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La crisi è servita

di Umberto Bianchi - 02/10/2020

La crisi è servita

Fonte: Umberto Bianchi

Il recente rimontare dei casi di Covid un po’ in tutta Europa, è stata, nel nostro paese, l’occasione d’oro per ridar forza ad un clima di tensione che poi, se andiamo a ben vedere, attorno alla questione-pandemia, non è mai stato effettivamente accantonato. Arrivati, però, a questo punto, ci sarebbe da interrogarsi sulla reale portata di questa crisi, apparentemente ingenerata da un fattore epidemico.
Se andiamo a ben vedere, però, questa non è né la prima, né l’ultima delle crisi che il nostro paese ha attraversato. Senza bisogno di tornare a tempi troppo lontani, basterebbe ricordare le varie crisi e crisette che, dal finire degli anni ’70 sino ad oggi, hanno ripetutamente attraversato il nostro paese. Sarebbe sufficiente ricordare l’ “autunno caldo” del 1969 ed i suoi primi e non indifferenti contraccolpi (sia dal punto di vista economico che da quello socio-politico, con l’inaugurarsi della cosiddetta “strategia della tensione”, sic!), su un paese che ancora viveva dell’onda lunga del boom dei primi anni ’60 del secolo passato. Se procediamo oltre, la crisi petrolifera del 1974, a seguito dell’ennesimo conflitto arabo-israeliano, ebbe dei seri contraccolpi su tutte le economie mondiali ed occidentali, in particolare. In Italia si dovette adottare un periodo di cosiddetta “austerity”, con tanto di domeniche senza circolazione automobilistica ed altre simili amenità.
Senza contare che, in quell’occasione, le banche cessarono improvvisamente di erogare fidi e mutui alle imprese che versarono, così, in una crisi senza precedenti, accompagnata da uno stillicidio di chiusure attività. Gli anni seguenti non furono da meno, caratterizzati da una forte inflazione e da un clima di incertezza ed instabilità sia interne, con il susseguirsi di crisi di governo, che esterne, con un mondo che viveva con la prospettiva di un’imminente guerra tra Usa ed Urss.Verso la metà degli anni ’70, la fine dei vari regimi totalitari di Spagna e Portogallo, accompagnati da una subitanea colonizzazione, tutta a favore di movimenti insurrezionali di ispirazione marxista, assieme all’ingloriosa conclusione del conflitto in Viet Nam, tutta a favore delle truppe di Ho Chi Mihn, sullo scacchiere del Sud Est Asiatico, sembravano far da preludio al collasso ed alla capitolazione dell’Europa Occidentale a favore di una Urss, spinta da un vento di sinistra che, allora forte più che mai, soffiava in Europa.
Che poi le cose non stessero proprio così, è altra cosa, ma la sensazione che certa propaganda intendeva dare, rifletteva il pesante clima che si respirava, tra l’altro alimentato dalla presenza dei vari fenomeni di terrorismo sia in Italia (Brigate Rosse, etc.), che nel resto d’Europa (Raf in Germania, Ira in Irlanda del Nord, Eta in Spagna, etc.) e che, comunque, produceva i propri contraccolpi su un’economia in affanno. Il tutto, senza voler ricordare la “piccola emergenza” sanitaria di Seveso, ove l’uso delle mascherine fece la sua prima e sinistra comparsa, a livello collettivo, sul proscenio nazionale.
Non si può dire che dopo i terribili ’70, il nostro paese sia rimasto indenne da crisi, anzi. Basterebbe ricordare i primi seri scossoni alla stabilità del nuovo assetto globale, con la guerra in Kuwait, contro l’Iraq baathista di Saddam Hussein, di poco successiva alla caduta del Muro di Berlino. O il terremoto valutario condotto a metà anni ’90 dall’allora governo Amato e che rappresentò il primo passo verso quegli accordi-cappio che avrebbero in pochi anni, portato l’economia italiana da una fase di difficoltosa crescita, ad una di sempre maggior stagnazione, sino al fatidico arrivo, ad inaugurare il nuovo millennio, di quell’Euro, che avrebbe definitivamente ingabbiato le economie europee, in una stretta soffocante.
Dalle prime crisi finanziarie globali sui mercati del Sud Est asiatico, si passerà a quella del 2008 dei titoli sub prime e ad un decennio di depressione globale. Da un cinquantennio a questa parte, pertanto, la parola “crisi” accompagnata ad un’istanza di (mai realizzate, sic!) “riforme”, non ha mai smesso di accompagnare il linguaggio, le analisi e gli auspici degli addetti ai lavori, sia in ambito politico che, in quello meramente economico. Ciò nonostante, il linguaggio adoperato in ambedue gli ambiti, è sempre stato volto a contenere, temperare ed evitare qualsiasi prospettiva dal sapore catastrofista. Questo, per evitare perniciose ricadute sui mercati e sull’affidabilità economica del nostro paese, per gli investitori.
Stavolta, invece, la classe politica non si è risparmiata di peritarsi, sin dall’inizio della pandemia, nelle più nere e fosche previsioni. Dalla “Crisi peggiore dal dopoguerra” al fatidico “Nulla sarà più come prima”, sembra che certi signori ci abbiano preso gusto a deprimere e disincentivare qualunque
prospettiva di crescita, attraverso una costante e subdola opera di terrorismo mediatico. Quest’ultimo procede di pari passo con tutta una serie di limitazioni delle libertà individuali dei cittadini, con la classica scusa del “lo facciamo per il tuo bene”, ma, si sa, senza libertà non ci può esser salute…A questa politica di vera e propria intimidazione collettiva, non corrisponde, però, quella che dovrebbe essere un’altrettanta e dovuta opera di prevenzione. I ritardi e le carenze, con cui sono state messe in atto le misure di prevenzione atte prevenire la diffusione dell’epidemia, sono sospette.
Ma ancor più sospetta, è la tempistica con cui la pandemia si è diffusa, proprio in coincidenza con l’esplodere di un malcontento globale. Dal Cile, arrivando sino a Libano, Iraq, Indonesia, passando attraverso i risultati elettorali italiani del 2018 e la Brexit del Regno Unito, il mondo ha visto ultimamente esplodere una forma di malcontento, estraneo ai tradizionali schemi ideologici, diffuso e generalizzato, contro il neoliberismo globale. Di fronte a questo scenario, quella del virus ha rappresentato la tanto desiderata occasione per bloccare, congelare e rinviare “sine die,” tutti quei processi di cambiamento,che dovrebbero esser parte integrante di una normale dialettica “democratica”.
Il vero virus, la vera pandemia,pertanto, è quella di una dittatura che si vuole imporre a macchia d’olio al mondo intero. Il sistema globalista, arrivato alla sua tappa finale, ora giuoca a carte scoperte, nel tentativo di omologare, nel minor tempo possibile, il mondo intero ai propri desiderata. Mentre, in coincidenza con importanti appuntamenti elettorali in Italia e negli Usa (con le elezioni presidenziali alle porte…sic!) e con la ripresa delle attività economiche, la curva epidemica ha ripreso “stranamente” a salire, i media “embedded” continuano a seminare panico ed incertezza nell’opinione pubblica.
Tra una bollettino e l’altro, si va auspicando, in messianica attesa, la salvifica apparizione del classico “Deus ex machina”, rappresentato da un vaccino, guarda un po’, sovvenzionato “anche” dalla Bill and Melinda Gates Corporation. Ma sì, proprio da “quel” Bill Gates che, nell’Ottobre 2019 sovvenzionò amorevolmente in quel di New York un’esercitazione anti-
Covid… A questo punto, l’attenzione non dovrebbe polarizzarsi tanto sull’inconsistente dibattito elettorale Usa, quanto invece, sui movimenti di quel simpatico e dinoccolato “vecchio-ragazzo” di Bill Gates, nel suo ruolo di vero e prossimo candidato ad un dominio, oramai non più circostanziato agli Usa, ma al mondo intero…