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Parla il perito del tribunale nella Strage di Bologna Danilo Coppe: la verità deve ancora uscire

di Danilo Coppe - 03/02/2022

Parla il perito del tribunale nella Strage di Bologna Danilo Coppe: la verità deve ancora uscire

Fonte: Spraynews

Danilo Coppe, professore all'Università di Bologna, è il più importante esplosivista italiano, nel suo curriculum la demolizione del Ponte Morandi come tantissime perizie per i tribunali sui crimini legati agli esplosivi. In particolare, è stato chiamato dalla Corte di Assise di Bologna al processo di primo grado contro Gilberto Cavallini per complicità nella strage del 1980, finito con una condanna ed ora in fase di appello.

Le perizie di Coppe su Bologna sono state rivoluzionarie, cambiando completamente le carte in tavola e facendo scoprire pure che nella tomba di Maria Fresu c'erano i resti di una sconosciuta.

Coppe ha appena raccontato questa storia, e tante altre, nel suo libro Crimini esplosivi, edito da Mursia. Io, che da anni studio la strage di Bologna, lo ho intervistato per SprayNews sul tema in modo approfondito, a seguito di una presentazione del libro trasmessa su Radio Radicale.

 

Lei ha appena pubblicato il libro “Crimini Esplosivi”, nel quale raccontando della sua carriera di consulente delle procure per i processi che coinvolgevano materiali esplosivi, dedica molto spazio alla sua perizia sulla strage di Bologna. Cosa ci può raccontare in materia?

Io faccio l'esplosivista da una vita, ho iniziato nel 1983 già da diplomato mentre studiavo avevo già iniziato a lavorare, quindi diciamo che è un pezzo che sono dietro e faccio esplosivistica a 360 gradi nel senso che mi divido in tre: oggi un terzo di me usa gli esplosivi come ho fatto con il Ponte Morandi di Genova di cui ho gestito la demolizione, un terzo di me insegna e un terzo di me indaga, perché a metà degli anni '90 mi è stato cominciato a chiedere da varie procure una collaborazione nell'indagare su episodi sia accidentali che criminali, cosa alla quale mi sono appassionato molto. Oggi appunto un terzo della mia attività è legata alle analisi forensi. Da quando ho iniziato credo di essere stato incaricato dai tribunali di più di 100 “perizie”. Una di queste, nel 2018, mi è stata commissionata dalla Corte d’Assise di Bologna che processava Gilberto Cavallini come possibile “complice” nell’esecuzione della famosa strage del 1980.

Nei processi dei decenni precedenti, i processi che avevano portato alle condanne di Mambro Fioravanti e Ciavardini, le perizie esplosivistiche erano state vaghe, e per certi versi anche contraddittorie, e il presidente della Corte d’Assise, con una scelta coraggiosa, decise di ripartire da zero, ed ha affidato a me e ad un bravo ufficiale del Ris dei Carabinieri, Adolfo Gregori, l’incarico di chiarire gli aspetti tecnici dell’esplosione, anche alla luce dei progressi che ha fatto la scienza negli ultimi 40 anni.

Si scoprì però che nel 2006 un magistrato aveva ordinato la distruzione di tutti i reperti del vecchio processo. Qualcuno pensa sia stato un “complotto”, io penso sia stato l’errore, il grave errore, di un burocrate convinto che con la condanna di Mambro, Fioravanti e Ciavardini l’iter processuale fosse terminato, e si poteva sgombrare l’archivio dei corpi di reato, e fare posto ad altri reperti.

Se non avevo più la terra prelevata al cratere dell’esplosione, mi sono domandato dove potevo cercare altri reperti da analizzare. Dovevo andare dove nessuno li aveva mai cercati, e quindi dai feriti, o dai parenti delle vittime. Grazie a Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione delle vittime ed ex parlamentare del PD, ho potuto utilizzare la loro mailing list, che ho usato per inoltrare una “richiesta di collaborazione”: chi aveva “ricordi” prelevati dal luogo dell’esplosione poteva darceli, noi li avremmo analizzati, e poi, ovviamente, restituiti.

Hanno risposto una dozzina di parenti che si sono offerti di prestarmi questi reperti che io sono andato a cercare casa per casa singolarmente, perché volevo che fossero presi nella maniera più sterile possibile e che non si rischiasse di perderli per colpa di un corriere. Tra questi reperti c’era una chitarra, un borsone sportivo, dei portafogli, perché all'epoca gli inquirenti erano stati molto prodighi nel restituire le cose perché avevano abbondanza di reperti. La chitarra ad esempio mi fu raccontato che fu presa, messa dentro una custodia e lasciata su un armadio per 40 anni senza più toccarla, e quindi era erano reperti utili, e in effetti poi le analisi ci hanno dato ragione, ciononostante era un puzzle in cui mancavano diverse tessere ma per una botta di fortuna conosco un generale dell'esercito che all'epoca era un tenente a Bologna e che mi disse "guarda che le macerie della stazione appena sgombrate vennero portate in una vecchia caserma, i “Prati di Caprara”. Sono andato a vedere. C'era una foresta fitta di alberi d'alto fusto che era cresciuta sopra un dosso creato proprio dalle macerie. Io insegno all'Università di Bologna al “Master in Analisi chimiche e chimico-tossicologiche forensi”, quindi ho gente già laureata in chimica o in farmacia o in biologia, già esperta per quanto riguarda la cura di non contaminare, e con loro abbiamo riselezionato, risetacciato tutte le macerie trovando tante cose interessanti e aggiungendo tasselli al mosaico analitico. Però l’idea più importante che abbiamo avuto è stata quella di chiedere la riesumazione del cadavere che secondo gli atti processuali era il più vicino all’esplosione, tanto vicino che se ne erano ritrovati solo pochi brandelli: il volto strappato dal cranio e il cuoio capelluto con lunghe ciocche di capelli della allora presunta Maria Fresu...

Che non era lei, ma “Ignota 86”...

Sì. Ma voglio raccontarle l’ordine degli avvenimenti… Per prima cosa, disseppelliti i pochi resti dalla tomba della giovane signora Fresu, ci siamo interessati ai capelli, dove abbiamo trovato un elemento che ci ha permesso di capire in che cosa avevano sbagliato i precedenti analisti. In tutte le perizie precedenti era stato individuato il solfato di bario, e siccome il solfato di bario è un componente della dinamite da cava (per la precisione un “flemmatizzante”) le vecchie analisi avevano elaborato tutta una serie di deduzioni. Ma se oltre all’analisi chimica avessero fatto anche quella microscopica, una tecnologia semplice, disponibile anche all’epoca, si sarebbero accorti che le particelle di solfato di bario intrappolate nei capelli erano “a spigolo vivo”, e non “sferiche”. Questa differenza ha un solo significato: il solfato di bario proveniva dalle vernici delle pareti della stazione, vernici sgretolate in piccolissime scaglie, ricadute poi dappertutto. È attraverso questo percorso che il solfato di bario si è aggiunto ai residui effettivi dell'esplosione. Era una contaminazione ambientale, non un componente dell’esplosivo. Se fosse stato sferico invece significava che aveva partecipato alla reazione esplosiva. Questo toglieva il solfato di bario dal novero dei materiali che erano stati assunti dai precedenti collegi peritali come componenti dell'esplosivo. A questo punto rimaneva il fatto che c'era della nitroglicerina trovata dagli analisti dell'epoca. Questa strideva con il tritolo e l'rdx che invece tutti avevano trovato, in particolare anche noi, e la spiegazione è venuta sempre dai capelli della “presunta Fresu”, o “Ignota 86”, che contenevano anche etilcentralite e acardite, che sono due tematizzanti delle polveri di lancio militari, che sono a base di nitroglicerina. Quindi era una carica di lancio che è stata o contaminante o presente nella valigia che è esplosa, ma era comunque una carica di lancio e quindi nulla aveva a che vedere con la massa dell'esplosivo principale. Per essere schematici: all’interno di un grosso proiettile di artiglieria, c’è una carica, sistemata tra il bossolo e il proiettile vero e proprio, che serve come propellente per far partire il proiettile verso il bersaglio, e poi all’interno del proiettile c’è dell’esplosivo vero e proprio, che deve esplodere quando colpisce il bersaglio. La carica di lancio e l’esplosivo sono elementi diversi, con funzioni diverse, elementi facilmente distinguibili da un punto di vista chimico. La presenza di alcune parti di “carica di lancio” fa pensare che qualcuno abbia reperito vecchi proiettili di artiglieria, li abbia “smontati”, e abbia recuperato l’esplosivo contenuto, e che in questa operazione l’esplosivo vero e proprio si sia contaminato con la carica di lancio, o che, comunque, la carica di lancio sia stata aggiunta all’esplosivo per scelta dell’artificiere clandestino, il quale deve aver pensato “butto dentro tutto nel mio involucro, tanto male non fa” dal punto di vista di uno che aveva intenzione di fare un attentato, era una massa in più di esplosivo.

E quindi giustificando grazie all'acardite e all'etilcentralite la presenza di una carica di lancio che aveva sicuramente la nitroglicerina, si è capito che il grosso dell'analisi, trovando rdx e tritolo sia nei capelli che nelle macerie che nei ricordi, scioglieva il dubbio che l’esplosivo deflagrato a Bologna fosse questa miscela di tritolo e rdx, nota nei manuali con il nome di “Compound B”.

Questa è la storia dell'analisi a grandi linee. C'era anche un cartellone pubblicitario che era dentro la stazione che fu raccolto da un capo-stazione di Bologna, messo nel suo ufficio, tenuto appeso in parete per 30 anni, quando lui è andato in pensione l'ha regalato all'Associazione familiari delle vittime che l'hanno messo fra due vetri e riappeso nella sala d'attesa, e abbiamo smontato anche quello, perché era ovviamente un oggetto presente nella sala d'attesa. Sul fatto che fosse dentro la sala o da un'altra parte c'è venuta in aiuto una fotografia della sala d'attesa prima dell'esplosione che io sono andato affannosamente a cercare, perché sembra incredibile ma chiunque fa una perizia esplosivistica deve conoscere l'ambiente in cui c'è stata l'esplosione al momento zero meno uno, un secondo prima che esploda tu devi sapere chi c'è e non solo le persone anche gli arredi, perché nel momento in cui puoi tu devi trovare gli indizi di un ordigno esplosivo devi escludere che non fosse parte degli arredi. La cosa curiosa è che quando sono andato alle ferrovie per chiedere una foto della sala d'attesa mi è stato detto che in 40 anni nessuno l'aveva mai chiesta e quindi già questo la dice lunga.

Comunque avevano centinaia di foto della sala d'attesa di prima classe ma nessuna della sala d'attesa di seconda classe, ovviamente la foto della prima classe l'avevano del giorno dell'inaugurazione dove avevano fatto tutto in pompa magna, c'erano le poltrone imbottite e lampadari di cristallo e i broccati ovunque, però della sala d'attesa di seconda classe che invece erano panche di legno e tavolini non si erano prodigati a far foto, ma fortunatamente facendo una ricerca veramente affannosa, con l'aiuto del giornalista Bianchi che ai tempi lavorava col Carlino, cercando nelle collezioni di foto d'epoca di fotografi del Carlino di allora, ho trovato delle foto che aveva fatto questo fotografo in occasione di uno sciopero delle ferrovie in cui la gente bivaccava e quindi erano andati a fotografare la gente dentro la sala d'attesa di seconda classe e in una di queste foto oltre ad aver visto come erano fatte le panche di legno, che mi è servito perché nelle macerie trovavamo dei pezzi di legno e quindi li abbiamo ricondotti alle panche, c'era anche un bello scorcio del cartellone pubblicitario e quindi grazie a quello abbiamo capito che era un indizio che meritava perché era stato dentro un ambiente che si è contaminato dall'esplosione. Quindi tutte queste attività per trovare reperti freschi preservati dalla burocrazia che aveva invece distrutto quelli originali.

Difficile rendersi conto quanto abbiamo dovuto cercare, perché le terre dentro il cratere erano state mandate all'università di Padova e in Germania perché poco tempo dopo ci fu l'attentato all'Oktoberfest e quindi si voleva fare la comparazione. All’epoca, tramite l’Interpol, campioni vennero mandati alla polizia tedesca, la quale ha fatto le analisi, ma ha inviato ai giudici di Bologna solo la conclusione che i due esplosivi non erano compatibili, però non ci ha mai dato le analisi dettagliate, né ha conservato i campioni.

Mentre all'Università di Padova abbiamo trovato le tracce che era entrato il materiale, ma non le tracce che era uscito, solo che il materiale di fatto non c'era, il che vuole dire che era stato restituito alla Procura di Bologna e poi distrutto nel 2006. Insomma è stata una ricerca molto affannosa e posso dire che normalmente io critico i periti che ci mettono troppo tempo a fare le perizie perché se no i processi durano una vita, ma in questo caso è durata un anno e posso dire che in questo anno veramente non abbiamo perso tempo... abbiamo fatto una ricerca spasmodica di tutto quello che si poteva trovare.

 

Lei ha fatto quindi un'analisi tecnica e scientifica molto approfondita, ma le chiedo, questa analisi a che conclusioni porta a livello di indagine?

Le conclusioni sono a mio avviso rivoluzionarie, perché intanto aver stabilito che non era l'esplosivo che avevano individuato gli altri periti permetteva di aumentare il peso specifico di quell'esplosivo il che vuol dire ridurre il volume e ridurre il peso della carica che è stata usata, quindi se prima uno pensava a un valigione grande di quelli da, non so dire, 48 ore, invece ne bastava uno del volume di un trolley imbarcato sugli aerei oggi come bagaglio a mano. Una cosa molto più gestibile in volume e peso, se prima si pensava che ci volesse un energumeno per andare in giro con un valigione pesante 25 kg in questo caso avevamo più che dimezzato la quantità.

Poi l'altra cosa fondamentale era che molto spesso quando si vuole adattare degli indizi a una propria teoria valgono certe considerazioni, quando non si vuole no, e mi riferisco al fatto che anche a Piazza della Loggia e all'Italicus avevano attribuito la stessa natura di esplosivo che in realtà poi non era, e quindi come ci ha fatto notare uno spettatore alla serata della presentazione del libro che si è svolta di recente, trasmessa su Radio Radicale, in tre su tre delle stragi di Stato le analisi sono sicuramente sbagliate. Io le posso dire in tutta coscienza che ho forti dubbi anche su altre analisi che sono state fatte, perché fino ai primi anni '90 la strumentazione di cui si disponeva per fare un certo tipo di analisi era una strumentazione che dava una marea di falsi positivi e una marea di falsi negativi, di conseguenza le analisi erano veramente poco affidabili e doveva metterci il cervello chi utilizzava le attrezzature, doveva compensare le carenze con altre cose e posso dire di aver riscontrato nell'esame di tutte le stragi italiane sempre una certa approssimazione, salvo dagli anni 90 in poi. Il famoso filo conduttore che prima si attribuiva agli esplosivi dello stragismo degli anni di piombo non c'era, mentre invece l'ho riscontrato in tutte le bombe di mafia che sono iniziate da Falcone fino a Georgofili, San Giorgio al Velabro, via Palestro a Milano... in quelle c'era un filo conduttore tecnico, si riconosceva, come dire, “la stessa mano”. Perché, non dimentichiamo, che io questo libro l'ho scritto con gli occhi del “bombarolo”, e l’ho fatto ricostruendo e riassumendo nel mio libro tutti i principali attentati esplosivi che hanno segnato gli ultimi secoli, a me interessava l'aspetto dell'uso negativo degli esplosivi, infatti ho raccontato da Cortez, a Guy Fawkes, fino alla povera giornalista di Malta, Daphne Caruana Galizia, che nel 2017 è stata uccisa con un’auto esplosiva.

Parlando “da bombarolo”... il tipo di esplosivo che che lei alla fine ha identificato, facendo dei raffronti, in che tipo di direzione porta? Chi avrebbe cioè potuto reperirlo o usarlo più facilmente?

Purtroppo sarebbe stato più facile dirlo se fosse stato un esplosivo civile, di quello è più facile seguire le tracce. Invece si tratta di un esplosivo militare piuttosto generico, Compound B, utilizzato dagli alleati angloamericani a partire dalla 2a guerra mondiale arrivando fino al bombardamento aereo di Tripoli (contro Gheddafi) nel 1986… e le dirò di più, la presenza di una percentuale di carica di lancio fa pensare a proiettili di artiglieria, ma non si può escludere che fossero bombe inesplose dopo un bombardamento aereo, ordigni “alleati” del genere vengono ritrovati ancora oggi con una certa frequenza sul territorio italiano e non solo.

Tra l'altro fino al 1943 le bombe inglesi d'aereo avevano le spolette difettose per cui ne esplodeva una su tre, le altre due si andavano a piantare per terra senza esplodere e i recuperanti hanno sempre fatto incetta di queste bombe per recuperare le materie prime preziose, così all'inizio andavano a staccare solo il bronzo e il rame dalle bombe che era il materiale più pregiato, poi quando hanno visto che era finito questo materiale hanno cominciato a cercare di recuperare il ferro, ma per farlo dovevano togliere l'esplosivo, quindi morivano tanti ma per quelli che riuscivano a svuotare queste bombe, che con il compound b o col tritolo era anche una pratica relativamente sicura e semplice, dopo si apriva un trivio, che era cosa fare di questo esplosivo, distruggerlo (e bastava bruciarlo), nasconderlo o venderlo, e quindi spesso lo vendevano a gente che non si presentava come "i cattivi", ma lo chiedeva dicendo che aveva da togliere delle radici di alberi da un campo, oppure voleva far saltare un masso presente in giardino, o ancora voleva pescare trote nei torrenti. Con queste prerogative i recuperanti vendevano l'esplosivo e poi non si sa che fine faceva davvero. Molto probabilmente è stato anche recuperato da gruppi extra parlamentari rossi o neri o cose del genere.

 

Quindi lei dice che un tipo di esplosivo in quella quantità e del tipo che è stato usato a Bologna teoricamente sarebbe potuto arrivare un po’ da chiunque e da dovunque?

Purtroppo sì. Certo dopo valgono anche le dichiarazioni dei cosiddetti collaboratori di giustizia, contro i quali nel mio libro mi scaglio con una carta ferocia - perché oltretutto uno di quelli che credevo un po' più attendibili, Vincenzo Vinciguerra, che nemmeno è un vero collaboratore di giustizia perché è l'unico che collabora con indagini e rilascia testimonianze abitualmente da decenni senza chiedere nessuno sconto di pena o vantaggio personale, poi l'ho visto cadere in contraddizione e tra l'altro ho cercato anche di parlare con lui privatamente ma non ci sono riuscito, alla fine l'ho ascoltato a Bologna e ho letto quello che aveva dichiarato in precedenti occasioni e pure lì ho trovato delle contraddizioni abbastanza importanti e quindi queste contraddizioni me l'hanno fatto cadere a livello di credibilità -, perché alcuni collaboratori di giustizia parlavano di un esplosivo che sembrava parmigiano reggiano ed effettivamente il compound b come anche il tritolo ricorda molto un parmigiano reggiano stagionato. Perché i collaboratori di giustizia vengano presi sul serio anche quando dicono cose molto improbabili non sta a me dirlo, io posso solo dire se “scientificamente”, perché io sono un tecnico barra scienziato, un'affermazione è sensata o no.

Le chiedo però su un punto importantissimo. La scoperta che nella tomba della Fresu non c’era la Fresu la si deve alla sua richiesta di esumazione. Questa cosa, in parte macabra, ma soprattutto sorprendente, come va interpretata secondo lei?

Innanzitutto voglio dire che a un certo punto avendo esumato questo cadavere e sapendo che c'era stata negli anni una polemica, parlando col presidente Leoni dissi che valeva la pena di fare il test del DNA, così che si finisse di fare illazioni. Caso vuole che abbiamo fatto questo DNA ed è risultata non essere la Fresu. Tra l'altro mi sono anche indignato perché i parenti l'hanno scoperto dai giornali mentre io mi ero raccomandato con l'autorità di dare almeno un minimo di preparazione psicologica a chi per 40 anni è andato a piangere su una tomba che non era quella... ma come sempre per colpa della burocrazia i giornali hanno dato la notizia prima. Detto questo io poi davo per scontato che, attraverso poche e semplici analisi, da me prospettate nella mia relazione, la questione potesse e dovesse essere approfondita. Uno dei problemi dei “vecchi” processi di Bologna era l’ipotesi che la valigia dell’esplosivo si immaginava dovesse essere molto pesante, e che quindi si dovesse cercare un “esecutore materiale” che dovesse essere molto forte, e possibilmente anche molto alto per poter trasportare con naturalezza una grande valigia, senza strusciarla per terra. Io ho stabilito che l’esplosivo poteva essere in una quantità tra i 10 e i 15 chili, e il fatto che ci fosse una giovane donna completamente distrutta dall’esplosione, una donna mai cercata da nessun parente o amico, lascia aperte ipotesi clamorose. Le analisi da fare erano, e sarebbero tutt’ora semplici: dai reperti delle vecchie autopsie separare quelle di donne decedute per le