L’interesse nazionale italiano e la Russia. L’Italia ha pagato un prezzo alto alle politiche atlantiste nei confronti di Mosca. Quello che aveva capito Enrico Mattei e che gli costò la vita
di Stefano Vernole - 30/04/2025
Fonte: faro di Roma
Le basi della geopolitica italiana contengono un elemento spirituale importante, la capacità di comprendere che l’Asia non è nemica dell’Europa. L’unità della civiltà mediterranea creata da Roma era Oriente ed Occidente.
Nell’ambito del progetto “Il futuro dell’Europa è nelle nostre mani”, il 24 aprile si è tenuta a Vienna una conferenza internazionale dal titolo “Europa senza guerre e sanzioni – Una nuova economia in un’Europa di pace”. L’evento è stato organizzato in collaborazione con la Vienna Academic Society, la rivista politica “Zur Zeit” e la filiale austriaca del Center for Geostrategic Studies. L’obiettivo principale della conferenza è stato creare un dibattito aperto sui problemi di sicurezza ed economici europei e sulle modalità per risolverli attraverso il dialogo e la cooperazione, nonché sulle possibilità di ridefinire le relazioni con le grandi potenze dal punto di vista degli interessi continentali. Al convegno hanno partecipato studiosi ed esponenti politici di diverso orientamento. Di seguito, l’intervento integrale di Stefano Vernole, Vicepresidente del Centro Studi Eurasia
Mediterraneo
Il ruolo di Enrico Mattei
L’Italia per Enrico Mattei era una fede e un’ossessione: l’Interesse Nazionale si trovava al primo posto dei suoi pensieri.
La politica industriale è politica estera. La politica industriale non si muove mai in un vuoto, ma nello spazio in cui si trova uno Stato, determinato dalle principali potenze mondiali, dalla sua collocazione geografica e dalle turbolenze dei suoi confini.
Il nazionalismo di Mattei era “internazionalista”, perché sempre consapevole di questo scenario globale e del fatto che la potenza dell’Italia era determinata dalla sua capacità di tessere rapporti e di contare nei suoi spazi di elezione, il Mediterraneo allargato e l’Africa.
La politica industriale è basata sulle persone. La fondamentale caratteristica di un grande uomo di potere, di un capo quale era Enrico Mattei, sta quindi nella creazione di istituzioni, di luoghi che riescono a sopravvivere alla fine di chi esercita il comando.
La politica industriale è formazione: viene creato l’Ufficio Studi dell’ENI, un’organizzazione
puntigliosissima.
La politica industriale è organizzazione: caratteristica che ha permesso all’ENI di rinnovarsi.
La politica industriale è politica scientifica. Mattei comprese che tra le necessità e possibilità
dell’Italia vi era quella di diventare una potenza scientifica. Si pensi alla qualità della ricerca
nucleare italiana.
1 Conferenza internazionale in Austria: “Europa senza guerre e sanzioni – Una nuova economia in un’Europa di pace”, 26 aprile 2025.
2 La spesa pubblica e privata in Ricerca & Sviluppo (R&S) in Italia è oggi tra le più basse rispetto alle grandi economie OCSE, in termini sia assoluti che relativi al Pil. Il divario rispetto a Stati Uniti e Germania, già sostanzioso quarant’anni fa, è oggi più ampio che mai. Riguardo al ruolo di pubblico e privato, in tutti i Paesi analizzati il peso del settore
pubblico si è ridotto rispetto alla componente privata rappresentata dagli investimenti delle imprese. In Italia la spesa pubblica è stimata allo 0,5% del Pil nel 2024, con un aumento di solo lo 0,1% previsto dal Governo nei prossimi 5 anni.
La frase di Mattei: “Non possiamo più andare all’estero come poveri migranti che non hanno niente se non le proprie braccia. Vogliamo andare anche noi come imprenditori”.
La geopolitica di Enrico Mattei
Il 26 luglio 1956 Mattei era presente insieme a Nasser all’inaugurazione dei lavori di un oleodotto che sarebbe dovuto passare dal Cairo a Suez; nel contesto della decisione del leader egiziano di nazionalizzare il Canale, Mattei propose a Nasser i servizi dell’Eni per costruire la diga di Assuan.
La sua proposta fece storcere il naso agli americani per diverse ragioni, non solo perché il
presidente del cane a sei zampe stava ritagliando per l’Italia un ruolo da protagonista nella partita energetica, ma anche perché offrendosi di contribuire al finanziamento della diga di Assuan aveva di fatto tolto peso alla decisione degli Stati Uniti (gli U.S.A. inizialmente si erano offerti di partecipare al progetto ma si erano poi tirati indietro a seguito dell’atteggiamento neutralista di Nasser).
Uno dei maggiori successi di Mattei corrisponde a quello che viene considerato tra i più grandi attacchi mai lanciati al sistema delle cosiddette Sette Sorelle: lo scardinamento della regola del fifty-fifty imposta dalle compagnie petrolifere angloamericane ai Paesi produttori di petrolio, secondo la quale questi beneficiavano solo del 50% dei profitti in cambio del rilascio delle concessioni di estrazione alle compagnie petrolifere straniere; senza contare che spesso la percentuale scendeva ben al di sotto. Mattei riuscì a consolidare ottimi rapporti con l’Iran, soprattutto grazie alla particolarità dell’accordo che lo Scià avrebbe poi accettato: il contratto segnò una novità strutturale nel mondo delle compagnie petrolifere che poi sarebbe stata replicata con simili metodologie anche altrove, come per esempio in Libia. L’Iran e l’Italia avrebbero costituito una società al 50%, che riconosceva il 50% delle royalties allo Stato iraniano ed il restante 50% diviso equamente tra l’Eni e l’ente nazionale petrolifero iraniano (National Iranian Oil Company).
Quindi, essendo la NIOC un’azienda di Stato, l’Iran beneficiava del 75% dell’accordo. Le Sette Sorelle lo considerarono un vero e proprio attacco al loro ruolo egemone sul mercato.
I rapporti tra Mattei e l’Iran migliorarono, quando insieme all’accordo firmato tra Eni e Nioc il 14 marzo del 1957, l’8 settembre dello stesso anno le due aziende fecero nascere la Sirip (Società Irano-Italienne des Pétroles). L’Eni promise di prendersi carico di tutte le spese di ricerca del petrolio di cui si sarebbe dovuta occupare la nuova società: la promessa era che in caso di scoperta di riserve e giacimenti petroliferi sul suolo iraniano, questi ultimi avrebbero rimborsato le spese affrontate precedentemente dall’azienda italiana.
La battaglia di Mattei contro le multinazionali angloamericane
Con pazienza meticolosa non solo Mattei ricostruì i rapporti con Teheran, ma riuscì a recuperare quelli persi con la Libia a causa delle guerre coloniali che l’Italia aveva intrapreso in passato. La spesa privata per R&S, oltre a essere più bassa di quella estera, è anche meno orientata verso l’introduzione di prodotti. Ciò non è riconducibile soltanto a fattori dimensionali, ma anche a una scarsa propensione alla ricerca: anche le nostre imprese più grandi spendono meno in R&S delle corrispettive estere.
Qui, insieme al Primo Ministro libico Ben Halim, aveva messo a punto una convenzione che
avrebbe dovuto accordare all’Agip un’area di 30.000 km quadrati nel Fezzan per le ricerche
petrolifere. Accordo che poi venne fatto saltare dagli Stati Uniti (la stessa fine toccò a Ben Halim). Mattei riuscì ad entrare nelle grazie del Re di Giordania e ad intromettersi nei rapporti fra la Francia e l’Algeria, che all’epoca era ancora colonia francese seppur colpita dai primi subbugli indipendentisti. Stessa cosa che incredibilmente riuscì a fare con la Tunisia, il Libano e il Marocco, allora partner esclusivi di Parigi.
Entrati negli anni ’60, Mattei ritenne che le condizioni politiche fossero mature per mettere a segno un altro colpo. In piena Guerra Fredda egli decise di partire alla volta di Mosca, dove firmò un importante contratto con l’Unione Sovietica per l’acquisto di greggio: Giuseppe Ratti, allora responsabile del servizio esteri dell’Eni, ricorda che quest’accordo riguardava tra il 20% e il 25% dell’intero fabbisogno dell’Ente nazionale idrocarburi. In cambio l’azienda italiana si sarebbe impegnata a esportare in Unione Sovietica 50.000 tonnellate di gomma sintetica dell’Anic, varie apparecchiature del Nuovo Pignone e 240.000 tonnellate di grossi tubi d’acciaio della Finsider.
Un’intesa che avrebbe aperto le porte del mercato sovietico anche ai prodotti di altre nostre imprese. Subito arrivarono gli attacchi della stampa statunitense che lo definì “traditore”, in quanto accusato di mettere a repentaglio la sicurezza della NATO e del mondo occidentale.
I rapporti che l’ente petrolifero italiano di Stato stava allacciando con l’Algeria per lo sfruttamento dei suoi giacimenti portò il fondatore dell’Eni a partecipare alla causa per l’indipendenza del Paese, atteggiamento che irritò l’OAS (Organisation Armée Secrète); l’organizzazione terroristica oltranzista di estrema destra, fondata nel 1961 a Madrid con l’anacronistico obiettivo di mantenere lo status di colonia francese per l’Algeria, minacciò di morte Mattei con una lettera scritta e divulgata dai media internazionali.
Il 10 gennaio 1962 fu registrato il primo tentativo di sabotaggio all’aereo del Presidente dell’Eni: venne ritrovato un cacciavite nei serbatoi. Il 27 ottobre 1962 l’aereo con a bordo Enrico Mattei, il pilota Bertuzzi e il giornalista McHale precipitò a Bascapè in provincia di Pavia.
La storia di ENI in Russia
ENI è stato uno dei primi gruppi industriali europei a stabilire e sviluppare rapporti economici e commerciali con l’ex Unione Sovietica a partire dalla metà del secolo scorso. Agli inizi degli anni Cinquanta, Enrico Mattei firmò il primo accordo per l’acquisto di petrolio dall’URSS.
Alla fine degli anni Sessanta, i grandi progetti di esportazione del gas avviati in Russia coinvolsero diversi Paesi occidentali con la realizzazione d’importanti infrastrutture e di condotte di grande diametro per trasportare il gas in Europa. ENI garantì apparecchiature, know-how e servizi.
Nel 1969, con la firma del primo contratto per la fornitura di 6 miliardi di metri cubi/anno di gas naturale, divenuto operativo nel 1974, ENI e Gazprom avviarono un rapporto di collaborazione destinato a proseguire e a svilupparsi ininterrottamente fino ai nostri giorni. Negli anni Settanta e Ottanta si intensificarono i rapporti con ENI e le società che parteciparono alla costruzione del metanodotto di transito del gas russo attraverso la Repubblica Slovacca e l’Austria (gasdotto Trans Austria Gasleitung – TAG) fornendo impianti industriali e tecnologie. Lo sviluppo dell’immenso campo di gas naturale di Urengoy, in Siberia, aprì una nuova fase che ha permesso la fornitura di ulteriori quantitativi di gas naturale e l’impegno a incrementare gli acquisti di beni e servizi italiani. In quegli anni furono fornite 19 stazioni di compressione complete per il gasdotto da Urengoy. Negli anni Novanta vennero portate avanti grandi iniziative tra le quali particolarmente innovativo è stato il contratto del 1992 fra Tragaz (Consorzio Snamprogetti/Nuovo Pignone) e Gazprom per modernizzare il sistema di gasdotti russo, attraverso la fornitura di nuovi macchinari e attrezzature. A seguito di tale contratto fu possibile recuperare importanti volumi di gas altrimenti inutilizzati. ENI cominciò a ricevere forniture addizionali di gas naturale a partire dal 1996 e a stringere rapporti industriali con Gazprom dal 1998.
La “dipendenza europea”: dalla Russia agli Stati Uniti?
Nel 2021, l’UE aveva importato dalla Russia 155 miliardi di metri cubi di gas naturale, costituiti da 140 miliardi di metri cubi di gas naturale da gasdotti e 15 miliardi di metri cubi di GNL, pari al 45% delle sue importazioni totali di gas naturale. Anche se il volume totale delle esportazioni di GNL degli Stati Uniti nell’UE aveva raggiunto un nuovo massimo nello stesso periodo, raggiungendo un totale di 22 miliardi di metri cubi, esso rappresentava solo il 6% delle importazioni totali di gas naturale dell’Unione.
Il nuovo accordo energetico USA-UE vede gli Stati Uniti impegnarsi per garantire volumi aggiuntivi di gas naturale liquefatto (GNL) per il mercato dell’Unione Europea di almeno 15 miliardi di metri cubi nel 2022 con ulteriori incrementi previsti nel tempo. Nel piano REPowerEU, la Commissione Europea ha proposto che l’UE importi ogni anno altri 50 miliardi di metri cubi di GNL dal Qatar, dagli Stati Uniti, dall’Egitto, dall’Africa occidentale e da altri Paesi come l’Azerbaigian.
Se il piano fosse attuato e l’UE dovesse ridurre con successo la domanda di gas naturale di 100 miliardi di metri cubi entro il 2030, il GNL statunitense potrebbe rappresentare circa il 30% delle sue importazioni totali di gas naturale. I primi dati del 2025 confermano che gli Stati Uniti hanno rafforzato la loro leadership nel mercato del GNL, superando Qatar e Australia e influenzando gli equilibri energetici globali. Dopo un calo del 22% delle esportazioni verso l’Europa nel 2024, nel 2025 la domanda è risalita, con l’82% delle esportazioni statunitensi dirette al Vecchio Continente.
Le due parti hanno anche confermato la loro determinazione congiunta a porre fine alla dipendenza dell’U.E. dai combustibili fossili russi entro il 2027 7 . Ciò ha interrotto la strategia di lunga data dell’Unione Europea di raggiungere l’indipendenza energetica attraverso la cooperazione UE-Russia e ha notevolmente aumentato la suscettibilità dell’U.E. di essere “manipolata” dagli Stati Uniti sia nell’energia che nella finanza.
La maggior parte dell’infrastruttura del gasdotto russo esiste ancora. Sebbene la riapertura di Yamal sia improbabile, data la posizione della Polonia contro l’energia russa, e la capacità di TurkStream sia pienamente utilizzata, restano due opzioni: ripristinare il transito attraverso l’Ucraina o utilizzare il tratto del gasdotto Nord Stream 2 non danneggiato. Il contratto per il transito del gas russo attraverso l’Ucraina è scaduto a gennaio 2025. L’Ue ha discusso il possibile rinnovo del transito ucraino, con la Slovacchia che ha minacciato di bloccare il sostegno all’Ucraina, a meno che il transito non venga risolto, cfr. “Analisi Difesa”, 5 aprile 2025.
Nella sua relazione sulla sicurezza energetica italiana approvata nella seduta del 13 gennaio 2022, il Copasir rendeva noto che: “L’approvvigionamento è prevalentemente estero e origina in gran parte dalla Russia (42% dell’approvvigionamento estero), seguono Algeria (14%), Qatar (11%), Norvegia (9%), Libia (8%) e Olanda (2%) … Sulla carenza di gas ha inciso: la revisione dell’accordo di transito dell’export russo di gas attraverso l’Ucraina e un incendio occorso in un impianto di lavorazione vicino a Novy Urengoy che ha interrotto i flussi sulla Yamal pipeline; i rallentamenti per la certificazione del gasdotto Nord Stream 2, che collegherà Russia e Germania attraverso il Mar Baltico, aggirando l’Ucraina, il cui avvio sembra sempre più lontano. L’incertezza sull’avvio dei flussi dal NordStream2 (che gli Stati Uniti hanno poi fatto saltare n.d.r.), infine, aggrava la condizione di tensione sul lato dell’offerta. Il gas naturale sembra rappresentare una risorsa irrinunciabile nel breve-medio termine in attesa che possa completarsi la transizione energetica”.
Lo studio condotto dall’Istituto Bruegel nel 2022 sulla dipendenza energetica dell’Europa dalla Russia, lo ritiene non colmabile a breve; secondo il think thank, “se da qui all’estate Mosca smettesse di riscaldare gli europei, solo un freddo eccezionale comporterebbe l’insufficienza della soluzione GNL. Sarebbe lo scenario peggiore, che porterebbe ad uno stoccaggio vuoto già a marzo.
Fino all’estate, l’UE sarebbe in grado di sopravvivere a interruzioni su larga scala delle forniture di gas russe, sulla base di una combinazione di maggiori importazioni di GNL e misure dal lato della domanda come la riduzione del gas industriale. Tuttavia, ciò avrebbe un costo per l’economia dell’UE. Se poi una sospensione del gas russo dovesse essere prolungata nei prossimi inverni, sarebbe più difficile per l’UE farvi fronte. Breve e lungo periodo potrebbero, perciò, portare conseguenze differenti”.
L’Italia ha per fortuna due inverni incredibilmente “caldi” ma non il terzo, con un aumento del 30% dei costi sulle bollette energetiche nell’inverno 2024-2025.
La stessa ENI aveva pochi mesi prima del febbraio 2022 rinegoziato la sua intesa con Gazprom, firmando un contratto a per la fornitura di gas a lungo termine e contraddicendo le pressioni europee per la stipulazione con la Russia solo di accordi spot (peraltro soggetti alle speculazioni borsistiche, essendo il prezzo determinato dalla borsa olandese TTF). Dalla metà del 2021 le forniture di gas russe verso l’Europa si erano sì ridotte tra il 25 e il 40% (gennaio 2022), ma non era questa la ragione principale dell’aumento dei pezzi delle bollette energetiche.
Come ribadito dagli analisti del settore, es. Tabarelli (Nomisma Energia): “Ci sono quattro motivi: a iniziare dalla carenza di gas in Europa, dovuta al lungo inverno scorso e alla frenata delle consegne di Russia e Norvegia; la seconda ragione è l’aumento della domanda dovuto alla ripresa, ma siamo solo poco al di sopra del 2019, quindi il cuore del problema non è qua; poi vedo anche un po’ di speculazione finanziaria: c’è in giro tantissima liquidità e gli investitori più aggressivi ne approfittano. Infine il quarto motivo è il principale: le politiche della Commissione UE. Le responsabilità di Bruxelles sono legate al fatto che i prezzi per i diritti di emissione di anidride carbonica sono esplosi: la media nel 2020 era di 25 euro a tonnellata, oggi siamo a 62. La politica sul green sta ponendo obiettivi molto ambiziosi e per il sistema industriale è un grosso problema. È molto difficile reggere il passo”.
Lo stesso può dirsi per il Qatar, sollecitato sia da Bruxelles che da Washington ad aumentare l’estrazione: l’Emirato produce già ai massimi della sua capacità produttiva, cioè a 180 miliardi di metri cubi all’anno e anche volendo, non potrebbe fare di più. Peraltro, la quasi totalità delle sue forniture è legata a contratti a lungo termine con i clienti asiatici; solo una minima parte del gas è venduta sul mercato spot e anche se fosse interamente dirottata verso l’Europa, l’impatto sarebbe minimo”.
L’Unione Europea avrebbe dovuto accettare che la sua egemonia nello spazio pan-europeo ed il suo primato globale condiviso con gli U.S.A. sono giunti al termine: il peso politico deve riflettere la potenza effettiva, altrimenti il perseguimento di obiettivi irraggiungibili compromette la riuscita anche di quelli realisti. Opponendosi al multipolarismo, la U.E. ha coalizzato le varie potenze regionali contro di sé. Non adattandosi al cambiamento della distribuzione internazionale di potenza, l’Europa ha perso competitività ed è costretta a ritirarsi sotto la tutela statunitense che, tuttavia, le impone un tributo sempre maggiore con i dazi.
Le conseguenze di scelte geopolitiche errate
Ding Yifan e Shi Junqi, ricercatori dell’Istituto Taihe di Pechino nell’aprile 2022 ci avevano messo in guardia: l’UE, dicevano, era già il più grande importatore di energia della Russia e la Russia non aveva mai minacciato la sicurezza dell’UE. Di conseguenza, l’UE aveva potuto destinare ingenti spese finanziarie, altrimenti utilizzate per la difesa nazionale, a un ulteriore sviluppo economico. A differenza delle importazioni dal Medio Oriente, le importazioni di energia russe hanno offerto sia costi inferiori sia una migliore stabilità dell’approvvigionamento, il che ha rafforzato la competitività internazionale dell’economia europea. In altre parole, la cooperazione energetica UE-Russia aveva contribuito a gettare le basi per l’autonomia strategica dell’UE.
Nonostante le pressioni degli Stati Uniti, l’ex cancelliera tedesca Angela Merkel aveva portato avanti il progetto del gasdotto Nord Stream 2 per aumentare la fornitura stabile di gas naturale direttamente dalla Russia e aggirare Polonia e Ucraina, entrambe suscettibili all’influenza degli Stati Uniti. Successivamente entrambi i gasdotti Nord Stream sono stati sabotati.
Non solo gli Stati Uniti hanno disapprovato l’attuazione dell’autonomia strategica da parte dell’UE, ma hanno attivamente cercato opportunità per interrompere la cooperazione energetica UE-Russia.
Negli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno venduto petrolio e gas di scisto all’UE con il pretesto di “rafforzare la sicurezza energetica europea” messa in crisi da scelte geopolitiche errate.
Una volta che gli Stati Uniti e l’Europa svilupperanno una relazione stabile tra domanda e offerta di GNL, l’economia dell’U.E. dovrà affrontare la difficile situazione di costi di produzione più elevati e una competitività industriale inferiore rispetto agli Stati Uniti. Dopotutto, il prezzo medio del gas naturale nel mercato del settore industriale interno degli Stati Uniti è decisamente inferiore a quello del GNL esportato dagli Stati Uniti in Europa. A differenza del gasdotto russo, che ha già ricevuto l’investimento infrastrutturale iniziale, le importazioni di GNL da parte dell’U.E. comportano costi di spedizione, spese di costruzione e gestione di terminali. Inoltre, il prezzo dell’energia e i rischi per la sicurezza posti dal conflitto Russia-Ucraina hanno aumentato la probabilità che l’industria graviti dai Paesi in via di sviluppo verso gli Stati Uniti, invece che verso l’UE (Inflation Reduction Act è stato varato in tal senso dall’Amministrazione Biden e ampliato da Trump). Questo non solo ha messo l’U.E. in una posizione svantaggiata nella competizione per la reindustrializzazione con gli Stati Uniti, ma ha avuto un impatto di vasta portata sull’economia del Vecchio Continente.
La combinazione di una indebolita reindustrializzazione dell’UE, aumenti dei tassi di interesse superiori alle attese da parte della Federal Reserve statunitense e la fuga di capitali dall’Europa, causata dal conflitto Russia-Ucraina, ha ulteriormente indebolito l’effetto stimolante degli investimenti nell’economia europea. La cooperazione energetica UE-Russia non solo aveva aumentato l’utilizzo dell’Euro nella comunità internazionale, ma aveva anche ridotto le riserve in dollari degli Stati membri dell’U.E. per gli acquisti di energia. Questi ordini di GNL statunitense vengono regolati in dollari anziché in euro, il che causa un forte impatto sullo status internazionale della moneta unica europea. Per bilanciare la dedollarizzazione iniziata dai Paesi eurasiatici, gli U.S.A. impongono agli Stati del blocco atlantico di aumentare l’acquisto di titoli di Stato americani e l’uso del dollaro negli scambi commerciali. Donald Trump sta cercando di stringere un accordo con Mosca per l’acquisto di petrolio russo proprio per vederselo pagato in dollari. Se il nuovo Presidente USA dovesse riuscire ad assicurarsi i diritti sul Nord Stream, Washington ci rivenderebbe poi il gas russo a prezzo notevolmente maggiorato, aggravando la sperequazione dei costi produttivi già in atto.
In Europa diversi analisti si aspettavano nel 2024 la definitiva ripartenza dei consumi energetici che invece stanno continuando a flettere; il mancato consumo di energia si rileva nella deindustrializzazione, nella ricollocazione di imprese energivore Oltreoceano, nei 24 mesi consecutivi di calo della produzione industriale italiana (in Germania e in Francia la situazione non è certamente migliore) e nell’aumento delle bollette energetiche 14 . Se nel 2023 la quota di import italiano di gas dalla Russia era scesa al 4%, nel 2024 è risalita al 10% del proprio fabbisogno totale.
Il Qatar, insieme agli Stati Uniti, è il primo fornitore di GNL per l’Italia: in caso di attacco massiccio alle infrastrutture energetiche iraniane e chiusura dello Stretto di Hormuz (da qui passa l’intero GNL trasportato dal Qatar in Italia e dagli E.A.U., 22% del totale globale), i prezzi salirebbero alle stelle. Gli Stati Uniti potrebbero invece affrontare diverse problematiche dovute al fracking (tecnica particolarmente inquinante), alla diminuzione delle risorse di scisto e al raggiungimento del proprio picco produttivo, per cui la loro produzione tenderà a diminuire nei prossimi anni. Inoltre, l’aumento dei consumi di energia e gas naturale in virtù dello sviluppo dell’intelligenza artificiale, lascia prevedere un altissimo incremento di energia da parte degli USA, per cui difficilmente gli States potranno continuare ad essere un fornitore affidabile (seppur molto più caro della Russia di almeno 3-4 volte).
Se l’obiettivo immediato degli Stati Uniti d’America era quello di sostituirsi alla Russia come fornitore affidabile, bisogna però ricordare che il gas statunitense è decisamente più lontano e costoso e non è in grado a medio termine di competere con quello proveniente da Mosca.
I dazi di Trump stanno evidentemente aggravando la situazione, generando un ulteriore esodo di aziende europee verso gli U.S.A. Secondo lo studio di Confartigianato tra il 2021 e il 2024 l’Italia ha registrato una “crescita” del PIL del 3,2%, migliore del +2,9% della Francia e della stagnazione (-0,1%) della Germania, tuttavia stando ai dati ISTAT nel 2024 la crescita del PIL italiano è stata del solo 0,7% con una crescita dell’1,2% della pressione fiscale (salita al 42,6%) e una crescita dei prezzi medi al consumo dell’1%. “Tutto ciò che dobbiamo fare per quanto riguarda l’energia verde, un ambiente migliore, l’eliminazione graduale dei combustibili fossili, tutto implica un sacco di soldi”, ha sottolineato il Presidente serbo Vučić durante la Cop 29 a Baku nel novembre 2024. “L’intera Europa avrà molti problemi”, ha detto, indicando gli attacchi alle infrastrutture.
Italia, che fare?
Le politiche energetiche attuate dagli anni Novanta ad oggi hanno reso il sistema italiano
insostenibile sul piano economico. Nel breve termine, è necessario restituire al Governo centrale poteri di indirizzo del sistema energetico nazionale e ricostruire nella pubblica opinione un quadro informativo corretto, eliminando dalle scelte politiche qualsiasi preclusione di tipo ideologico. Nel medio termine è necessario: convertire a carbone alcuni impianti termoelettrici; costruire impianti nucleari 16 , costruire impianti idroelettrici di grande taglia e impianti di pompaggio; costruire rigassificatori. Nel lungo termine è necessario raggiungere un mix produttivo economicamente sostenibile: carbone (20%) nucleare (20%) gas (20%) idroelettrico (20%) altre fonti rinnovabili
(20%). Ha poco senso per l’Italia ridurre la dipendenza dal gas russo (economico e abbondante) per elemosinarlo da Paesi politicamente instabili (come l’Algeria e l’Egitto dove il giacimento di Zohr ha registrato un calo del 30%) o che non lo producono ancora (come l’Angola, il Congo e il Mozambico). Gli accordi stabiliti finora dal Governo sostituiranno solo il 10% del fabbisogno di gas dell’Italia, non prima di una decina d’anni e richiederanno la realizzazione di nuovi impianti costosi.
L’Italia ha pagato un carissimo prezzo per aver sottostato alle politiche atlantiste nei confronti della Federazione Russa (e non solo). Le percentuali di imprese colpite dalle sanzioni internazionali nel 2022 erano: Russia (68%), Francia (64%), Italia (64%), contro il 42% della media mondiale, senza contare le decine di miliardi di euro perse dal nostro Paese a partire dal 2014 in settori come l’agricoltura, la meccanica, il turismo …
Se confrontiamo le previsioni del Fondo monetario internazionale di ottobre del 2021, antecedenti allo scoppio della guerra in Ucraina, con i dati del World Economic Outlook pubblicato lo scorso gennaio, si calcola che tra il 2021 e il 2025 l’economia mondiale ha contabilizzato mezzo punto di elettriche in Russia e Ucraina. Il presidente serbo ha espresso la convinzione che il sistema energetico in alcune parti d’Europa crollerà completamente. “In tre, quattro anni l’America interromperà la fornitura di gas liquefatto, poiché lo
utilizzerà per le centrali elettriche a gas. Il consumo di elettricità sta diventando sempre più elevato. L’intelligenza artificiale e le auto elettriche stanno trangugiando energia. Nel nostro Paese, consumiamo più energia in estate che in inverno. Questi sono i nostri problemi principali. Vučić ha osservato che il gas naturale costa 485 euro al metro cubo
all’hub TTF, il punto di riferimento europeo, e che la Serbia paga 323 euro al metro cubo. Il costo è inferiore grazie all’accordo con la Russia e a un prezzo relativamente favorevole per il gas azero” (la UE propone ora sanzioni all’Azerbaigian n.d.r.), ha spiegato. “Ecco perché siamo in grado di continuare a sovvenzionare, inoltre, sia la nostra
popolazione che la nostra industria. Per pagare un prezzo basso per il gas. Ma una buona parte del prezzo dell’elettricità, che sta crescendo anche nel mercato dei futures e ovunque, sarà determinata dal prezzo del gas.”
L’attuale Governo ha scelto la strada della legge-delega sul nucleare e il Ministro del Commercio Pichetto-Fratin è convinto che entro il 2030 l’Italia avrà nuovi impianti, ribadendo che se dovesse arrivare un accordo di tregua in Ucraina, l’Italia potrebbe riprendere i suoi rapporti energetici con la Russia. Inutile ricordare quanto una cooperazione anche nel settore nucleare sarebbe proficua per la politica energetica italiana, data la forte competenza della Russia in questo campo. Mosca coopera con diverse nazioni per la costruzione di centrali nucleari e per l’uso dell’energia atomica per scopi pacifici. Tra i Paesi coinvolti: Burkina Faso, India, (la stessa Ucraina prima del 2014 importava il 95%
del suo combustibile nucleare dalla Russia), Sudafrica, Namibia, Cile, Marocco, Egitto, Algeria, Kuwait e, recentemente, Ungheria.
Nonostante le sanzioni adottate nel 2014, prima della pandemia, “nel 2019, la Russia era il terzo Paese extraeuropeo (dopo USA e Cina) con più visitatori in Italia (1,7 milioni in un anno) e tra i Paesi extraeuropei era anche il mercato con la più alta permanenza media in Italia (3,7 notti), per una spesa complessiva di 2,5 miliardi, quindi oltre l’1% del valore
complessivo generato dal settore turistico che ammontava prima della pandemia a 230 miliardi”, cfr. ANPIT, Gli effetti delle sanzioni contro la Russia per le imprese italiane. Per l’Italia in vista 71 miliardi di danni, minore crescita del PIL all’anno: a fronte di un previsto tasso di crescita medio annuo del +3,8% il ritmo della crescita mondiale si abbassa al +3,3%. La frenata è più marcata per l’Unione Europea
che, a fronte di un previsto tasso di crescita medio annuo del +2,6% realizza un più ridotto tasso del +1,6%.
Sull’abbassamento del sentiero di crescita pesano numerosi fattori. All’incertezza determinata dall’instabilità del contesto internazionale e il calo della fiducia delle imprese, si sommano gli effetti delle diffuse strette monetarie attuate dalle banche centrali per arginare lo shock inflazionistico innescato dalla crisi energetica, del crescente ricorso a misure protezionistiche, del calo del commercio internazionale nel 2023 e la frenata delle economie di Cina e Germania.
Per quanto concerne l’impatto sull’economia italiana, solo nel triennio 2022-2024 “il complesso delle conseguenze economiche delle guerre si misura in 171,4 miliardi di euro – in media annua pari al 2,9% del PIL – conseguenti alle minori esportazioni nei Paesi belligeranti e nella Germania caduta in recessione, i maggiori oneri finanziari per le imprese causate dal caro-tassi e il maggiore costo dell’energia importata. L’inasprimento delle sanzioni nei confronti della Russia a partire dal febbraio 2022 ha determinato un pesante calo dell’export italiano verso i due Paesi belligeranti. Tra il 2021 e 2024 l’Italia registra 16,6 miliardi di mancate esportazioni in Russia e Ucraina, una perdita
valutata rispetto ad uno scenario di pace in cui, invece, la domanda dei due Paesi si sarebbe sviluppata allo stesso ritmo dei mercati extra UE.
Una elevata dipendenza dalla Russia ha contribuito a far scivolare in recessione l’economia tedesca, con ricadute pesanti sulle vendite del Made in Italy. Tra il 2021 e il 2024 l’Italia ha registrato una perdita di 22,9 miliardi di euro di esportazioni verso la Germania, valutata rispetto ad uno scenario di stabilità in cui, invece, la domanda del mercato tedesco si fosse sviluppata allo stesso ritmo dei restanti Paesi dell’Eurozona.
L’elevata dipendenza energetica dell’Italia dalle importazioni e la spinta dei prezzi delle
commodities hanno innescato un grave appesantimento della bolletta energetica. Se prendiamo a riferimento il livello normale di importazioni di energia del 3,5% del PIL rilevato nel 2021, secondo lo studio di Confartigianato, “l’Italia ha registrato un maggiore costo di acquisto di energia dall’estero per 76,3 miliardi di euro nel triennio 2022-2024. Nel corso della fiammata inflazionistica, in conseguenza di una escalation asimmetrica dei prezzi dell’elettricità in Europa, le micro e piccole imprese (MPI) italiane hanno pagato un pesante gap competitivo sul costo dell’energia elettrica rispetto a quello dei competitor europei”.
La grave turbolenza dei prezzi dell’energia ha riportato ad un tasso di inflazione armonizzato a doppia cifra, arrivando al +12,6% nell’autunno del 2022. Per riportare la crescita dei prezzi sotto controllo, la Banca centrale europea innalzato il costo del denaro, con un aumento di 400 punti base in soli dodici mesi. Nonostante dall’estate scorsa la BCE abbia avviato l’allentamento monetario, nel triennio 2022- 2024 si registrano 55,6 miliardi di euro di maggiori oneri finanziari sulle imprese, mentre a dicembre 2024 il trend dei prestiti alle imprese rimane in territorio negativo, segnando una flessione del 2,3% (era -3,6% nel mese precedente).
L’ultima previsione per il 2025 sulla crescita italiana prevista nel DEF per quest’anno dovrebbe attestarsi al +0,6%., in linea con i calcoli diffusi da Confindustria e da Bankitalia: rappresenta un dimezzamento secco del +1,2% messo in programma dal Governo a ottobre nel Piano strutturale di 18 Confartigianato Imprese, Le conseguenze economiche delle guerre: 171,4 miliardi di euro in tre anni, confartigiano.it,
Febbraio 2025. Gli istituti economici tedeschi prevedono per il 2025 una crescita (al ribasso) del PIL della Germania allo 0,1%.
Oltretutto, il bilancio e la situazione non potrà che peggiorare. Per azzerare i dazi sui prodotti europei, gli USA pretendono che l’Unione Europea acquisti 350 miliardi di euro di “energia statunitense”, ovvero il loro gas liquefatto, nonostante gli USA forniscano già il 48% del totale delle importazioni europee di LNG. L’idea è quella di azzoppare ulteriormente la nostra economia facendo lievitare i costi energetici, per convincere le fabbriche europee a trasferirsi negli Stati Uniti.
La percezione di essere il veicolo della globalizzazione dai valori liberali e non un possibile
soggetto geopolitico che compete con altri attori ha influenzato le azioni della U.E. e ridotto le sue capacità di scendere a compromessi. L’ascesa della Grande Eurasia e dei Paesi del Sud globale avviene mentre la regione transatlantica si frammenta lungo tre livelli: U.S.A. ed Europa si dividono, l’Europa si frammenta sia tra nord e sud che tra est e ovest; i singoli Paesi si radicalizzano man mano che il liberalismo (capitalismo finanziario) si allontana dallo Stato nazionale. Lo stato attuale dell’Euro e della U.E. non sono più sostenibili a lungo: se i costi alla perdita di sovranità supereranno i benefici, gli Stati membri ritireranno la propria fedeltà politica a Bruxelles. Lo spostamento dell’Europa verso Oriente potrà essere ritardato artificialmente provocando una qualche crisi (vedi politica del riarmo basata su nuovi prestiti) ma i singoli Stati nazionali potranno comunque aderirvi. Nel febbraio 2017, dei documenti tedeschi trapelati e denominati “Prospettiva Strategica 2040” delineavano dei piani di emergenza da attuare nel caso in cui l’UE fosse collassata
e prevedevano che alcuni Stati europei si sarebbero allora avvicinati alla Russia 20 . Nel mondo multipolare, essere dipendenti dagli Stati Uniti non è più fattibile, a meno di non tramutarsi in una provincia di Washington. La U.E., invece di adottare la strategia dell’oscillazione per incoraggiare le potenze esterne a collaborare amichevolmente, si è legata permanentemente ad una sola regione (quella transatlantica), per cui gli attori internazionali non hanno più alcuno stimolo a prenderla in considerazione. L’Europa rifondata, tuttavia, potrebbe integrarsi nel progetto eurasiatico: Russia, Brasile, E.A.U., Arabia Saudita e Turchia sono tutti grandi produttori di energia o hub strategici e
possiedono i materiali di base fondamentali per la transizione energetica.
Nel frattempo, l’unica opzione possibile di sopravvivenza è la ricerca della diplomazia. Da questo punto di vista, la mediazione del Vaticano nell’attuale conflitto russo-ucraino è indubbiamente un tassello di speranza 21 . Lo scorso 4 aprile si è svolto un colloquio telefonico tra l’Arcivescovo Paul R. Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali, e Sergey Lavrov, Ministro degli Affari Esteri della Federazione Russa. Il dialogo è stato dedicato al quadro generale della politica mondiale, con particolare attenzione alla situazione della guerra in Ucraina e ad alcune iniziative volte a fermare le azioni belliche. È stata anche ribadita la disponibilità della Santa Sede a continuare l’impegno umanitario nelle questioni riguardanti lo scambio di prigionieri. Infine, sono state esaminate anche alcune questioni relative alla vita religiosa e, in particolare, alla situazione della Chiesa cattolica nella Federazione Russa. Come ben comprese Giovanni Paolo II
nel 2001: “Il mio augurio è che l’Ucraina possa inserirsi, a pieno titolo, in una Europa che abbracci l’intero continente dall’Atlantico agli Urali. Come dicevo al termine di quel 1989 che tanto rilievo ha avuto nella storia recente del Continente, non ci potrà essere un’Europa pacifica ed irradiatrice di civiltà senza questa osmosi e questa partecipazione di valori differenti eppure complementari, che sono tipici dei popoli dell’Est e dell’Ovest”.
1 Conferenza internazionale in Austria: “Europa senza guerre e sanzioni – Una nuova economia in un’Europa di pace”, www.cese-m.eu, 26 aprile 2025.
2 La spesa pubblica e privata in Ricerca & Sviluppo (R&S) in Italia è oggi tra le più basse rispetto alle grandi economie OCSE, in termini sia assoluti che relativi al Pil. Il divario rispetto a Stati Uniti e Germania, già sostanzioso quarant’anni fa, è oggi più ampio che mai. Riguardo al ruolo di pubblico e privato, in tutti i Paesi analizzati il peso del settore pubblico si è ridotto rispetto alla componente privata rappresentata dagli investimenti delle imprese. In Italia la spesa pubblica è stimata allo 0,5% del Pil nel 2024, con un aumento di solo lo 0,1% previsto dal Governo nei prossimi 5 anni.
hy Buyck, Studio militare tedesco: crollo dell’UE possibile caso peggiore. Secondo un rapporto interno della Bundeswehr, l’ordine occidentale potrebbe crollare entro il 2040, “Politico”, 4 novembre 2017.21 Ucraina, telefonata Gallagher-Lavrov: focus sulle azioni per fermare la guerra, “Vatican News”, 4 aprile 2025.
22 Amedeo Lomonaco, Giovanni Paolo II, apostolo tra terra e cielo per aprire le porte a Cristo, “Vatican News”, 2 aprile
2025.