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Obiettivo Ucraina

di Daniele Perra - 04/12/2022

Obiettivo Ucraina

Fonte: Daniele Perra

Si è sostenuto a più riprese che l'intervento diretto russo nel conflitto ucraino abbia ottenuto l'effetto deleterio per Mosca di ricompattare la NATO (quindi, che Putin abbia fatto una sorta di autorete, per utilizzare una banale metafora calcistica). Ecco, io questa compattezza non la vedo affatto. Solo qualche giorno fa la Turchia (secondo esercito della NATO) ha accusato gli Stati Uniti di organizzare attentati terroristici sul proprio territorio nazionale. Con tutta probabilità Regno Unito, Stati Uniti e Polonia hanno fatto saltare i gasdotti Nord Stream (infrastruttura strategica russo-tedesca). Dunque, Paesi membri della NATO hanno attaccato gli interessi vitali di un altro Paese membro della NATO (cosa che, in linea teorica, dovrebbe equivalere ad una dichiarazione di guerra se la Germania non fosse una colonia, tra l'altro con un numero di soldati USA nel proprio territorio nazionale estremamente elevato, introno alle 35.000 unità). Grecia e Turchia si minacciano quotidianamente. L'Ungheria si oppone apertamente alla politica di sostegno al regime di Kiev a causa delle discriminazioni subite dalla minoranza magiara in Ucraina (discriminazioni perpetrate soprattutto dal tristemente noto, quanto impunito, gruppo ultranazionalista Sich dei Carpazi). Grecia e Macedonia del Nord sono ai ferri corti da trentanni. Italia e Spagna si contendono il gas algerino. Francia, Italia e Turchia sono su posizioni diametralmente opposte in Libia. Lo stesso allargamento dell'alleanza a Svezia e Finlandia non ha alcun valore strategico (è solo una mera provocazione alla Russia). Non lo dico, lo diceva già Brzezinski che pure fu uno dei massimi sostenitori dell'espansione NATO ad Oriente. Brzezinski, infatti, affermava che è inutile allargare l'alleanza senza riformare l'articolo V e togliere il diritto di veto ai Paesi membri. Il rischio, a suo modo di vedere, era quello di diminuire ulteriormente una coesione già abbastanza compromessa (senza considerare che sono assai pochi i membri che rispettano in toto gli obblighi dell'alleanza).  
Questo è importante perché un politologo russo (parlo di Sergeij Karaganov) ha utilizzato il termine “distruzione creativa” (da non confondere con il caos creativo dei neocon nordamericani) per definire la strategia russa di sabotaggio dei tentativi di accerchiamento della NATO (in cui rientra l'azione contro la Georgia nel 2008, ed anche la cosiddetta “operazione militare speciale” – ricordiamo che per statuto un Paese in conflitto non può entrare nella NATO, dunque, appare evidente che la Russia non abbia alcuna particolare fretta a porre fine al conflitto). Sempre Karaganov sostiene che sia un errore dare troppa importanza all'Ucraina (terra alla quale, proprio Brzezinski, in modo “smaccatamente polacco”, avrebbe dato un eccessivo valore strategico). Certo, Mosca non può permettere che il Paese entri nella NATO, ma la Russia, a suo parere, dovrebbe concentrarsi nel costruire rapporti sempre più solidi con l'Asia orientale e meridionale. Non di scarso rilievo, a questo proposito, anche il fatto che Russia e Cina, giorno dopo giorno, strappano terreno all'Occidente in Africa. L'Algeria è il principale alleato russo nel continente; il ruolo occidentale nel Sahel è sempre più limitato e quello russo-cinese sempre crescente. Questo ci pone di fronte ad un altro problema. La Russia non solo controlla i flussi del gas (ed ha porzioni di mercato enormi per la quasi totalità delle materie prime) ma, potenzialmente, può anche finire a gestire i flussi migratori dall'Africa subsahariana verso l'Europa (un'arma in più che può sfruttare con la Turchia, socio in affari dell'industria energetica russa sebbene fornitrice di tecnologia militare all'Ucraina). Dunque, osservando una cartina geografica notiamo che ai tentativi NATO di accerchiare la Russia, rispondono i tentativi russi di accerchiare la NATO dal fronte meridionale.
Il discorso sulla NATO mi fa venire in mente un altro punto che in molti non riescono ancora ad afferrare. Si fa spesso costante riferimento al sistema internazionale basato sulle regole (che altro non sarebbe che il sistema internazionale americanocentrico, ragione per cui Paesi come Russia e Cina vengono definiti revisionisti, come revisionisti venivano definiti Germania e URSS negli anni '30 del secolo scorso). Bene, tale sistema internazionale basato sulle regole di fatto non esiste visto che è lo stesso egemone sul piano globale a non rispettarlo in alcun modo. Il sistema internazionale, in realtà, ancora oggi, parafrasando Mearsheimer, è più simile allo stato di natura hobbesiano in cui vige la legge del più forte (già Stalin affermava che i trattati internazionali sono carta straccia, ciò che conta è solo la forza). In questo contesto, gli Stati sono costretti ad aumentare la propria potenza per limitare il rischio di essere attaccati (consideriamo il caso estremo della Corea del Nord che si dota di armi nucleari dopo che viene inserito da George Bush Jr. nella lista degli Stati canaglia). Non solo, anche le “supposte” alleanze contano assai poco. Prima ho citato il caso degli attacchi al Nord Stream. Pensiamo ad un esempio classico: i patti segreti Sykes-Picot del 1916. Francia e Gran Bretagna si spartiscono il Levante all'insaputa dell'Italia (entrata in guerra al fianco dell'Intesa nel 1915) ed avvisano la Russia zarista (loro alleata – le case reali russa e britannica erano pure imparentate) quando l'accordo praticamente era già stato preso, utilizzando una vecchia tattica della diplomazia: quella di far pensare a qualcuno di poter contare qualcosa quando in realtà non conta nulla. Proprio l'Italia l'ha provato a più riprese di recente con le continue promesse nordamericane di “cabina di regia congiunta” sulla Libia, naturalmente mai realizzate. Inoltre, in occasione degli accordi Sykes-Picot la stessa Gran Bretagna ingannò la Francia visto che prese possesso dei pozzi petroliferi iracheni e, dando a Parigi il controllo sull'area settentrionale del Levante, pensò di utilizzarla come “cuscinetto” in caso di eventuale espansione russa nell'area via Caucaso.
Attualmente, la dimostrazione più evidente di questa natura “anarchica” del sistema internazionale ci è data dal rapporto UE-Stati Uniti. L'UE non è un alleato per gli Stati Uniti. È un sottoposto da schiacciare ed al quale imporre la propria volontà. E tale deve rimanere onde evitare che possa in qualche modo minacciare la potenza economica di Washington. Ancora una volta, queste tesi non sono un prodotto della mia mente. I teorici neocon le sostenevano più di 20 anni fa (gli stessi che parlavano di “guerra biologica come arma politicamente utile”, di “democratizzazione della Cina” e di “necessità di un evento catastrofico, come una nuova Pearl Harbor” - lo riporto testualmente – per  portare avanti la loro agenda). Si veda il documento del centro studi Project for the New American Century (quello di Robert Kagan e Paul Wolfowitz) dal titolo Rebuilding America's Defense del 2000. E, si badi bene, l'amministrazione Biden è infarcita di neocon. Ciò dimostra anche come l'ideologia conti fino ad un certo punto. Anche se ultimamente si sta cercando di presentare l'huntingtoniano “scontro tra civiltà” come una sorta di “Occidente contro tutti”, in realtà, esistono almeno due “Occidenti”, ed uno (principalmente produttore di provvedimenti semidemenziali ed anti-popolari) è ostaggio dell'altro (dell'Estremo Occidente).
Questo ci porta alla domanda: chi sta vincendo e chi sta perdendo la guerra? E non mi riferisco solo alla “guerra calda” in Ucraina. La prima grande sconfitta è proprio l'Unione Europea a trazione tedesca. Gli Stati Uniti sono riusciti nel loro intento di de-germanizzare l'UE costruita attorno alla locomotiva tedesca ed alla sua area geoeconomica (che comprende anche l'Italia del nord). L'hanno fatto scollegandola dalla Russia. Dunque, essere atlantisti oggi, in questo preciso momento storico, significa essere a favore della decostruzione del tessuto industriale anche dell'Italia e della svendita di ciò che rimane del patrimonio nazionale ai fondi d'investimento con sede Oltreoceano.
A questo punto dobbiamo porci un'altra domanda: cosa sarà dell'UE? I segnali non sono di certo confortanti visto che abbiamo sul lato orientale una Polonia religiosamente radicalizzata, iperarmata e portatrice di un'idea nazionalista e messianica (ampiamente nutrita dagli Stati Uniti) che vorrebbe ricostruire il grande Stato polacco-lituano della prima Età Moderna in modo da porsi come antemurale contro la Federazione russa (una sorta di ritorno al prometeismo di Pilsudski di cui parlo ampiamente nel libro “Obiettivo Ucraina”); sul lato occidentale, invece, c'è l'isola britannica che (nonostante la Brexit) continua ad esercitare la sua “malefica” influenza sul Vecchio Continente. Citando Johann von Leers, potremmo affermare che essa rimane il “nemico dell'Europa” per antonomasia. Polonia e Regno Unito, di fatto, hanno assunto il ruolo di guardiani dell'Europa per conto terzi (gli Stati Uniti). Quindi, c'è una NATO che vuole accerchiare e contenere la Russia ed una parte della NATO che vuole accerchiare e contenere il cuore dell'Europa in una sorta di schema a cerchi concentrici.
L'Italia, come sponda meridionale della NATO (Sardegna e Sicilia sono vere e proprie portaerei dell'Alleanza Atlantica nel Mediterraneo, ad esempio), ambisce anch'essa al ruolo di guardiana dell'Europa. È ciò che ha proposto il governo Draghi; ed il governo Meloni (con il suo meno soldi all'educazione più armi all'Ucraina) sta cercando di fare altrettanto. In particolare, sta cercando di ritagliarsi un ruolo simile a quello della Polonia per la quale l'oltranzismo atlantista è garanzia (al momento) di sostanziale libertà d'azione sul piano interno: ovvero, per portare avanti un'agenda di stampo “conservatore” o pseudo tale. Il problema di fondo è che la Polonia si trova sulla linea di faglia, al confine con il “nemico”, dunque, le vengono fatte ampie concessioni. L'Italia no. Lo era durante la Guerra Fredda. Di conseguenza, la strategia meloniana, a mio modo di vedere, rischia di produrre semplicemente ulteriore asservimento.
L'Ucraina è sconfitta. L'Ucraina è uno Stato fallito in mano ad una “cerchia politico-teatrale” che solo qualche mese fa veniva definita nello stesso Occidente come tra le “più corrotte al mondo”. Non ha alcun tipo di sovranità; è ostaggio di gruppi estremisti e sarà totalmente dipendente dagli aiuti esteri per decenni. Aiuti che, naturalmente, saranno soprattutto a spese dell'Europa. Gli Stati Uniti, isolazionisti a seconda della convenienza, come hanno fatto nei Balcani, dopo aver creato il buco nero lasceranno agli altri il compito di riempirlo.
Sulla Russia il discorso è più complesso. L'Occidente ha impostato la propria presunta strategia (se ne esiste una) sulla criminalizzazione di Vladimir Putin e sulla speranza di indebolire lo stesso Presidente russo sul piano interno ed internazionale (l'ultima riunione della CSTO non è stata una passeggiata per la Russia, le critiche degli “alleati” sono state abbastanza pesanti). Il problema è che non è affatto detto che un'eventuale (per quanto ad oggi remota) estromissione di Putin dal potere possa coincidere con un governo russo più conciliante. Anzi, è assai più probabile il contrario. Ricordo che Putin (come altri politici russi prima di lui) è stato quasi costretto dagli eventi a percorrere una determinata strada: voltare la faccia all'Europa e volgersi verso Oriente. Si pensi alla Russia zarista dopo la Guerra di Crimea nella metà dell'Ottocento, oppure, ai Bolscevichi una volta che si resero conto dell'impossibilità di esportare la rivoluzione in Europa occidentale. I primi anni della presidenza Putin, infatti, sono stati caratterizzati da una sostanziale apertura verso Ovest. È stato l'Occidente a sbattergli la porta in faccia con differenti ondate di espansione della NATO verso Est e con la destabilizzazione del Caucaso (con i gihadisti infiltrati dalla CIA tramite l'Azerbaigian). Senza considerare che pure Clinton affermò candidamente che il ruolo della NATO, dopo la fine della Guerra Fredda, era proprio quello di mantenere separate Russia ed Europa.
Dunque, tornando al citato Karaganov, l'esito del conflitto in Ucraina è sì importante per gli obiettivi russi, ma non determinante. Karaganov arriva a sostenere la possibilità di una sconfitta nel breve periodo a fronte di una vittoria nel medio e lungo periodo. Forse esagera ed anch'egli, di recente, ha parlato della necessità di una “nuova guerra patriottica”. Ad ogni modo, non credo che i vertici politico-militari russi possano tollerare una sconfitta (seppur limitata) in Ucraina. Ma è importante capire cosa intendiamo per “sconfitta russa in Ucraina”. Personalmente, escludendo l'improbabile riconquista ucraina della Crimea (il “ritorno ai confini del 1991”, quindi, all'Ucraina creata dai sovietici), credo che se Kiev dovesse riuscire a spezzare la continuità territoriale tra Crimea e Donbass, potremmo iniziare a parlare realmente di sconfitta russa. Tuttavia, dobbiamo renderci conto che l'esito del conflitto sul campo sembra avere un valore minore rispetto all'assai più ampio obiettivo di primo piano (di lungo periodo): costruire un mondo multipolare, o meglio, accelerare la transizione verso il multipolarismo. Il disegno, quindi, è assai più complesso di ciò che può apparire ed esula dal limitato teatro ucraino. In questo mi sembra che la Russia stia avendo un certo successo visto che il resto del mondo sembra aver sviluppato una sorta di avversione contro il cosiddetto “miliardo d'oro”: quell'Occidente che ha abbandonato l'economia reale per vivere in forma parassitaria a spese degli altri e cercando di imporre ovunque i propri usi e costumi.