" ( soprattutto se ci troviamo a rispondere alle mail del cliente o del capufficio anche a letto o mentre siamo sul cesso…). Quale la condizione per giungere a questa “nuova normalità”? Ovviamente “che il MERCATO offra a tutti noi le opzioni per decidere”. Tutti i salmi finiscono in gloria.