Lagarde: in alto i tassi... E la recessione in Europa avanza
di Luigi Tedeschi - 20/12/2022
Fonte: Italicum
La Lagarde, novella Santa Claus della BCE, ha fatto dono all’Europa di un nuovo rialzo dei tassi di interesse di 50 punti base. Il terzo, dopo 2 rialzi nei mesi precedenti di 75 punti ciascuno. Manca tuttavia l’effetto sorpresa, dato che questo dono avvelenato era prevedibile e previsto. L’effetto della stretta monetaria è stato immediato: tonfo delle borse europee di oltre il 3% e impennata dello spread a 207 punti base (+ 6%).
La Lagarde ha annunciato peraltro che “sulla base dei dati attuali, dovreste attendetevi altri rialzi di 50 punti base per un certo periodo di tempo”. L’aumento dei tassi è una misura anti inflazione di natura tecnica, cui seguiranno altri aumenti senza limiti di tempo e senza una prospettiva di politica economica europea in grado di far fronte alla crisi incipiente. La BCE naviga a vista, attraverso annunci successivi, senza cioè affrontare i problemi fondamentali di questa fase di crisi dell’economia europea, colpita dai traumi della pandemia, della guerra in corso e da un caro energia divenuto ormai strutturale. La BCE non detta direttive di politica economica rispondenti alle aspettative dei paesi membri della UE. Secondo quanto afferma Donato Masciandaro sul Sole 24 Ore del 16/12/2022, “Aspettative da cui dipende sia il rischio inflazione che il rischio recessione. E la BCE invece di indirizzare l’economia si comporta come il più classico dei criceti sulla ruota”.
L’inflazione nel 2022 si è attestata all’8,5% e, secondo le previsioni dell’Eurosistema, scenderà al 6,3% nel 2023, al 3,4% nel 2024 e al 2,3% nel 2025. L’obiettivo della BCE è ricondurre l’inflazione al 2%. Occorre però considerare anche gli effetti collaterali di tali misure restrittive, quali la contrazione della crescita che conduce fatalmente alla recessione economica e gli inevitabili incrementi dello spread. Ma soprattutto, la lotta alla inflazione non potrà essere condotta in Europa con successivi rialzi dei tassi (o almeno non solo con essi), dato che la causa principale dell’attuale inflazione non è l’eccesso di domanda, ma l’aumento dei costi energetici e alimentari, generati dalla speculazione sui prezzi delle materie prime, oltre che dalla guerra in Ucraina. Le carenze della politica restrittiva della BCE sono efficacemente messe in luce da Giulio Sapelli in una intervista a “Il Dubbio” del 12/06/2022: “Chi crede che la crisi economica scaturita dalla pandemia e dalla guerra sia risolvibile con gli strumenti di una banca centrale si rende semplicemente ridicolo” … “avremo soltanto un aumento dei differenziali dei rendimenti dei titoli di stato e del debito pubblico dei paesi che già ora sono in difficoltà, compresa l’Italia”.
Parallelamente all’aumento dei tassi, la BCE inizierà da marzo 2023 la riduzione dei titoli in portafoglio emessi con il Quantitative Easing, ad eccezione dei titoli accumulati in occasione della pandemia (Pepp), che verranno reinvestiti fino al 2024. La riduzione dei titoli in portafoglio della BCE verrà attuata mediante il loro mancato reinvestimento alle rispettive scadenze, al ritmo di 15 miliardi al mese. Il piano potrebbe subire mutamenti in considerazione dell’andamento dell’inflazione e delle evoluzioni della situazione economica. Il QT (Quantitative Tightening) della BCE, sebbene ponderato e diluito nel tempo, presenta tuttavia evidenti rischi circa l’impatto che avrà sulla stabilità finanziaria dell’Europa. Potrebbe infatti generare illiquidità e volatilità nel sistema finanziario. Inciderà certamente sui bilanci delle banche centrali, che potranno essere esposte a perdite rilevanti nei patrimoni netti, che potrebbero addirittura registrare livelli negativi.
Gli effetti dell’aumento dei tassi sono stati immediati: i rendimenti dei titoli decennali sono saliti in Italia ad oltre il 4%, con lo spread a 207 punti base. La politica restrittiva della BCE si preannuncia con il QT gravida di incertezze e di rischi nel prossimo futuro. I titoli di stato dismessi dalla BCE che dovranno essere assorbiti nella UE dalla domanda degli investitori privati, sono stati quantificati nel medio termine per 500 miliardi di euro (tra cui 67 miliardi di Btp italiani). Certo è che per incentivare gli investitori all’acquisto di titoli del debito pubblico, i tassi dovranno essere necessariamente remunerativi e pertanto, specie per l’Italia, c’è da attendersi l’innescarsi di spirali speculative con relativi rialzi dello spread. In tal caso, si potrebbe far ricorso allo scudo anti spread per contrastare le ondate speculative, ma l’utilizzo di tale strumento presenta, in questa situazione, criticità e rischi rilevanti. L’efficacia delle misure di restrizione della liquidità predisposte per contrastare l’inflazione messe in atto dalla BCE è peraltro contestata da Giulio Sapelli nell’intervista sopra citata: “Dell’interruzione degli acquisti di titoli di Stato con la frequenza, la profondità e il volume che avevano caratterizzato gli ultimi anni, penso sia sbagliata innanzitutto la motivazione. Non credo infatti che con questa mossa si possa fermare un’inflazione che non è tale. L’inflazione è un aumento dei prezzi dell’offerta, qualcosa di completamente diverso dalla curva di Philips. È vero che la teoria economica non esiste più ma evidentemente neanche i capi degli uffici studi sanno più cosa sia l’economia. Siamo davanti a un’emersione del prezzo delle materie prime alimentari ed energetiche causato dall’aggressione russa all’Ucraina”.
Assai rilevanti sono peraltro gli effetti dell’aumento dei tassi sui mutui. Il tasso Euribor, che ha raggiunto il 2,06%, si prevede che nel 2023 ai attesterà al 2,8%. Ma il dato più preoccupante è costituito dal fatto che il tasso di interesse per i mutui a tasso variabile supererà presto quello dei mutui a tasso fisso di cui all’indice Eurirs. Secondo uno studio della Cgia di Mestre, l’aumento dei tassi deliberato dalla BCE potrebbe incidere nel prossimo anno sui costi dei prestiti alle imprese italiane per un ammontare valutato in circa 15 miliardi. Saranno maggiormente colpite le regioni ad alta concentrazione produttiva quali la Lombardia, il Lazio, l’Emilia Romagna. L’aumento del costo del denaro si ripercuoterà sui redditi delle famiglie e sugli oneri gravanti sul debito pubblico, con ricadute negative sulla crescita economica (prevista nel 2023 tra lo 0,3/0,4%), e sull’andamento del rapporto debito/Pil. Si prevede anche un decremento dei prestiti bancari intorno all’1,8%. Di conseguenza, potrebbero inoltre verificarsi nuovi cali nell’occupazione.
Siamo dunque alle soglie di una fase di recessione dell’economia europea. I presagi di una incombente recessione vengono evidenziati dalla maggiore crescita dei tassi di rendimento dei titoli di stato a breve di oltre 30 punti rispetto ai titoli decennali registrata in Germania. Tale situazione viene ben delineata da Vito Lops su “Il Sole 24 Ore” del 16/12/2022: “Quando la parte breve della curva del debito rende più di quella lunga scatta il campanello d’allarme sul possibile arrivo di una recessione nel giro dei successivi 12 – 18 mesi. I tassi a breve riflettono da vicino la battaglia di una banca centrale per fronteggiare l’inflazione, i tassi a lungo riflettono gli effetti collaterali sull’economia reale della stessa curva”.
Le ricadute palesemente negative sull’economia reale della politica restrittiva della Lagarde sono evidenti. Si verificherà certamente una contrazione della domanda aggregata e nello stesso tempo le misure di contrasto all’inflazione potrebbero dimostrarsi inefficaci, dato che l’attuale inflazione è dovuta a fattori esogeni. Incombe sull’Europa lo spettro di un periodo prolungato di stagflazione (effetto combinato di inflazione e recessione economica).
In questo contesto di crisi in cui si delinea una situazione preoccupante per l’economia europea, la Lagarde ha raccomandato all’Italia di ratificare in tempi bevi la riforma del MES. In Germania recentemente il MES è stato ratificato dalla Corte costituzionale di Karlsruhe e pertanto incombe sull’Italia il diktat per una rapida ratifica. Che le politiche della UE dipendano in ultima istanza dalle delibere della Corte di Karlsruhe non è una novità e questa ratifica del MES imposta poi all’Europa ne è una ulteriore conferma.
Il governo italiano presieduto dalla Meloni, che aveva in passato più volte espresso la propria contrarietà alle condizionalità vincolanti del MES, si trova in palese disagio con la UE. Il mainstream afferma a gran voce che la ratifica della riforma del MES non implica necessariamente il suo utilizzo. Ma in area PD – Terzo Polo i fautori del MES sono largamente maggioritari. Inoltre, i grandi investitori nei mercati finanziari potrebbero provocare impennate rilevanti dello spread sul debito italiano già ad alto rischio e quindi indurre coattivamente il governo italiano ad una rapida ratifica del MES. Come si sa la governance della UE è appannaggio dei mercati finanziari. Non si è dunque dimostrato sufficiente l’atteggiamento finanziario prudenziale dimostrato dal governo Meloni al varo della legge di stabilità a far distogliere l’occhio malevolo dei mercati e della Commissione europea sull’Italia, da sempre paese sorvegliato speciale.
E’ del resto prevedibile che, in una situazione di recessione, con deterioramento del rapporto deficit/Pil e con gli effetti sulla crescita del Pnrr vanificati dall’inflazione, il ricorso al MES potrebbe divenire una scelta obbligata, in presenza cioè di una emergenza scaturita dalle prospettive di un default italiano imminente. Il precedente greco è paradigmatico. Gli effetti devastati prodotti dal MES sono ben descritti nell’articolo di Marcello Austini “Il MES questo sconosciuto” pubblicato sul blog di Italicum il 19/05/2020: “Il MES deve far paura allora? Nonostante le rassicurazioni del Premier Conte e di altri politici, tecnici, giornalisti globalisti, per quanto sopra esposto, per le criticità rilevate, per il fatto di essere in buona compagnia con altri (ancora pochi) “spiriti liberi” nel giudizio negativo sul MES, si deve assolutamente scongiurare che l’Italia faccia ricorso al “fondo salva Stati” (sic) dell’Unione Europea, ed evitare che si aprano le porte all’ormai famigerata Troika.
In caso contrario, in caso di richiesta di assistenza italiana, la preoccupazione, meglio la certezza è che l’aver aderito al MES comporterà ulteriori tagli allo stato sociale (sanità inclusa), una riforma del mercato del lavoro ancor più in salsa liberista ed una rivisitazione del sistema pensionistico, ovviamente ancora più in peius.
Quali effettivi scenari allora ipotizzare in caso di ricorso al MES da parte dell’Italia? Quello che è successo in Grecia dopo l’adesione al MES è emblematico e dovrebbe far riflettere: non solo la Troika ha preteso ed ottenuto una riforma dell’accesso al sistema pensionistico, ma ha anche ridotto l’assegno di chi era già in pensione. L’esempio greco dimostra che l’utilizzo dei fondi del MES è soggetto al rispetto di determinate condizioni. Condizioni dettate dai rappresentanti della Commissione Europea, del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Centrale Europea (ossia, le tre anime della cosiddetta Troika).
Le condizionalità del MES sono discusse di volta in volta con il Paese debitore ma, nella gran parte dei casi, impongono tagli alla spesa pubblica, con interventi piuttosto marcati sulla spesa sociale e pensionistica.
In Grecia, nello specifico, la Troika ha preteso un taglio del 20% di tutti gli assegni pensionistici superiori ai 1.200 euro mensili, la cancellazione della tredicesima mensilità (anche per i dipendenti statali) ed una sforbiciata agli assegni di tutti coloro che sono andati in pensione prima dei 55 anni”.
Ma le criticità della politica restrittiva della Lagarde appaiono ancor più evidenti nel contesto dei rapporti tra USA e UE. L’Europa, ricondotta nella sfera di influenza occidentale della Nato, dopo la fine della interdipendenza economico – energetica con la Russia, appare fortemente ridimensionata. L’aumento dei tassi della BCE andrà ad incidere negativamente su di una economia europea già devastata da un caro energia divenuto strutturale, da un export non più competitivo, da un accesso ai mercati cinesi ormai assai ridotto e dalle politiche di incentivo riguardo agli investimenti nella transizione ambientale messe in atto da Biden, che potrebbero determinare la deindustrializzazione in Europa unitamente alla delocalizzazione delle multinazionali europee negli USA, in cui i costi dell’energia sono pari a circa 1/5 di quelli europei. La politica di dumping industriale praticata dagli USA potrebbe inoltre rendere del tutto inefficaci gli effetti degli investimenti per la crescita previsti dal Pnrr.
Il Natale è ormai imminente e la Lagarde, novella Santa Claus, ha portato in dono all’Europa l’aumento dei tassi. Almeno avesse portato il carbone, che invece tornerebbe utile in tempi di caro energia. In occasione del capodanno, la UE, unitamente alla BCE, andrebbero gettate dalla finestra assieme alle cose vecchie ed inutili. Infatti, solo con la dissoluzione della UE potrebbe generarsi una nuova Europa. E questo è l’auspicio dei popoli europei per il 2023. I più sinceri auguri a tutti, meno che alla Lagarde.