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Navalny: dalla Russia con clamore

di Mariano D’Adamo - 11/04/2021

Navalny: dalla Russia con clamore

Fonte: Centro Machiavelli

Molto scalpore nel mondo ha suscitato il fallito attentato a Navalny, cui sono seguite proteste di piazza dopo il suo successivo arresto. Ma chi è costui? Hanno davvero cercato di ucciderlo? Perché è finito in galera?
Navalny è un avvocato, blogger ed attivista russo che ha raggiunto una certa notorietà con le sue battaglie contro la corruzione. Non avendo – né lui né la moglie – un vero e proprio lavoro, vive grazie alle donazioni e agli introiti pubblicitari dei vari documentari sensazionalistici riguardanti la corruzione di alti funzionari politici. Secondo “Yuzhnaya Slyzhba Novostey”, all’8 febbraio di quest’anno Navalny poteva vantare ben 165 bitcoin (equivalenti a quasi 10 milioni di dollari), derivati principalmente da finanziamenti esteri provenienti da Inghilterra, Germania e Stati Uniti. Nel dicembre scorso Il giornale tedesco “Stuttgarter Zeitung” ha inoltre spiegato come l’ultimo suo documentario anti-Putin sia stato prodotto in Germania su commissione dagli Stati Uniti.
Basandoci su questi fatti, possiamo quindi capire come sia comprensibile che Navalny cerchi in tutti i modi di aumentare la risonanza mediatica di ogni sua iniziativa: ciò aumenta in maniera direttamente proporzionale i suoi introiti.
È sicuramente un’ottima cosa che ci siano degli attivisti che dedicano la loro vita agli altri e che cercano di diminuire il livello di corruzione presente in ogni Paese ma, come è stato più volte dimostrato, le notizie date da Navalny sono spesso imprecise e manipolate. L’ultimo esempio lo hanno fornito i giornalisti di “Mash”, mostrando come la famigerata reggia di Putin, principale soggetto dell’ultimo video di Navalny, sia un palazzo in costruzione da anni, passato di proprietà più e più volte, di cui esistono solo la facciata e i pilastri principali. Gli interni sfarzosi mostrati nel documentario dell’attivista russo, sulla base del video pubblicato da “Mash”, sono stati abilmente adattati con la computer grafica.
Sembra quindi che l’attivista, nonostante fosse partito coi migliori propositi, li abbia poi sacrificati, manipolando le informazioni che dà. Più risultano eclatanti le sue rivelazioni, più guadagna. E con tali entrate può permettersi un tenore di vita di tutto rispetto (basti pensare che da pochi mesi la figlia ventenne si è trasferita negli Stati Uniti, dove frequenta la prestigiosa Università di Stanford).
Veniamo alla questione del tentato assassinio. Un soggetto come Navalny fa così tanta paura da doverne ordinare l’uccisione? A tutt’oggi, non risulta ci siano nelle sue mani informazioni così compromettenti. È ipotizzabile invece che qualcuno abbia inscenato un finto avvelenamento per lucrarci sopra e/o per colpire l’immagine di Mosca?
L’arma del tentato omicidio sarebbe l’agente nervino Novichok che nei media occidentali si presume in possesso solamente degli agenti segreti russi. Come ricorda il giornale francese “AgoraVox”, l’agente Novichok è stato studiato e prodotto a partire dal 1970 in Unione Sovietica. Questa famiglia di agenti nervini organofosfati è diventata famosa quando nel 1991 il chimico sovietico Vil Sultanovich Mirzayanov, fuggito dalla Russia, si rifugiò negli Stati Uniti portando con sé le relative ricerche ed acquistando notorietà nel laboratorio chimico dell’Università di Princeton. Al giorno d’oggi sono in grado di produrre tali preparati per lo meno la Russia, gli Stati Uniti, la Germania, la Repubblica Ceca e l’Iran. Alcuni derivati di tali prodotti sono addirittura acquistabili sul dark net. “AgoraVox” fa notare che un solo cucchiaino di tale sostanza è in grado di uccidere dalle 1000 alle 5000 persone. Se fosse stata veramente utilizzata, qualsiasi sovradosaggio anche di pochissimi milligrammi avrebbe potuto portare all’altro mondo gran parte dei passeggeri dell’aero in volo da Omsk o, per lo meno, la moglie del noto attivista che vive e viaggia spesso con lui.
Un altro aspetto interessante, spesso trascurato, del caso Navalny è la ragione per cui oggi si trova in carcere. Non tutti sanno che il blogger, tra il 2014 e il 2015, sia stato condannato a tre anni e mezzo di carcere con il fratello Oleg in relazione ad alcune irregolarità commerciali commesse dalla loro società a danno della sussidiaria locale della compagnia Yves Rocher. Senza entrare nei dettagli di questa controversa sentenza, è un dato di fatto che se Navalny si fosse presentato, come accade normalmente, due volte al mese presso gli organi per il controllo della libertà vigilata oggi avrebbe potuto continuare la sua attività politica da libero cittadino. Come è stato libero di fare negli anni precedenti. Ma Navalny ha sistematicamente violato le condizioni del periodo di prova, scaduto il 30 dicembre 2020, non comparendo presso le autorità di regolamentazione ben sette volte, sei delle quali prima del presunto avvelenamento di agosto. Solo nell’anno 2014, quando è stata approvata la sentenza sul caso Yves Rocher, ha commesso più di 50 violazioni nel periodo di prova.