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La guerra mondiale contro la Natura

di Marcello Veneziani - 08/06/2021

La guerra mondiale contro la Natura

Fonte: Marcello Veneziani

Abbiamo celebrato la giornata mondiale dell’Ambiente; istituzioni e media si sono devotamente inchinati al tema, quotidiani si sono perfino travestiti di verde per la liturgia ecologista. Ma perché si parla di ambiente anziché di natura? Perché la natura è un nome antico che comprende col pianeta tutti i suoi abitanti, compresi noi umani; la natura è la realtà che noi non abbiamo creato ma che abbiamo trovato, che non dipende da noi. Natura evoca poi il diritto naturale, le creature come sono nate e magari un creatore o quantomeno una regina, detta Madre Natura. Natura è incontro fra differenze originarie, copula e procreazione.

Nel dialetto antico del mio paese la natura è il nome della vagina. Non conosco definizione più bella, essenziale e cosmica dell’organo genitale femminile. Natura come sito corporale in cui si nasce, prenderà corpo una persona, in quel futuro da cui verrà il nascituro: se la natura è alle origini, natura è anche nascita ventura. Se penso alla definizione di Natura del mio paese mi sovviene il celebre ritratto in primo piano della vagina nuda di Gustave Courbet chiamato non a caso “L’origine del mondo”. Perfetta è la corrispondenza tra il microcosmo del corpo femminile e il macrocosmo del mondo naturale.

Natura è anche l’alchimia della fecondazione, attraverso l’incontro tra il maschile e il femminile. Invece all’espressione natura si preferisce la definizione asettica, neutra, anonima, di ambiente; che può alludere anche a qualcosa di costruito, di modificato, può anche essere un capannone, un casermone o un laboratorio, magari con le pareti dipinte di verde. Non c’è distinzione tra ambiente naturale e ambiente artificiale.

Ma la ragione principale per cui esiste una retorica mondiale e ufficiale dedicata a salvare l’ambiente ma non esiste più una compagna per salvare la natura, è ideologica, filosofica e tecno-scientifica, e investe la concezione dell’uomo e della vita. Se dici natura non puoi prescindere dal riferimento alla natura umana, devi fare i conti con lei, a partire dalla nascita, come insegna l’antica saggezza popolare del lessico paesano. Non si può difendere la natura nelle piante, dell’aria, dell’acqua, degli animali, nel mondo vegetale e in quello minerale e non difendere la natura umana. E invece, noi oggi viviamo la guerra mondiale contro la natura; dico la natura umana. L’ambientalismo fanatico difende a spada tratta l’integrità genetica della carota dalle manipolazioni ogm; ma accetta, anzi incoraggia, la modificazione genetica dell’uomo e la sua manipolazione radicale. L’identità della carota è più importante di quella umana. Nel senso che l’uomo, per l’ideologia transgender, è ciò che vuole essere e non ciò che la natura ha fatto.

Se ci fate caso, il tema dei nostri giorni, che riguarda in primo luogo la bioetica, quindi la biopolitica, e che investe l’umanità, il mondo, i rapporti tra gli uomini, parte proprio da qui: stiamo vivendo una guerra di liberazione dalla natura umana, per un’umanità mutante in tutti i sensi. L’uomo, anzi la persona, non si definisce in base alla sua natura ma in base alla sua volontà soggettiva, esso è ciò che vuole essere, ora; dico esso perché anche il lui e il lei sono variabili, non discendono più dalla natura ma sono il frutto di una scelta, anche provvisoria. Il desiderio è preminente sulla realtà e su ciò che viene dalla natura. Se percorrete in veloce rassegna i grandi temi dei nostri giorni che hanno sostituito le tematiche sociali e politiche, vi rendete conto che il convitato di pietra è la natura: il diritto di cambiare natura, sesso, il diritto alla maternità tramite decisione anche singola, più tecnologia e investimento (tramite fecondazione artificiale, utero in affitto, maternità surrogata), il diritto di abortire il frutto della natura, il figlio indesiderato, e ogni altro diritto che si contempla nel nostro tempo parte dal rigetto preventivo di ciò che la natura ci ha dato. La nostra libertà è concepita come un’emancipazione radicale e plurale dalla natura.

Il desiderio prevale sull’essere, la volontà sulla realtà, tutto può cambiar verso, natura, anatomia, relazioni. Natura evoca destino, e invece la nostra volontà soggettiva modifica il caso: il caso di essere nati maschi o femmine, da quei genitori, in quella famiglia, in quel luogo, in quel tempo, in quel popolo.

Lo stesso diritto si estende, al rapporto con i luoghi di nascita e di vita e investe i popoli e non solo i singoli. Ovvero nascere in un luogo è casuale, insignificante, come nascere da una coppia etero, padre e madre, perché quel che conta è dove decidi di andare a vivere. La natura non vale dunque nemmeno per il legame con i luoghi natii.

Ora il discorso da fare non è banalmente rovesciare l’imperativo presente e concepire la Natura come un Assoluto Immobile, pietrificato, non suscettibile di modifica e di mutamento. La natura stessa muta nei lunghi processi, non è inerte. Ma la vera battaglia è tra chi reputa la Natura, inclusa la Natura umana, come un bene da salvaguardare, un punto d’origine da cui partire e a cui tornare continuamente, pur nel corso dei necessari cambiamenti, e chi invece vede la Natura come un carcere e sogna di evadere e infine abbattere la prigione stessa. E nella natura è in gioco la difesa della realtà, dei nostri limiti, delle imperfezioni umane, rifiutando ogni delirio di onnipotenza, ogni pretesa del Soggetto di farsi Assoluto e mutante, come Proteo. In questo quadro è importante occuparsi della natura come ambiente e clima in pericolo, specie a rischio d’estinzione. Ma la natura, lo dicevano in epoche diverse e in ambiti diversi Lucrezio, Leibniz e Linneo, non fa salti ma procede per gradi; e non possiamo saltare il grado della natura umana nella salvaguardia del mondo.