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Le nuove rotte del populismo

di Francesco Marotta - 13/09/2019

Le nuove rotte del populismo

Fonte: Barbadillo

Il Governo giallo-fucsia è passato al Senato con le innumerevoli benedizioni di Bergoglio che continua a lanciare messaggi per nulla subliminali contro i muri, per costruire ponti e le immancabili castronerie del genere. Insomma, più che alle anime che continua a perdere anche nelle chiese, territorio indiscusso delle minoranze migratorie di fede cattolica, i suoi paiono ammonimenti rivolti in una direzione ben precisa. La cosa incomincia a scappargli di mano, oltre che ad essere al limite del “politicamente corretto”.

Ma occupiamoci di altro, non siamo dei teologi e tanto meno dei “pretini”. Cosa cambia nello scenario politico italiano e cosa vediamo all’orizzonte? Innanzitutto, parlando di una delle forze del nuovo Governo, il Movimento 5 Stelle, una possibile debacle. Indubbiamente Matteo Salvini ha fornito un assist non indifferente a Conte per armeggiare e tirare su la nuova coalizione. Ma questo è già il passato. Chiaro è che le grida anti-sistema degli ex grillini, svaniscono nel nulla. La fronda interna che rimanda alle peripezie dei tempi che furono, della storiografia catto-sinistra, ha avuto la meglio. È l’effetto della “normalizzazione” che ha investito come un treno Syriza in Grecia e Podemos in Spagna. Dal “vogliamo” e possiamo” contro i cani da guardia dello status quo, al dialogo e alla formazione di un Governo assieme (il caso greco e italiano), è quantomeno dubbio se non un boomerang.

Dunque, «Il momento populista» è giunto alla fine dei suoi giorni? Diciamo che nell’arco della Storia ha vissuto alti e bassi. In questo preciso lasso di tempo, la parabola pare inclinarsi verso il basso ma, beninteso, la mentalità “populista” è sempre stata presente e non è mai del tutto scomparsa nelle vicende che riguardano non solo la politica. Ne abbiamo già scritto tempo a dietro. Chiaro è che un capitombolo del genere e la successiva piroetta pentastellata sono al limite del trasformismo. Meglio essere un po’ più precisi: ogni volta che questo tipo di mentalità si è avvicinata ai gangli del potere, la forza propulsiva è andata via via spegnendosi. Le cause principali sono la poca attitudine ai giochi di Palazzo e l’immancabile assimilazione: invece di proporre una strada alternativa, spesso viene aggirata e come abbiamo visto, inclusa nell’insieme. Trattasi della questione che riguarda una mentalità che a sua volta, nulla c’entra e può centrare, con l’apparato in essere. Ciò detto, dobbiamo anche pensare che alcuni rappresentanti, ligi alle storture della rappresentatività, erano già avvezzi a questo tipo di logica intra-sistema, cavalcandone da dentro i successi e al contempo, riuscendo così ad allargare le maglie di una permeabilità che è diventata molto evidente. Il caso Conte è indicativo ma potremmo farne altri.

Dunque, viste le ultime vicissitudini, siamo giunti alla riedizione della dicotomia destra-sinistra? Ascoltando e leggendo le dichiarazioni degli ex leader del centrodestra, parrebbe di sì. Perlomeno, provando a leggerne il labiale, ma utilizzando una formula diversa. Giorgia Meloni, dopo la manifestazione di Roma, ha rilasciato un’intervista al Corriere Romano, intitolata Meloni: «La piazza un successo, ora ristrutturiamo il centrodestra», dichiarando quanto segue: «Il centrodestra dovrà ristrutturarsi, è un’esigenza sotto gli occhi di tutti. Io sono molto fiera di FdI, che per tutti i sondaggi è ormai il secondo partito della coalizione». Insomma, alla fine del governo giallo-rosso ci speravano in tanti e, cosa non da meno, ci lavoravano in tanti. Ma l’errore madornale della destra in generale, è proprio quello di pensare che nulla sia successo e che basti solo “ristrutturare” il vecchio recinto e/o contenitore per tornare ai vecchi fasti. Era nell’aria e qui Salvini ha commesso un doppio errore imperdonabile: riuscire a riesumare le vedove e i vedovi del centrodestra e del centrosinistra. Certo, indubbiamente Fdl è cresciuto come partito ma non è riuscito a scrollarsi di dosso quei cappelli da texano tricolori e quelle formule neo-liberali che tanto piacciono a Mammona Oltreoceano; così come agli esuli del partito liberale per eccellenza, quale fu, possiamo dirlo, quello fondato da Berlusconi.

Trattasi di un problema che caratterizza il “sovranismo”, continuando a confonde la «sovranità» con delle semplici rivendicazioni destro-liberali e piccolo nazionaliste, in uno scenario internazionale che è ormai multipolare, ripetiamolo. Il “populismo” e la «sovranità» non sono né un feticcio di destra e né di sinistra e ciò significa che all’orizzonte, con il beneficio del dubbio, c’è una vasta landa desolata non di elettori ma di popolazione che è scontenta e disinteressata alla solita minestra amara. Tra l’altro, riproposta con un po’ di mentuccia fresca. Questo significa che è possibile, nonostante l’avvio di una nuova stagione all’insegna del democraticismo, veder nascere un qualcosa che si discosti parecchio, oppure no. Ma la cosa importante è che nessuno ha la sfera di cristallo e tanto meno può pensare di avere delle “verità rivelate” inoppugnabili. La “ristrutturazione” di un qualcosa che è morto e sepolto da tempo è una di queste.