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La sindrome di Attis

di Livio Cadè - 05/12/2021

La sindrome di Attis

Fonte: Ereticamente

«Il mondo invero sta degenerando: gli uomini perdono la loro virilità e sempre più diventan simili alle donne.» Così scrive un medico giapponese nel XVII° secolo, lamentandosi che l’ascolto del polso, utile per le diagnosi, non riveli più differenze tra uomo e donna. Molti uomini, vien detto, non hanno più nemmeno il coraggio di decapitare i condannati. Sempre meno impetuosi e bollenti, per dirimere le questioni si affidano alla lingua invece che alla spada. La causa sarebbe uno squilibrio tra yin e yang. Il polo femminile prevale, inducendo nella sua polarità complementare una regressione.
Questo rammollirsi del maschio compare periodicamente nella storia, in varie epoche e luoghi. Anche l’impero romano, nella sua dissoluzione, vide tramontare il vir che ne aveva fatto la grandezza. Declinarono le maschie virtù di guerrieri e dominatori – che il fascismo tentò vanamente di riesumare – sotto l’incalzare delle mollezze e delle sensualità morbose, dei misteri orientali e delle agapi cristiane, di perversioni sessuali e amorali edonismi. Furono i barbari a riportare nella cultura medievale i semi di una virilità tradizionale, versando in essa potente sangue nordico.
Ma da tempo è sicuramente in atto una nuova femminilizzazione della civiltà occidentale. Non saprei se polso maschile e femminile siano oggi omologati. Pare però che i maschi attualmente abbiano meno spermatozoi che in passato. Di sicuro dilagano omosessualità e forme di eros incerto, incompiuto. Questo fenomeno di svirilizzazione, chiaramente sovraindividuale, presenta alcuni effetti emblematici. Qui possiamo solo accennarne, darne alcuni ragguagli, senza poter certo esaurire un argomento tanto vasto.
È evidente, ad esempio, che il ruolo sociale della donna ha acquistato in tempi moderni sempre maggior importanza, occupando spazi tradizionalmente maschili. Per lei si invocano più diritti, si combattono battaglie femministe, di emancipazione e di parità. Lo stesso concetto di ‘femminicidio’, come categoria di delitti a sé stanti, sembra voler soddisfare un meccanismo di colpa e riparazione della società nei confronti delle donne. Al contrario, nessuno parla di ‘maschicidio’.
Nella famiglia la figura paterna perde valore, mentre sempre più decisivo appare il ruolo della madre. Nella sfera religiosa si verifica un’eclissi del Dio Padre. Si fanno frequenti le apparizioni della Vergine Maria. La Luna oscura il Sole. Il sole rappresenta infatti la stabilità, la tradizione, mentre la luna è ciò che muta. Col principio lunare si affermano quindi precarietà, cambiamenti, progresso e crisi, instabilità sociale, scientifica e culturale, come pure un’idea di ciclicità della storia.
Rientra in questa varia fenomenologia il ritorno di archetipi legati alla fecondità femminile della Terra, al suo ruolo di nutrice. Forse come reazione a una modernità che inquina, avvelena e isterilisce il pianeta. Questo si esprime nel riemergere di sentimenti arcaici, di simbiosi con la Natura, ma anche, più banalmente, in manie culinarie, ossessioni dietetiche e igieniste, pratiche erboristiche e via dicendo.
Prevalgono gli elementi Acqua e Terra, quindi liquidità e corporeità. L’elemento Fuoco dello spirituale è coperto dal fisico e dal fisiologico. La spiritualità stessa si riduce a cura del corpo, relax, accudimento materno dell’anima. La mente non deve essere penetrante ma piuttosto ricettiva, allargarsi, farsi grembo. Il pensiero si fa materialista e biologico, mentre deperiscono le visioni idealiste e metafisiche. Matematica e logica pura diventano ostiche ai più. Fioriscono le scienze psicologiche e naturali. In genere si ama tutto ciò che è naturale, si promuovono campagne ecologiche e ambientaliste. Si diffonde la mania per il benessere e l’armonia psicofisica, la salute, e quindi la prevenzione, i continui controlli clinici.
La società, la cultura, si fanno ‘aperte’ e ‘inclusive’, secondo modelli tipicamente femminili. I ‘flussi migratori’ sembrano alludere a fisiologiche ciclicità mestruali di certe regioni del mondo. Lo Stato si fa assistenziale, si sviluppano i sistemi previdenziali, le indennità, le assicurazioni. Si amano più le forme della tutela, del garantismo, che quelle dell’avventura e del rischio. L’ossessione quasi maniacale per la “messa in sicurezza” di ogni cosa ricorda le apprensioni di una vecchia nonna.
Le divergenze si affrontano con la mediazione e il compromesso, morbidezze diplomatiche prendono il posto di confronti più franchi e diretti. Si ripudiano i sistemi basati sulla forza e l’autorità, si diventa insofferenti alla disciplina e alla morale. Si condannano la vendetta, la guerra, la pena di morte. Si esaltano i valori dell’accoglienza, della sensibilità e della tolleranza.
Regimi democratici, legati a masse orizzontali, sostituiscono antiche aristocrazie dalla struttura verticale. Le stesse forme di dittatura, nate come vermi dal cadavere della democrazia, ne hanno ereditato il carattere femminile. Sono totalitarismi dal volto materno, che impongono alla gente obblighi e divieti “per il suo bene”, la soffocano con ansiose misure sanitarie, la manipolano attraverso il senso di colpa.
Anche i media svolgono funzione materna, cercano di infantilizzare e imbambolare la società raccontandole favole. Oppure inducono nella massa forme di isteria, angosce irrazionali (di fatto, la paura d’esser contagiati, d’esser penetrati da un virus e di incubarlo, è tipicamente femminile). La comunicazione tende più a sedurre che a informare. Il dialogo dev’essere invece conciliante, abbondano gli eufemismi. Si predica una libertà accomodante, si evita ciò che porta allo scontro, al conflitto. La stessa Rete è un immenso sacco amniotico che avvolge i cervelli. Ovunque si guardi, la vita si permea di sensi femminili.
Paradossalmente, questa femminilizzazione della società produce un fenomeno opposto che potremmo definire virilismo, legato a una reazione del principio maschile il quale, sentendosi minacciato, si irrigidisce e sclerotizza. Al pericolo di una uterizzazione che evoca fantasmi divoranti e castranti, l’uomo oppone un’energia maschile eccessiva e coatta. Può per esempio mostrare un disprezzo preconcetto e irrazionale per animalismi, ambientalismi, naturalismi, che sembrano inconciliabili con la durezza del maschio. Ma anche pornografia, volgarità, aggressività dei modi e dei linguaggi, esibizionismi, celano il terrore di subire un’intima mutilazione.
Di fatto, ad ogni ritorno della Grande Madre l’uomo teme un’evirazione. Simile a quella che i sacerdoti di Attis e Cibele si auto infliggevano in arcaici riti, fecondando di sangue la nuda terra. Per questo, per dissimulare l’angoscia, ostenta un potere maschile, compie gesti apotropaici che, nella esasperata rappresentazione di virtù falliche, tradiscono la paura di una castrazione. Misura la propria virilità sulla base di prestazioni sessuali o muscolari, simboli di una forza puramente genitale, ripiegamenti narcisistici con cui l’uomo cerca di rassicurare sé stesso.
Oppure, per non esser privato da altri dei propri attributi, se ne priva da sé. Questa auto-evirazione non è però quella fisica dei druidi o di Origene, che presupponeva anzi un coraggio fanatico e maschio.  È un’ablazione metaforica e inconscia che lascia una ferita aperta nella sua identità. Questo spiega perché alcuni, dopo aver sacrificato a qualche divinità ctonia i propri genitali, rimuovano lo spettro di un Io svirilizzato cercando nei genitali di altri uomini forme vicarie di mascolinità. Ricerca che li espone a un’intima frustrazione, dato che devono accontentarsi di compagni simili a loro.
Per altro, quanto più diventa comune  tra gli uomini legarsi con nodi omosessuali, tanto più si fa raro il calore di vere amicizie maschili. L’affetto di un uomo per un altro uomo, fatta eccezione per i vincoli familiari, può infatti alimentare in soggetti già insicuri l’angoscia di non esser virili. L’amore vero è ammesso solo come esperienza sessuale o materna, o come astrazione religiosa. Viene così privato della sua dimensione spirituale e ridotto alle forme dell’erotismo o della tenerezza.
L’uomo, ferito nel suo animus maschile, è spinto verso la sua anima femminile, ne è insieme spaventato e tentato, incapace di trovare un equilibrio. Queste incerte e fragili identità virili deludono la donna, la fanno sentire insicura e la portano a mascolinizzarsi. Così, si crea un circolo vizioso in cui anche il femminino è compromesso, perché nel momento in cui vuol dominare sul mascolino non può evitare di corrompersi, assumendo in sé caratteristiche del principio opposto.
Infatti, il porsi sopra, l’imporsi, è atteggiamento maschile. Il femminile può dunque prevalere solo incarnando valori maschili. Perciò, paradossalmente, il suo affermarsi implica la sua negazione, e la sua vittoria corrisponde alla sua sconfitta. Si produce così un aberrante corto circuito antropologico per cui più la donna va virilizzandosi più l’uomo si femminilizza, più quella si impone più questo mostra la rabbia di una mascolinità mortificata. Più la donna avanza più l’uomo indietreggia creando in sé cavità femminili.
O, al contrario, si inerpica su vette di virilità solo apparenti e frustranti. Da lì cercherà di riprendere il suo ruolo di controllo e di potere imprigionando la natura (la Madre) nelle maglie di un’ipertrofica razionalità e di una sfrenata tecnologia. Cercherà consolazione nella Macchina, androgino moderno che fonde passività femminile ed estasi maschile della prestazione; in un essere cibernetico, docile e obbediente come una geisha e insieme metafora di potenza virile.
O forse tenderà la mano alla donna, come a un nemico, trattando la pace, rinunciando a privilegi, cedendole territori dell’esistenza che prima gli appartenevano, accettandone l’emancipazione che l’ha resa più ‘maschile’ di lui. Siglando con lei un’alleanza contro il ‘sessismo’, ossia quei modelli sessuali che erano fino a ieri i gangli delle sue certezze più profonde.
Alla fine, il declinare della virilità produce uno speculare declino della femminilità, privando entrambe di valore. La creatività artistica e poetica, in cui è essenziale l’equilibrio tra maschile e femminile, si atrofizza. Ogni armonia tra yin e yang, tra anima e animus, tanto nella coppia come nella società o nel Sè, è sostituita dalla ricerca di pericolanti compromessi. Questo non può che creare infelicità. Uomini che non trovano più la Donna e donne che non trovano più l’Uomo, orfani e orfane di una sana libido.
La fondamentale dualità cosmica maschile-femminile evapora in fumose spirali di desideri alternativi, si trasforma nel cattivo infinito delle possibilità psico-sessuali. La reintegrazione dell’uomo nella bi-unità psicofisica della coppia lascia il posto a una disintegrazione dell’Eros, assurda babele di linguaggi interpersonali che la stessa Legge vuol garantire come diritto naturale
Ma questo infelice disordine, metafisico prima che sociale o psicologico, è forse presagio di una fine necessaria per rinascere. Rito di passaggio dal caos a un ordine naturale e spirituale dove maschile e femminile potranno tornare al loro posto.