La storia chiude i battenti
di Marcello Veneziani - 14/08/2024
Fonte: Marcello Veneziani
La storia è finita, andate in pace. Ricordate più di trent’anni fa il saggio di Francis Fukuyama che annunciava la fine della storia?
La storia, come è evidente, non è finita e il mondo non è andato in pace, semmai in malora. Ma il senso della storia, lo studio della storia, la conoscenza della storia, la memoria storica, quelli si, sono tramontati di pari passo con l’avvento dell’americanizzazione e della globalizzazione. Ovvero col dominio della tecnica e del mercato, la prevalenza del presente globale sulla dimensione storica e l’affluenza di altri mondi remoti alla storia, dal Terzo mondo ai “dannati della storia” (Franz Fanon). Viviamo il tempo dell’oblio e dell’obsolescenza precoce.
Ripensavo alla fine della storia leggendo l’annuncio di Luciano Canfora che la sua rivista Quaderni di storia, dopo mezzo secolo di vita, chiude i battenti. Lo storico dell’antichità, lo studioso comunista, annuncia la fine della sua rivista come se dicesse, con una punta di sobrio trionfalismo, che chiude per “missione compiuta”: “L’intento – dice lo storico a Carioti del Corriere della sera – era portare aria nuova nel campo degli studi classici, per dimostrare la natura politica della letteratura antica e delle sue interpretazioni. Oggi questo dato, che all’epoca suscitò un certo scandalo, è comunemente accettato e quindi riteniamo che il nostro compito possa ritenersi concluso”.
Francamente non credo a questa spiegazione, non mi convince questo happy end della rivista. La realtà è che lo studio della storia è in caduta verticale, Canfora ha ormai un’età grave, viviamo in una società senza eredi, profondamente destoricizzata. E poi gli sviluppi recenti di quella politicizzazione della storia e della letteratura sono inquietanti e non piacciono nemmeno a Canfora e ai veri storici. La manipolazione ideologica e politica del passato ha prodotto quelle orrende forzature riassunte sotto il nome di woke, political correctness, che culminano nella cancel culture, ovvero la cancellazione della storia. Per dirla in modo più chiaro, la storia del passato o viene ridotta agli schemini ideologici del presente oppure se non può essere piegata all’oggi, viene cancellata nel nome degli stessi pregiudizi. Canfora giudica queste posizioni come “estremiste patologiche”, anche se si consola e ci consola dicendo che non hanno profondamente attecchito da noi e sono destinate ad appassire. Vero è che nell’anglosfera sono a un livello molto più avanzato, ma non sottovaluterei l’effetto pervasivo che hanno anche da noi. E soprattutto non trascurerei l’effetto complessivo che producono: magari non l’adesione alle assurde mutazioni transgeniche della storia, ai suoi travestimenti; ma certo la nausea, il disinteresse, il rifiuto della memoria storica e dei suoi approfondimenti. E in questa ignoranza di ritorno pesa il moralismo che condanna il passato, quella forma di bigottismo retroattivo applicato alla storia.
Dobbiamo però ripercorrere per intero l’uso politico della storia passata ai fini del presente. Per certi versi è sempre accaduto sin dal mondo antico e dei grandi imperi dell’antichità. Ma se volessimo limitarci alla modernità, dovremmo dire che il primo uso massiccio della romanità ai fini politici avvenne con la Rivoluzione francese e poi con Napoleone. Anche il Fascismo attinse molto della sua romanità dalla simbologia e dalla storia giacobina e napoleonica: paradossalmente arrivarono dalla Francia le munizioni ideologiche e mitologiche per il nazionalismo e per il fascismo.
L’uso politico della storia comunque accompagna come un filo rosso l’Italia pre e postrisorgimentale. Prima che arrivasse il fascismo, Giosuè Carducci e Giovanni Pascoli, Alfredo Oriani ed Edmondo de Amicis, solo per citare i più famosi, dettero un fondamento storico, mitico e ideale all’Italia unita del Risorgimento, cercando di vedere il presente e il futuro in continuità con il passato, spingendosi fino al passato più antico. Un protonazionalismo storico e letterario nell’ottocento e agli inizi del novecento ha preceduto il nazionalismo e ha accompagnato il sorgere della cultura nazionalista e interventista, con D’Annunzio e Marinetti, Papini e Prezzolini. Già allora, dunque, ci fu un uso politico e retorico della storia per fondare il mito della nazione. Il fascismo potenziò l’enfasi e si pose nell’arco della romanità, del rinascimento e del risorgimento, come suo esito e culmine. Avvalendosi non solo di strumenti propagandistici di massa, ma anche dell’opera di ministri e filosofi come Giovanni Gentile e di grandi storici come Gioacchino Volpe.
Il progetto da cui sorge la rilettura marxista della storia, che animò anche i Quaderni di storia di Canfora, fu nel solco di quella linea anche se con finalità opposta. Da un verso gli storici marxisti volevano demistificare l’uso politico della storia passata, ma dall’altra volevano sostituire quell’uso politico “nazionalista” con l’uso gramsciano e marxista. Ricordo che negli anni settanta, all’epoca in cui nascevano i Quaderni di storia, i programmi di insegnamento di Canfora nell’Università di Bari erano dedicati alla lotta di classe nell’antichità. Spartacus era il Peppino Di Vittorio dell’antichità. E l’Istituto Gramsci organizzava, parallelamente, letture della storia antica alla luce della schiavitù e dei modi di produzione. Furono pubblicati in questa chiave una serie di volumi a cura di Andrea Giardina e Aldo Schiavone che persino Canfora considera troppo “ortodossi” al marx-gramscismo. Insomma, mentre si condannava l’uso nazionalista della storia antica, nasceva l’uso e l’abuso marxista-gramsciano della storia, finalizzato alla rivoluzione e alla lotta di classe di oggi e di domani.
Per certi versi, l’uso woke della storia e la cancellazione del nostro presente è il termine di quella parabola, il punto più basso. Sul piano delle idee la storia letta in chiave nazional-risorgimentale era imperniata sulla linea della tradizione italiana; la storia letta in chiave marxista era finalizzata all’egemonia culturale gramsciana e all’avvento del comunismo. La storia geneticamente modificata e cancellata del presente è invece figlia dello spirito radical-progressista e dell’americanizzazione del mondo (che è la negazione del senso storico e la sostituzione della storia e della cultura con l’economia capitalista e la tecnologia). Alla fine, così strumentalizzata, strapazzata, stuprata, la storia si è stancata; e temendo il definitivo storicidio, ha preso i suoi documenti e i suoi Quaderni e se n’è andata.