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L’interesse nazionale italiano e la Russia. L’Italia ha pagato un prezzo alto alle politiche atlantiste nei confronti di Mosca. Quello che aveva capito Enrico Mattei e che gli costò la vita

di Stefano Vernole - 30/04/2025

L’interesse nazionale italiano e la Russia. L’Italia ha pagato un prezzo alto alle politiche atlantiste nei confronti di Mosca. Quello che aveva capito Enrico Mattei e che gli costò la vita

Fonte: faro di Roma

Le basi della geopolitica italiana contengono un elemento spirituale importante, la capacità di comprendere che l’Asia non è nemica dell’Europa. L’unità della civiltà mediterranea creata da Roma era Oriente ed Occidente.

Nell’ambito del progetto “Il futuro dell’Europa è nelle nostre mani”, il 24 aprile si è tenuta a Vienna una conferenza internazionale dal titolo “Europa senza guerre e sanzioni – Una nuova economia in un’Europa di pace”. L’evento è stato organizzato in collaborazione con la Vienna Academic Society, la rivista politica “Zur Zeit” e la filiale austriaca del Center for Geostrategic Studies. L’obiettivo principale della conferenza è stato creare un dibattito aperto sui problemi di sicurezza ed economici europei e sulle modalità per risolverli attraverso il dialogo e la cooperazione, nonché sulle possibilità di ridefinire le relazioni con le grandi potenze dal punto di vista degli interessi continentali. Al convegno hanno partecipato studiosi ed esponenti politici di diverso orientamento. Di seguito, l’intervento integrale di Stefano Vernole, Vicepresidente del Centro Studi Eurasia
Mediterraneo

Il ruolo di Enrico Mattei

L’Italia per Enrico Mattei era una fede e un’ossessione: l’Interesse Nazionale si trovava al primo posto dei suoi pensieri.
La politica industriale è politica estera. La politica industriale non si muove mai in un vuoto, ma nello spazio in cui si trova uno Stato, determinato dalle principali potenze mondiali, dalla sua collocazione geografica e dalle turbolenze dei suoi confini.

Il nazionalismo di Mattei era “internazionalista”, perché sempre consapevole di questo scenario globale e del fatto che la potenza dell’Italia era determinata dalla sua capacità di tessere rapporti e di contare nei suoi spazi di elezione, il Mediterraneo allargato e l’Africa.
La politica industriale è basata sulle persone. La fondamentale caratteristica di un grande uomo di potere, di un capo quale era Enrico Mattei, sta quindi nella creazione di istituzioni, di luoghi che riescono a sopravvivere alla fine di chi esercita il comando.

La politica industriale è formazione: viene creato l’Ufficio Studi dell’ENI, un’organizzazione
puntigliosissima.
La politica industriale è organizzazione: caratteristica che ha permesso all’ENI di rinnovarsi.
La politica industriale è politica scientifica. Mattei comprese che tra le necessità e possibilità
dell’Italia vi era quella di diventare una potenza scientifica. Si pensi alla qualità della ricerca
nucleare italiana.

1 Conferenza internazionale in Austria: “Europa senza guerre e sanzioni – Una nuova economia in un’Europa di pace”, 26 aprile 2025.

2 La spesa pubblica e privata in Ricerca & Sviluppo (R&S) in Italia è oggi tra le più basse rispetto alle grandi economie OCSE, in termini sia assoluti che relativi al Pil. Il divario rispetto a Stati Uniti e Germania, già sostanzioso quarant’anni fa, è oggi più ampio che mai. Riguardo al ruolo di pubblico e privato, in tutti i Paesi analizzati il peso del settore
pubblico si è ridotto rispetto alla componente privata rappresentata dagli investimenti delle imprese. In Italia la spesa  pubblica è stimata allo 0,5% del Pil nel 2024, con un aumento di solo lo 0,1% previsto dal Governo nei prossimi 5 anni.

La frase di Mattei: “Non possiamo più andare all’estero come poveri migranti che non hanno niente se non le proprie braccia. Vogliamo andare anche noi come imprenditori”.

La geopolitica di Enrico Mattei

Il 26 luglio 1956 Mattei era presente insieme a Nasser all’inaugurazione dei lavori di un oleodotto che sarebbe dovuto passare dal Cairo a Suez; nel contesto della decisione del leader egiziano di nazionalizzare il Canale, Mattei propose a Nasser i servizi dell’Eni per costruire la diga di Assuan.
La sua proposta fece storcere il naso agli americani per diverse ragioni, non solo perché il
presidente del cane a sei zampe stava ritagliando per l’Italia un ruolo da protagonista nella partita energetica, ma anche perché offrendosi di contribuire al finanziamento della diga di Assuan aveva di fatto tolto peso alla decisione degli Stati Uniti (gli U.S.A. inizialmente si erano offerti di partecipare al progetto ma si erano poi tirati indietro a seguito dell’atteggiamento neutralista di Nasser).

Uno dei maggiori successi di Mattei corrisponde a quello che viene considerato tra i più grandi attacchi mai lanciati al sistema delle cosiddette Sette Sorelle: lo scardinamento della regola del fifty-fifty imposta dalle compagnie petrolifere angloamericane ai Paesi produttori di petrolio, secondo la quale questi beneficiavano solo del 50% dei profitti in cambio del rilascio delle concessioni di estrazione alle compagnie petrolifere straniere; senza contare che spesso la percentuale scendeva ben al di sotto. Mattei riuscì a consolidare ottimi rapporti con l’Iran, soprattutto grazie alla particolarità dell’accordo che lo Scià avrebbe poi accettato: il contratto segnò una novità strutturale nel mondo delle compagnie petrolifere che poi sarebbe stata replicata con simili metodologie anche altrove, come per esempio in Libia. L’Iran e l’Italia avrebbero costituito una società al 50%, che riconosceva il 50% delle royalties allo Stato iraniano ed il restante 50% diviso equamente tra l’Eni e l’ente nazionale petrolifero iraniano (National Iranian Oil Company).

Quindi, essendo la NIOC un’azienda di Stato, l’Iran beneficiava del 75% dell’accordo. Le Sette Sorelle lo considerarono un vero e proprio attacco al loro ruolo egemone sul mercato.
I rapporti tra Mattei e l’Iran migliorarono, quando insieme all’accordo firmato tra Eni e Nioc il 14 marzo del 1957, l’8 settembre dello stesso anno le due aziende fecero nascere la Sirip (Società Irano-Italienne des Pétroles). L’Eni promise di prendersi carico di tutte le spese di ricerca del petrolio di cui si sarebbe dovuta occupare la nuova società: la promessa era che in caso di scoperta di riserve e giacimenti petroliferi sul suolo iraniano, questi ultimi avrebbero rimborsato le spese affrontate precedentemente dall’azienda italiana.

La battaglia di Mattei contro le multinazionali angloamericane

Con pazienza meticolosa non solo Mattei ricostruì i rapporti con Teheran, ma riuscì a recuperare quelli persi con la Libia a causa delle guerre coloniali che l’Italia aveva intrapreso in passato. La spesa privata per R&S, oltre a essere più bassa di quella estera, è anche meno orientata verso l’introduzione di prodotti. Ciò non è riconducibile soltanto a fattori dimensionali, ma anche a una scarsa propensione alla ricerca: anche le nostre imprese più grandi spendono meno in R&S delle corrispettive estere.

Qui, insieme al Primo Ministro libico Ben Halim, aveva messo a punto una convenzione che
avrebbe dovuto accordare all’Agip un’area di 30.000 km quadrati nel Fezzan per le ricerche
petrolifere. Accordo che poi venne fatto saltare dagli Stati Uniti (la stessa fine toccò a Ben Halim). Mattei riuscì ad entrare nelle grazie del Re di Giordania e ad intromettersi nei rapporti fra la Francia e l’Algeria, che all’epoca era ancora colonia francese seppur colpita dai primi subbugli indipendentisti. Stessa cosa che incredibilmente riuscì a fare con la Tunisia, il Libano e il Marocco, allora partner esclusivi di Parigi.
Entrati negli anni ’60, Mattei ritenne che le condizioni politiche fossero mature per mettere a segno un altro colpo. In piena Guerra Fredda egli decise di partire alla volta di Mosca, dove firmò un importante contratto con l’Unione Sovietica per l’acquisto di greggio: Giuseppe Ratti, allora responsabile del servizio esteri dell’Eni, ricorda che quest’accordo riguardava tra il 20% e il 25% dell’intero fabbisogno dell’Ente nazionale idrocarburi. In cambio l’azienda italiana si sarebbe impegnata a esportare in Unione Sovietica 50.000 tonnellate di gomma sintetica dell’Anic, varie apparecchiature del Nuovo Pignone e 240.000 tonnellate di grossi tubi d’acciaio della Finsider.
Un’intesa che avrebbe aperto le porte del mercato sovietico anche ai prodotti di altre nostre imprese. Subito arrivarono gli attacchi della stampa statunitense che lo definì “traditore”, in quanto accusato di mettere a repentaglio la sicurezza della NATO e del mondo occidentale.
I rapporti che l’ente petrolifero italiano di Stato stava allacciando con l’Algeria per lo sfruttamento dei suoi giacimenti portò il fondatore dell’Eni a partecipare alla causa per l’indipendenza del Paese, atteggiamento che irritò l’OAS (Organisation Armée Secrète); l’organizzazione terroristica oltranzista di estrema destra, fondata nel 1961 a Madrid con l’anacronistico obiettivo di mantenere lo status di colonia francese per l’Algeria, minacciò di morte Mattei con una lettera scritta e divulgata dai media internazionali.
Il 10 gennaio 1962 fu registrato il primo tentativo di sabotaggio all’aereo del Presidente dell’Eni: venne ritrovato un cacciavite nei serbatoi. Il 27 ottobre 1962 l’aereo con a bordo Enrico Mattei, il pilota Bertuzzi e il giornalista McHale precipitò a Bascapè in provincia di Pavia.

La storia di ENI in Russia

Italia, che fare?
Le politiche energetiche attuate dagli anni Novanta ad oggi hanno reso il sistema italiano
insostenibile sul piano economico. Nel breve termine, è necessario restituire al Governo centrale poteri di indirizzo del sistema energetico nazionale e ricostruire nella pubblica opinione un quadro informativo corretto, eliminando dalle scelte politiche qualsiasi preclusione di tipo ideologico. Nel medio termine è necessario: convertire a carbone alcuni impianti termoelettrici; costruire impianti nucleari 16 , costruire impianti idroelettrici di grande taglia e impianti di pompaggio; costruire rigassificatori. Nel lungo termine è necessario raggiungere un mix produttivo economicamente sostenibile: carbone (20%) nucleare (20%) gas (20%) idroelettrico (20%) altre fonti rinnovabili
(20%).  Ha poco senso per l’Italia ridurre la dipendenza dal gas russo (economico e abbondante) per elemosinarlo da Paesi politicamente instabili (come l’Algeria e l’Egitto dove il giacimento di Zohr ha registrato un calo del 30%) o che non lo producono ancora (come l’Angola, il Congo e il Mozambico). Gli accordi stabiliti finora dal Governo sostituiranno solo il 10% del fabbisogno di gas dell’Italia, non prima di una decina d’anni e richiederanno la realizzazione di nuovi impianti costosi.

L’Italia ha pagato un carissimo prezzo per aver sottostato alle politiche atlantiste nei confronti della Federazione Russa (e non solo). Le percentuali di imprese colpite dalle sanzioni internazionali nel 2022 erano: Russia (68%), Francia (64%), Italia (64%), contro il 42% della media mondiale, senza contare le decine di miliardi di euro perse dal nostro Paese a partire dal 2014 in settori come l’agricoltura, la meccanica, il turismo …
Se confrontiamo le previsioni del Fondo monetario internazionale di ottobre del 2021, antecedenti allo scoppio della guerra in Ucraina, con i dati del World Economic Outlook pubblicato lo scorso gennaio, si calcola che tra il 2021 e il 2025 l’economia mondiale ha contabilizzato mezzo punto di elettriche in Russia e Ucraina. Il presidente serbo ha espresso la convinzione che il sistema energetico in alcune parti d’Europa crollerà completamente. “In tre, quattro anni l’America interromperà la fornitura di gas liquefatto, poiché lo
utilizzerà per le centrali elettriche a gas. Il consumo di elettricità sta diventando sempre più elevato. L’intelligenza artificiale e le auto elettriche stanno trangugiando energia. Nel nostro Paese, consumiamo più energia in estate che in inverno. Questi sono i nostri problemi principali. Vučić ha osservato che il gas naturale costa 485 euro al metro cubo
all’hub TTF, il punto di riferimento europeo, e che la Serbia paga 323 euro al metro cubo. Il costo è inferiore grazie all’accordo con la Russia e a un prezzo relativamente favorevole per il gas azero” (la UE propone ora sanzioni all’Azerbaigian n.d.r.), ha spiegato. “Ecco perché siamo in grado di continuare a sovvenzionare, inoltre, sia la nostra
popolazione che la nostra industria. Per pagare un prezzo basso per il gas. Ma una buona parte del prezzo dell’elettricità, che sta crescendo anche nel mercato dei futures e ovunque, sarà determinata dal prezzo del gas.”

L’attuale Governo ha scelto la strada della legge-delega sul nucleare e il Ministro del Commercio Pichetto-Fratin è convinto che entro il 2030 l’Italia avrà nuovi impianti, ribadendo che se dovesse arrivare un accordo di tregua in Ucraina, l’Italia potrebbe riprendere i suoi rapporti energetici con la Russia. Inutile ricordare quanto una cooperazione anche nel settore nucleare sarebbe proficua per la politica energetica italiana, data la forte competenza della Russia in questo campo. Mosca coopera con diverse nazioni per la costruzione di centrali nucleari e per l’uso dell’energia atomica per scopi pacifici. Tra i Paesi coinvolti: Burkina Faso, India, (la stessa Ucraina prima del 2014 importava il 95%
del suo combustibile nucleare dalla Russia), Sudafrica, Namibia, Cile, Marocco, Egitto, Algeria, Kuwait e, recentemente, Ungheria.

Nonostante le sanzioni adottate nel 2014, prima della pandemia, “nel 2019, la Russia era il terzo Paese extraeuropeo (dopo USA e Cina) con più visitatori in Italia (1,7 milioni in un anno) e tra i Paesi extraeuropei era anche il mercato con la più alta permanenza media in Italia (3,7 notti), per una spesa complessiva di 2,5 miliardi, quindi oltre l’1% del valore
complessivo generato dal settore turistico che ammontava prima della pandemia a 230 miliardi”, cfr. ANPIT, Gli effetti delle sanzioni contro la Russia per le imprese italiane. Per l’Italia in vista 71 miliardi di danni, minore crescita del PIL all’anno: a fronte di un previsto tasso di crescita medio annuo del +3,8% il ritmo della crescita mondiale si abbassa al +3,3%. La frenata è più marcata per l’Unione Europea
che, a fronte di un previsto tasso di crescita medio annuo del +2,6% realizza un più ridotto tasso del +1,6%.

Sull’abbassamento del sentiero di crescita pesano numerosi fattori. All’incertezza determinata dall’instabilità del contesto internazionale e il calo della fiducia delle imprese, si sommano gli effetti delle diffuse strette monetarie attuate dalle banche centrali per arginare lo shock inflazionistico innescato dalla crisi energetica, del crescente ricorso a misure protezionistiche, del calo del commercio internazionale nel 2023 e la frenata delle economie di Cina e Germania.

Per quanto concerne l’impatto sull’economia italiana, solo nel triennio 2022-2024 “il complesso delle conseguenze economiche delle guerre si misura in 171,4 miliardi di euro – in media annua pari al 2,9% del PIL – conseguenti alle minori esportazioni nei Paesi belligeranti e nella Germania caduta in recessione, i maggiori oneri finanziari per le imprese causate dal caro-tassi e il maggiore costo dell’energia importata. L’inasprimento delle sanzioni nei confronti della Russia a partire dal febbraio 2022 ha determinato un pesante calo dell’export italiano verso i due Paesi belligeranti. Tra il 2021 e 2024 l’Italia registra 16,6 miliardi di mancate esportazioni in Russia e Ucraina, una perdita
valutata rispetto ad uno scenario di pace in cui, invece, la domanda dei due Paesi si sarebbe sviluppata allo stesso ritmo dei mercati extra UE.

Una elevata dipendenza dalla Russia ha contribuito a far scivolare in recessione l’economia tedesca, con ricadute pesanti sulle vendite del Made in Italy. Tra il 2021 e il 2024 l’Italia ha registrato una perdita di 22,9 miliardi di euro di esportazioni verso la Germania, valutata rispetto ad uno scenario di stabilità in cui, invece, la domanda del mercato tedesco si fosse sviluppata allo stesso ritmo dei restanti Paesi dell’Eurozona.

L’elevata dipendenza energetica dell’Italia dalle importazioni e la spinta dei prezzi delle
commodities hanno innescato un grave appesantimento della bolletta energetica. Se prendiamo a riferimento il livello normale di importazioni di energia del 3,5% del PIL rilevato nel 2021, secondo lo studio di Confartigianato, “l’Italia ha registrato un maggiore costo di acquisto di energia dall’estero per 76,3 miliardi di euro nel triennio 2022-2024. Nel corso della fiammata inflazionistica, in conseguenza di una escalation asimmetrica dei prezzi dell’elettricità in Europa, le micro e piccole imprese (MPI) italiane hanno pagato un pesante gap competitivo sul costo dell’energia elettrica rispetto a quello dei competitor europei”.
La grave turbolenza dei prezzi dell’energia ha riportato ad un tasso di inflazione armonizzato a doppia cifra, arrivando al +12,6% nell’autunno del 2022. Per riportare la crescita dei prezzi sotto controllo, la Banca centrale europea innalzato il costo del denaro, con un aumento di 400 punti base in soli dodici mesi. Nonostante dall’estate scorsa la BCE abbia avviato l’allentamento monetario, nel triennio 2022- 2024 si registrano 55,6 miliardi di euro di maggiori oneri finanziari sulle imprese, mentre a dicembre 2024 il trend dei prestiti alle imprese rimane in territorio negativo, segnando una flessione del 2,3% (era -3,6% nel mese precedente).

L’ultima previsione per il 2025 sulla crescita italiana prevista nel DEF per quest’anno dovrebbe attestarsi al +0,6%., in linea con i calcoli diffusi da Confindustria e da Bankitalia: rappresenta un dimezzamento secco del +1,2% messo in programma dal Governo a ottobre nel Piano strutturale di 18 Confartigianato Imprese, Le conseguenze economiche delle guerre: 171,4 miliardi di euro in tre anni, confartigiano.it,
Febbraio 2025. Gli istituti economici tedeschi prevedono per il 2025 una crescita (al ribasso) del PIL della Germania allo 0,1%.

Oltretutto, il bilancio e la situazione non potrà che peggiorare. Per azzerare i dazi sui prodotti europei, gli USA pretendono che l’Unione Europea acquisti 350 miliardi di euro di “energia statunitense”, ovvero il loro gas liquefatto, nonostante gli USA forniscano già il 48% del totale delle importazioni europee di LNG. L’idea è quella di azzoppare ulteriormente la nostra economia facendo lievitare i costi energetici, per convincere le fabbriche europee a trasferirsi negli Stati Uniti.

La percezione di essere il veicolo della globalizzazione dai valori liberali e non un possibile
soggetto geopolitico che compete con altri attori ha influenzato le azioni della U.E. e ridotto le sue capacità di scendere a compromessi. L’ascesa della Grande Eurasia e dei Paesi del Sud globale avviene mentre la regione transatlantica si frammenta lungo tre livelli: U.S.A. ed Europa si dividono, l’Europa si frammenta sia tra nord e sud che tra est e ovest; i singoli Paesi si radicalizzano man mano che il liberalismo (capitalismo finanziario) si allontana dallo Stato nazionale. Lo stato attuale dell’Euro e della U.E. non sono più sostenibili a lungo: se i costi alla perdita di sovranità supereranno i benefici, gli Stati membri ritireranno la propria fedeltà politica a Bruxelles. Lo spostamento dell’Europa verso Oriente potrà essere ritardato artificialmente provocando una qualche crisi (vedi politica del riarmo basata su nuovi prestiti) ma i singoli Stati nazionali potranno comunque aderirvi. Nel febbraio 2017, dei documenti tedeschi trapelati e denominati “Prospettiva Strategica 2040” delineavano dei piani di emergenza da attuare nel caso in cui l’UE fosse collassata
e prevedevano che alcuni Stati europei si sarebbero allora avvicinati alla Russia 20 . Nel mondo multipolare, essere dipendenti dagli Stati Uniti non è più fattibile, a meno di non tramutarsi in una provincia di Washington. La U.E., invece di adottare la strategia dell’oscillazione per incoraggiare le potenze esterne a collaborare amichevolmente, si è legata permanentemente ad una sola regione (quella transatlantica), per cui gli attori internazionali non hanno più alcuno stimolo a prenderla in considerazione. L’Europa rifondata, tuttavia, potrebbe integrarsi nel progetto eurasiatico: Russia, Brasile, E.A.U., Arabia Saudita e Turchia sono tutti grandi produttori di energia o hub strategici e
possiedono i materiali di base fondamentali per la transizione energetica.

Nel frattempo, l’unica opzione possibile di sopravvivenza è la ricerca della diplomazia. Da questo punto di vista, la mediazione del Vaticano nell’attuale conflitto russo-ucraino è indubbiamente un tassello di speranza 21 . Lo scorso 4 aprile si è svolto un colloquio telefonico tra l’Arcivescovo Paul R. Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali, e Sergey Lavrov, Ministro degli Affari Esteri della Federazione Russa. Il dialogo è stato dedicato al quadro generale della politica mondiale, con particolare attenzione alla situazione della guerra in Ucraina e ad alcune iniziative volte a fermare le azioni belliche. È stata anche ribadita la disponibilità della Santa Sede a continuare l’impegno umanitario nelle questioni riguardanti lo scambio di prigionieri. Infine, sono state esaminate anche alcune questioni relative alla vita religiosa e, in particolare, alla situazione della Chiesa cattolica nella Federazione Russa. Come ben comprese Giovanni Paolo II
nel 2001: “Il mio augurio è che l’Ucraina possa inserirsi, a pieno titolo, in una Europa che abbracci l’intero continente dall’Atlantico agli Urali. Come dicevo al termine di quel 1989 che tanto rilievo ha avuto nella storia recente del Continente, non ci potrà essere un’Europa pacifica ed irradiatrice di civiltà senza questa osmosi e questa partecipazione di valori differenti eppure complementari, che sono tipici dei popoli dell’Est e dell’Ovest”.

 

1 Conferenza internazionale in Austria: “Europa senza guerre e sanzioni – Una nuova economia in un’Europa di pace”, www.cese-m.eu, 26 aprile 2025.
2 La spesa pubblica e privata in Ricerca & Sviluppo (R&S) in Italia è oggi tra le più basse rispetto alle grandi economie OCSE, in termini sia assoluti che relativi al Pil. Il divario rispetto a Stati Uniti e Germania, già sostanzioso quarant’anni fa, è oggi più ampio che mai. Riguardo al ruolo di pubblico e privato, in tutti i Paesi analizzati il peso del settore pubblico si è ridotto rispetto alla componente privata rappresentata dagli investimenti delle imprese. In Italia la spesa pubblica è stimata allo 0,5% del Pil nel 2024, con un aumento di solo lo 0,1% previsto dal Governo nei prossimi 5 anni.

hy Buyck, Studio militare tedesco: crollo dell’UE possibile caso peggiore. Secondo un rapporto interno della Bundeswehr, l’ordine occidentale potrebbe crollare entro il 2040, “Politico”, 4 novembre 2017.21 Ucraina, telefonata Gallagher-Lavrov: focus sulle azioni per fermare la guerra, “Vatican News”, 4 aprile 2025.

22 Amedeo Lomonaco, Giovanni Paolo II, apostolo tra terra e cielo per aprire le porte a Cristo, “Vatican News”, 2 aprile
2025.