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Palestina: stavolta i Magi non troveranno nessuno

di Geminello Preterossi - 04/01/2024

Palestina: stavolta i Magi non troveranno nessuno

Fonte: La Fionda

Quest’anno Gesù bambino non è nato. Gesù nacque in Palestina: quest’anno, i bambini palestinesi muoiono. O rimangono feriti, menomati, amputati senza anestesia. Mi sono deciso a scrivere queste poche righe per il senso di insopportabilità di quanto accade, quasi nell’indifferenza del mondo. Ormai ci siamo assuefatti alla guerra, al racconto che ci assegna come Occidente la parte del giusto, a cui peraltro le stesse popolazioni occidentali sempre meno credono. Da ciò scaturisce amarezza, nella migliore delle ipotesi, o indifferenza, come se la causa palestinese non ci riguardasse. Ecco, la causa palestinese: l’abbiamo rimossa negli ultimi venti anni, e quanto è accaduto a partire dal 7 ottobre ne è il risultato. Far finta che non ci sia una ferita aperta, in Palestina, con un popolo deprivato della propria terra, che soffre una condizione sempre più insopportabile perché senza prospettive né speranze, è un atteggiamento o molto cieco, o molto cinico. Legittimare e incentivare le colonizzazioni illegali, ad opera di coloni sempre più radicalizzati e ostili ai palestinesi, nei Territori occupati, è un atto di provocazione dissennato, l’opposto della ricerca di una pacificazione ragionevole.Il “nulla di politica” produce l’urto di una violenza immediata e inarginabile, impossibile da governare. Il killer omicida che uccidendo Rabin ottenne l’obbiettivo – perseguito dagli estremisti di una parte e dell’altra – di eliminare la possibilità di una politica di mediazione tanto coraggiosa quanto fragile, apparteneva agli stessi circoli fanatici da cui provengono esponenti di primo piano dell’attuale governo di Israele. Criticare questo governo, la sua condotta, non ha nulla a che fare con l’antisemitismo. Capitolando alla politica del rifiuto di ogni mediazione, che non poteva non implicare il rifiuto di qualsiasi soluzione seria della questione palestinese e la negazione di qualsiasi autonomia politica reale della Palestina, non si poteva che aprire la strada al nichilismo politico, che è l’altra faccia del fondamentalismo religioso, il quale strumentalizza riferimenti culturali e teologici a fini polemici. E, alla fine, alla semplificazione estrema del discorso politico, che non conosce più neppure nemici concreti, ma solo nemici assoluti, da discriminare e annientare come fossero subumani. “Nulla di politica” significa perdita della capacità di comprensione di situazioni storiche complesse, di mediazione geopolitica, di visione strategica e lungimirante cui l’Occidente oceanico è giunto, nel suo delirio nichilista-fondamentalista, che compensa il proprio vuoto, e la ferocia dell’interesse immediato, con un moralismo polemico pericolosissimo. Bellicismo su base identitario-religiosa e bellicismo tecno-finanziario si tengono insieme, sono speculari. Per questo Gaza non ci parla solo di una terra antichissima, dove si intrecciano le radici delle tre religioni del Libro, ma anche di noi. Viviamo tempi apocalittici, ma non siamo in grado di reagire. Attenzione, però, perché l’Anticristo che si presentava con il sorriso diabolicamente mite degli affreschi di Luca Signorelli (sembra Gesù, ma guardandolo bene mentre predica, circondato da caos e violenze, un brivido corre lungo la schiena perché si intuisce l’inganno), si sta smascherando per quello che al fondo è: il Signore dell’iniquità, scissione estrema senza possibilità di messa in forma, violenza immediata che accumula cadaveri e dolore.

Davanti ai nostri occhi si dispiega un’immane tragedia umanitaria, frutto di un’operazione militare di vendetta che ha per bersaglio la popolazione civile di Gaza, compresi i più vulnerabili, al fine di eliminarli o comunque umiliarli, annichilirli nella propria coscienza di sé, e indurli alla fuga. Israele vuole dare una lezione, che assomiglia tragicamente ad altre “lezioni” che sono state impartite nella storia. É incredibilmente doloroso dover pensare che dalla storia non impariamo mai, che l’orrore sembra ripetersi senza fine, che neppure chi è erede della memoria delle vittime è al riparo dal parossistico delirio autoprotettivo che porta a legittimare l’inaccettabile, perché contempla solo lo sterminio dell’altro, nel quale consisterebbe la propria sicurezza e autoaffermazione. Si legge di disgustosi progetti di lottizzazione con villette lussuose, sopra le macerie, le ossa, i corpi insepolti di Gaza. Oltre allo squallore feroce degli affari immobiliari sull’assassinio di un popolo, c’è in tutto ciò qualcosa in più, che va oltre al calcolo utilitaristico e investe una dimensione  psico-tanato-politica: quasi una sorta di autocompiaciuto godimento nel trionfo del proprio potere totalizzante su tutto,  l’ebbrezza della negazione del nemico esistenziale “immaginario”, a paradossale, liberatoria compensazione della vulnerabilità sperimentata dal popolo ebraico di fronte all’urto del disegno criminale nazista? È evidente che, prima ancora di un recupero di uno sguardo politico serio, equilibrato, lungo, occorra ora un sussulto etico e spirituale: non possiamo sdoganare tutto, non possiamo farci scivolare addosso lo sterminio di Gaza. Ciò dovrebbe interpellare innanzitutto i governi europei. Ma ovviamente anche la società israeliana e quella americana. Gli Stati Uniti sono il primo alleato e finanziatore di Israele: davvero ritengono sostenibile legittimare una pulizia etnica volta all’eliminazione e/o alla cacciata di due milioni di persone (che, sia detto per inciso, non sono una sparsa moltitudine ma un popolo che ha diritto alla sua indipendenza e alla sua terra)? E per l’altro pezzo di popolo palestinese – più di sei milioni, tra Territori occupati e cittadini (di serie B) di Israele – quale destino si prospetta? L’asservimento, la fuga, o peggio? Sarebbe questa la soluzione finale della questione palestinese?

È triste constatare che oggi nessuno, certamente negli Stati Uniti, ma purtroppo anche in Europa, è in grado di fare un discorso di verità, che riconosca le ragioni complesse di entrambe le parti. Che imbarazzo il cieco conformismo tedesco (pensano forse così di rimuovere il peso che si portano addosso?). E che pochezza la politichetta italiana (maggioranza e opposizione), preoccupata solo di mostrarsi servile e lucrare qualche vantaggio dal padrone. Soprattutto ciò imbarazza se messo in rapporto con quanto accadeva, in primis in Italia, dal secondo dopoguerra agli Ottanta. Quando il nostro Paese fu protagonista, nonostante i vincoli atlantici, di un’iniziativa politica e culturale volta a trovare realistiche ed equilibrate vie della pace e della convivenza di due popoli indipendenti. Senza mai dimenticare che l’orrore dell’Olocausto non poteva essere fatto pagare al popolo palestinese, legittimandone l’oppressione, calpestando il diritto internazionale e la razionalità politica, la quale non può essere monopolio di qualcuno, perché altrimenti diventa pretesa arrogante a un primato identitario che umilia gli altri e rende impossibile il rispetto reciproco tra i popoli. Grazie a figure come Moro, La Pira, Fanfani, Andreotti, Craxi l’Italia è stata all’avanguardia nel mettere in campo iniziative che hanno tenuto ben viva la consapevolezza della centralità della questione palestinese nello scacchiere mediorientale, sostenendone la causa in modo equilibrato, sottolineando la necessità di un compromesso e un’intesa con Israele, stimolando e sostenendo le correnti più aperte e dialoganti di entrambe le parti. Dobbiamo proprio rassegnarci a considerare questo prezioso patrimonio politico e culturale perso per sempre? In nome di cosa, poi: dello scontro di civiltà come unica (presunta) via d’uscita dalla malattia interna all’Occidente?