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Ovunque, tranne qui e ora

di Stefano Beccardi - 14/10/2020

Ovunque, tranne qui e ora

Fonte: Ereticamente

Sembra che non vi sia altro di cui parlare. “Allarmisti” contro “negazionisti”, “democratici” contro “golpisti”, “tecnici” contro altri “tecnici”. L’attenzione rimpallata (e catalizzata) come una pallina in una frenetica partita di ping pong, mentre man mano si perde il focus sui fattori determinanti: il campo e i giocatori. Cercare di seguire la pallina piuttosto che i gesti, perdendosi mentre si cerca di capire dov’è (piuttosto che intuire dove andrà), è frutto di un istintivo desiderio di controllo che in realtà non permette che cogliere singoli frammenti della partita in corso. Nulla di quanto si sta assistendo è, in realtà, una novità. Ma la situazione inedita – almeno per questa generazione, con le “certezze” e i “traguardi” che riteneva aver raggiunto – imprime accelerazioni tali da far apparire la situazione quasi… statica, quindi decifrabile. O almeno così crede come chi, appunto, per un attimo coglie la pallina. Perché alla fine quello a cui più facilmente si tende è attendere chi per primo segnerà il punto, esaltando il proprio tifo o confermando le proprie più ipotesi pessimiste. Insomma, si cercano riscontri esterni a predisposizioni interiori.
E’ un inciampo che accomuna tanto i succubi del mainstream del momento (che “esternalizzano” la propria precarietà in un incessante stato di emergenza, dai pitbull aggressivi all’epidemia implacabile, passando per il nazifascismo di ritorno e per le catastrofi ambientali imminenti, tanto per citarne solo alcune), quanto i fin troppo facili e monotematici “profeti” di mondi orribili che stanno per farsi realtà. Entrambi, in uno slancio narcisistico e progressivamente sempre più autoreferenziale costruiscono narrazioni su altre narrazioni, sezionano e rielaborano singoli episodi elevandoli a dimostrazione delle proprie tesi. Dinanzi a tale scenario è talmente facile indirizzarli, innescando la prima delle narrazioni, che non ci vuole chissà quale elaborazione, quale “disegno” compiuto da realizzare. Il resto lo fa la tendenza a “semplificarsi la vita”, riproducendo le solite notizie, che poi sono sempre meno davvero tali e invece sempre più empatiche, emotive, perché così sono immediatamente fruibili, spendibili, vendibili. Si “semplificano la vita” le redazioni perché innanzitutto sono “semplificate” le teste del pubblico. E questo accade innanzitutto perché ogni vera notizia cela un impegno, nella comprensione delle cause e nel farsi carico delle conseguenze, forse troppo grande per chi vuole restare nel mezzo o, così, ci campa.
Occorre in ogni caso comprendere che non da exploit manifesti e rapidi trae vantaggio chi detiene le leve del potere, ma dal tempo e dal silenzio. Questo perché non esiste mai un unico “disegno” (chi scrive, del resto, condivide appieno la visione di G. Faye della “convergenza di catastrofi”): la differenza sostanziale tra chi doma la tempesta e chi naviga a vista è il saper affrontare, e se possibile far volgere a proprio vantaggio, l’inaspettato. Nella circostanza, per esempio, interrogarsi sull’origine (naturale o artificiale) del virus, oppure sul complotto delle cause farmaceutiche, o sulle ragioni che spingono il nostro governo ad agire per le “vie brevi” con gli ormai famigerati D.p.c.m. – ossia, vari frammenti del mosaico che stiamo osservando – può avere rilevanza o nessuna (è anche questa una situazione di possibili convergenze, più o meno fondate, più o meno ricercate o casuali). Ciò che davvero conta è che la dovuta analisi dei vari frammenti non trasmuti in una speculazione che serve soprattutto per trascurare e neutralizzare la sfera d’azione personale, piccola (anche solo intima) o grande (come chi riveste ruoli politici) che sia.
Peraltro, i grandi “profeti” della letteratura (dai classici Huxley, Bradbury e Orwell, fino al più recente Houllebecq) non hanno mai intrapreso la loro analisi da eventi particolari, ma hanno seguito attentamente il lento corso degli eventi (che appare ai più impercettibile a priori), attraversandoli senza farne parte, tenendo presente la complessità del tutto. Inutile quindi svegliarsi fuori tempo massimo e comunque senza una concreta riflessione sulle opportunità (innanzitutto di approccio interiore, come già scrivevo in un precedente articolo) di ogni crisi. Occorre quindi portare l’attenzione là dove i fenomeni sono ancora latenti, dove la cagnara (orchestrata o autogenerata) non è ancora arrivata, dove si giocano le partite che contano per il futuro prossimo. Inutile “restringere” o “dilatare” il tempo quando non si sa stare in questo tempo, che piaccia o meno è quello che ci è dato e nel quale dobbiamo essere e agire, qui e ora.

Stefano Beccardi