Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La sola rivoluzione è quella personale

La sola rivoluzione è quella personale

di Lorenzo Merlo - 09/03/2019

La sola rivoluzione è quella personale

Fonte: Il giornale del Ribelle

Tanto per gradire

Il liquame baumiano ha invaso i solchi delle valli in cui abitavano le tradizioni. Luoghi dove gli animi individuali si realizzavano secondo il loro talento. La globalizzazione ha ridotto distinguo e differenze, quindi le identità. Prima secondo quelle dei poli industriali che come gorghi hanno risucchiato gli uomini dalle terre, ora secondo le democratiche leggi della flessibilità, spostati per necessità tecnica, come una chiave inglese. Salvo le navi degli armatori che solcano ora soddisfatti quelli che una volta erano i confini, tutti arraffiamo brandelli di detriti per mantenere il galleggiamento. Ci ricorderemo solo poi che cosasignifica vivere inseguendo i benefit e dimenticando le radici, la terra, i ritmi della natura. Il culto della specializzazione fondato sul sapere analitico-cognitivo non implica, tantomeno prevede, la realizzazione del sé delle persone. Piuttosto la distribuzione di individui in luoghi tecnocraticamente corretti ma realizzativamente alienanti. Nell’inconsapevole si salvi chi può, come prima era business is business ora, senza soluzione di continuità, si è passati alla libera applicazione dimors tua vita mea.

Tele e grandangolo

Come non ha più senso – se mai ne avesse avuto – occuparsi e preoccuparsi localmente dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua, così è per le economie locali, siano comuni, regioni, stati. Il debito – come l’ossido di zolfo o di azoto, gli idrocarburi, il metano, il monossido di carbonio, l’anidride carbonica, l’ammoniaca, il protossido d'azoto, le polveri sospese, i metalli pesanti e i composti organoclorurati (diossine, PCB, ecc.) ­–pervade tutti gli estratti conto del mondo istituzionale e non solo. Secondo gli economisti esso è considerato elemento strutturale del sistema economico (leggi vita). La loro conclusione è – da loro stessi – considerata esaustiva: senza debito non c’è progresso. Ovvero, nessuno può farcela da solo.  Evidentemente quanto l’opulente consumismo ha prodotto nelle carni e negli spiriti, per loro, non è cosa spregevole, anzi. Nella loro ottica analitico-impermeabile, le psicopatologie riguardano un altro settore. A loro non interessa.

 Pubblica fraudolenza

L’opera degli amministratori non può limitarsi, come dovrebbe, solo al rispetto della costituzione, ai diritti delle persone, alla realizzazione dei servizi primari e secondari. Nei loro bilanci c’è una voce che prevarica le altre. È quella dedicata al pagamento dei prestiti, ed è un falso in atto pubblico. La corretta dizione dovrebbe essere pagamento del tasso d’interesse dei prestiti. Si danno da fare e alcuni anche virtuosamente, ma in sostanza – come non possiamo liberare il nostro cielo dall’ossido di zolfo – il prestito non è estinguibile dentro un sistema inquinato. Prima – diciamo così – per distrazione ed entusiasmo, ora per curati interessi armatoriali.

Massima pendenza

Salvo non si cambi la concezione della vita, da fatto economico a umano, tanto i debiti, i cieli, i mari e via con tutta la catena che non esclude alcuna – leggasi alcuna – espressione materiale e spirituale della natura umana, animale, minerale, vegetale il ciclo mostruoso che siamo un passo alla volta arrivati a realizzare non avrà ragione di fermare la sua psicotica corsa.Tutte le amministrazioni, mentre lavorano per onorare il debito, ne stringono il vincolo e ogni vignettista potrebbe tracciare le linee di un cappio al collo o di un guinzaglio per rappresentare come stanno le cose.

Mayday-Mayday disse l’agnello al lupo

Significa che chiunque possa portare ossigeno ai letti della corsia delle amministrazioni istituzionali ne detiene il 51%, il diritto di veto o di vita. Detiene anche l’ombra entro cui restare nascosta ai più. Ne detiene il mercato, il potere, la comunicazione. Intanto dall’angolo oscuro in cui stanno rintanati a godersi lo spettacolo e a manovrare leve di tutte le misure, adatte per tutti gli eventi diversivi, buttano, come ai piccioni, briciole di volta in volta opportune per distrarre anche quelli col sangue più freddo. Vale a dire, di qualche investigatore socio-filologico in grado di portare fasci di luce in quei nascondigli del comando. Ma anche per questi ci sono rimedi. Messe di dati d’informazione e controinformazione sapientemente strutturata sono immessi negli eterei canali del melting-com della grande comunicazione per generare dubbi e incertezze. La strategia è pavloviana. Come le pubblicità lo sono per lo shopping forzato, le massiva quantità d’informazioni sono pastura per far cadere tutti e a turno nel buco nero delle scelte compulsive. Banale premessa per metterli all’angolo, dietro la lavagna degli stupidi complottisti.

In soldoni

Se queste sono le formule matematiche o astratte, in pratica significa che siamo in mano al miglior compratore, che la democrazia è definitivamente irrealizzabile, che il sistema capitalistico, per quanto bello grasso, è sul letto di morte ipocritamente vegliato dal suo figlio finanziario. Lui sì nel pieno delle forze.

Pulviscolo e macigni

 

Se questa premessa potrebbe bastare a se stessa e a riempire di preoccupazione, se non disperazione, chiunque ne voglia constatare l’attendibilità, di fatto induce a riconoscere che tutto il quotidiano affaccendarsi dei politici – che i media ubbidienti al mercato, sono costretti a diffondere per sopravvivere – è un falso. Indipendentemente dal gradiente di buona fede si tratta di quisquiglie al confronto dei pezzi sulla bilancia. Si danno da fare su tutti gli orizzonti – che poi sono sempre e solo uno, quello che fa capo al ciclo del mercato consuma-per-produrre-per-vivere – che ci paventano come il più importante se non il solo possibile. Ma non sono che stratagemmi, cucchiaini con i quali nessun mare potrà essere svuotato. 

Piccole osservazioni storiche

Di quali miglioramenti della vita ci parlano se da decenni la giustizia è impantanata su se stessa; se nel campo della salute gli ospedali hanno le formiche, i malati e le malattie crescono; se l’educazione, dalla formazione alle infrastrutture, è fuori controllo; se la disoccupazione si riduce di percentuali irrisorie rispetto a quelle di riferimento; se queste, a causa di conteggi interessati o mai definitivamente dichiarati nella loro natura, sono a loro volta strumentali all’imbonimento, quando non alla fregatura. Chi potrà mai credere siano un pezzo sincero di realtà? Sempre meno persone è la risposta. Almeno guardando il significato del populismo, dei gilet gialli, della xenofobia e del nazionalismo razziale mai allo scoperto come ora. Mai organizzati come ora.  Ma la catena è lunga e prosegue. Le carceri, le strade, il turismo, l’arte, i trasporti, le piccole imprese, le medie e le grandi, le coste, le valli seguono, partecipano al coro di penitenza permanente per il peccato del debito, del liberismo, del capitalismo, del positivismo, del materialismo.

Si salvi chi può

Per il debito, i privati comprano televisori, auto e case. Le istituzioni, mentre si occupano di sovranismo, spendono il necessario per evitare il collasso, la rivolta e il sangue. Senza un cambio di registro resteremo in mano a chi ci ha acquistato, mafie o oligarchie finanziarie che siano, o che sono. A seconda del latoin osservazione.

Crisi? Ma quale crisi?

Tuttavia, come dice Guenon nel suo anticipatorio La crisi del mondo moderno, scritto nel 1926 – che anticipatorio non è per ogni occhio che guarda la realtà spogliata dai suoi suggestivi orpelli culturali – «[…] non è nel dominio sociale che in ogni caso potrebbe prendere inizio una essenziale rettificazione del mondo moderno».  Continua l’antropologo francese: «Nulla di stabile potrebbe mai risultarne e bisognerebbe cominciar sempre di nuovo per aver trascurato d’intendersi anzitutto circa le verità essenziali. Per cui, non ci è possibile concedere alle contingenze politiche, anche dando a questa parole il suo senso più ampio, altro valore se non quello di semplici segni esteriori della mentalità di un’epoca.»

 

Sputacchi e foruncoli

Siamo senza via di scampo? Certamente finché delegheremo al fuori di noi la responsabilità della realtà con la quale avremo a che fare. Per nulla, se saremo in grado di assumerci la responsabilità di tutto. La sola rivoluzione è quella personale. Quelle politico-ideologiche, la storia ce lo dice, sono rigurgiti, sputacchi sul grande arazzo del tessitore. La macchia si vede all’inizio e poi si perde assorbita da un contesto in grado di digerirla. Foruncoli, niente più.L’evoluzione individuale, libera dal narciso desiderio proselitico è la via del paradigma che vorremmo.

La traccia è una sola

Richiamare a sé, in sé la politica, naturalmente smascherata dalle suggestioni dell’ideologia, è dunque la sola risorsa ancora disponibile tra le cataste di macerie tra le quali viviamo, sebben nascoste da quinte magistralmente dipinte. È un sentiero, un camminamento lento, adatto a una sola persona. Porta ovunque, ai valichi, alle vette, a nuovi orizzonti di sé, di noi. E anche a vedere che, come prosegue il francese «una idea, come quella dell’eguaglianza, o del progresso, o di […] altri dogmi laici che quasi tutti i nostri contemporanei hanno accettato ciecamente» sta mostrando i propri limiti ideologici appunto.  «Se queste suggestioni [le superstizioni nei dogmi laici, nda] venissero meno, la mentalità generale sarebbe assai vicina a cambiar d’orientamento: per questo esse vengono più accuratamente favorite da tutti coloro che hanno un qualche interesse a protrarre il disordine, se non pure ad aggravarlo - e tale è anche la ragione per cui in tempi, nei quali si pretende di tutto, sottoporre alla discussione, queste suggestioni sono le sole cose che non si debbono mai discutere».

 

  PDF Stampa E-mail