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La complicità codarda di chi si finge mediatore

di Alberto Negri - 22/08/2025

La complicità codarda di chi si finge mediatore

Fonte: Il Manifesto

Si leggono sui media e si ascoltano dai nostri politici cose impensabili. Il riconoscimento di uno stato palestinese sarebbe una trappola, un incoraggiamento alle posizioni estremiste di Hamas e del governo israeliano. Questo mentre parte l’operazione di occupazione di Gaza City.
Con prevedibili massacri e deportazioni. E mentre il governo Netanyahu si prepara con gli insediamenti illegali a tagliare in due tra nord e sud la Cisgiordania, separando Gerusalemme est, araba, da quanto rimane della Palestina.
La trappola vera è un’altra: da decenni non vengono imposte sanzioni reali e concrete a Israele per le violazioni continue del diritto internazionale e dei diritti umani più elementari. Non solo: noi e gli stati arabi commerciamo con Israele, vendiamo e compriamo armi, come fanno l’Egitto, la Turchia e gran parte dell’Europa. E abbiamo accordi segreti o semi-segreti – l’Italia nella cybersecurity – che fanno di Israele un pilastro della nostra sicurezza.
NOI NON SIAMO mediatori come facciamo finta di essere, siamo alleati di Tel Aviv e complici del genocidio in atto. Più di tutti il presidente americano Trump per il quale Netanyahu non è un criminale ma un «eroe» a cui si paragona con orgoglio. Garantiamo a Israele – l’impunità più assoluta e trattiamo Netanyahu come se non avesse sulla testa un mandato di cattura della Corte penale internazionale. Business as usual, che poi è quello che vogliono nella sostanza sia gli Usa che Israele, partner storici nell’industria bellica, della sicurezza, dell’alta tecnologia, nella finanza.
Nessun altro paese al mondo riceve da Washington una quantità di aiuti lontanamente paragonabile. Aiuti che gli Stati uniti non sottopongono a condizioni. Dagli anni settanta in poi non c’è mai stata un’amministrazione Usa che abbia voluto usarli come leva, per piegare i governi israeliani alla propria volontà (unica velata eccezione Bush padre nel 1991). Anche quando i governi israeliani hanno fatto il contrario di quel che voleva Washington (per esempio gli insediamenti illegali dei coloni).
E noi europei che facciamo? Nulla o quasi, al di là delle solite dichiarazioni. Il vero mantra per noi è: «Mai una sanzione contro Tel Aviv». Se ci ribelliamo concretamente a Israele ci ribelliamo agli americani, e con Trump i governi nostrani finirebbero presto in lista nera. La stessa recente proposta della Commissione europea di sospendere parzialmente Israele dal fondo di ricerca Horizon Europe – con l’esclusione da sovvenzioni e investimenti per 200 milioni di euro – non ha ottenuto la maggioranza necessaria. Un sussulto di orgoglio – o di vergogna – è venuto da oltre 1.700 funzionari Ue (su 32mila) che hanno appena scritto una lettera urgente su Gaza a von der Leyen e Kallas.
DICONO CHE SIAMO alle soglie dell’annientamento della popolazione e che senza un ripristino immediato degli aiuti Gaza è destinata a superare i 100 decessi al giorno per fame nelle prossime due o tre settimane (ma i morti ammazzati per fame per noi non esistono come dimostra Marah Abu Zhuri, deceduta a Pisa per la denutrizione).
I funzionari sottolineano che l’Unione europea è il principale partner commerciale di Israele e che, nonostante alcuni stati membri si siano opposti alla sospensione dell’accordo di associazione Ue-Israele, si possono considerare «sanzioni mirate, comprese restrizioni alle transazioni finanziarie e controlli sulle esportazioni, nei confronti delle entità responsabili di ostacolare l’accesso umanitario, compresi i massimi dirigenti israeliani».
MA NON SARÀ questa lettera a salvare la coscienza europea: serve che i governi europei vadano oltre la loro codardia e dicano «basta» a Israele. E basta anche alla propaganda israeliana cui prestano orecchio. Secondo la quale – scriveva ieri sul manifesto Chiara Cruciati – «la fame non esiste, i morti di stenti soffrivano di altre patologie, gli aiuti ci sono ma è l’Onu a farli marcire, ospedali e scuole sono centri di Hamas, i giornalisti combattenti camuffati dietro i giubbotti Press».
La stessa intelligence militare israeliana ammette – lo rivela un’inchiesta di +972Magazine e Guardian – che l’83% dei morti a Gaza sono civili, contraddicendo in maniera clamorosa tutte le fonti ufficiali. Per ora, paradossalmente, l’unica chance reale dei palestinesi è la lotta di potere tra Netanyahu e i militari, secondo quanto scrive sul Guardian il direttore di Haaretz, Aluf Benn.
LO SCONTRO ha raggiunto l’apice in un’infuocata riunione del gabinetto di sicurezza il 6 agosto: il capo di stato maggiore Zamir ha messo in guardia dal mandare le truppe in quella che è «equivalente a una trappola» e dal mettere a rischio la vita degli ostaggi. Il risultato è un compromesso: occupare solo Gaza City, costringendo alla fuga un milione di abitanti e raderla al suolo. Forse, un giorno verrà la tregua. Ma è quanto di peggio possa immaginare anche l’anima europea più cupa e indifferente.