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Procrastinazione geopolitica

di Leonid Savin - 05/06/2022

Procrastinazione geopolitica

Fonte: Come Don Chisciotte

La formula di Carl von Clausewitz, secondo cui la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, è rafforzata nel XXI secolo dalla geoeconomia, dove le catene di approvvigionamento, le tecnologie promettenti e il controllo dei beni finanziari e di altro tipo obbligano a prendere decisioni in tempi rapidi e a considerare gli effetti a cascata che possono verificarsi in una situazione complessa. L’operazione speciale in Ucraina è una buona prova di questa tesi. Se la Russia non avesse lanciato questa operazione, le truppe ucraine, sostenute dalla NATO, avrebbero lanciato un attacco massiccio nel Donbass e persino nella penisola di Crimea in un futuro molto prossimo. Il conflitto non si sarebbe potuto evitare, ma la Russia era in vantaggio sull’Ucraina e sui suoi sponsor occidentali.

Per tutto il tempo in cui si è creata questa situazione, alcuni beni della Russia hanno continuato a essere detenuti in Occidente. Ora sono congelati e probabilmente saranno confiscati. Era possibile iniziare a ritirarli in Russia a dicembre, quando da parte russa sono state inviate agli Stati Uniti e alla NATO proposte di riformulazione dell’architettura di sicurezza europea. Tuttavia, questo non è stato fatto. È difficile immaginare che l’Occidente collettivo avrebbe approvato l’operazione russa in Ucraina, o perlomeno se ne sarebbe tenuto alla larga. I segnali di sostegno a Kiev (e, di conseguenza, le minacce indirette contro Mosca) provenivano da Washington e Bruxelles da otto anni. Le forze armate russe erano abbastanza preparate, ma bisogna ammettere che su alcune questioni la Russia è arrivata troppo tardi. E ora deve recuperare il tempo perduto, cosa molto più difficile nelle circostanze attuali.

Questa procrastinazione non è un’esclusiva della Russia. Molti Stati, sia in Occidente che in altre parti del mondo, soffrono spesso di aspettative gonfiate, di promesse non mantenute da parte dei partner e di speranze disattese del “culto del carico” che qualcuno all’esterno risolverà i loro problemi e li renderà felici in un futuro molto prossimo. Alcune potenze politiche si basano sulle loro risorse naturali, che possono essere preziose e attraenti. Altre puntano sulla tecnologia, come El Salvador, che ha persino convertito alcune delle sue riserve nazionali in criptovalute. Altre ancora contano su una posizione geopolitica eccezionale, come nel caso di Panama. E quelle che, come molti Paesi occidentali, contano sullo status quo infinito della propria egemonia, che ora si sta rapidamente erodendo.

La crisi attuale mette in luce numerose sfumature e ci permette di vedere come altri attori agiscano sulla base dei loro interessi e delle loro capacità. L’India ha deciso di aumentare drasticamente l’acquisto di petrolio russo, approfittando di enormi sconti, il che indica indipendenza nella scelta di decisioni con una chiara connotazione politica. Alcuni Paesi arabi sono attivi, reagiscono in modo flessibile ai cambiamenti economici, ma non si schierano definitivamente. Nell’ASEAN si tratta di mosse pragmatiche, perfettamente consapevoli del crescente potere della Cina.

Gli Stati Uniti cercano di mantenere la solidarietà nella NATO e di estendere i meccanismi politico-militari anche alla regione asiatica, più vicina al Celeste Impero. I Paesi dell’Unione Europea annaspano, calcolando razionalmente le perdite future ma temendo di prendere decisioni sovrane contrarie alle direttive statunitensi e alle affermazioni della burocrazia di Bruxelles. La Gran Bretagna, a quanto pare, conta su un confronto a lungo termine con la Russia; quindi, sta già prendendo misure per il suo approvvigionamento energetico. Ha deciso di abbandonare la costruzione di turbine eoliche, previste come transizione verso l’energia verde. Verranno invece costruite nuove centrali nucleari. Si presume che entro il 2050 fino a un quarto di tutta l’elettricità sarà prodotta in centrali nucleari. Questa decisione è logica, poiché le forniture di gas dalla Russia potrebbero cessare.

Ma non si può dire che la mancanza di una risposta visibile sia una procrastinazione geopolitica. C’è anche il fattore della cultura strategica, come nel caso della Cina. Sebbene analisti e osservatori occidentali abbiano tratto conclusioni affrettate sul ruolo e la funzione della Cina nel conflitto tra Russia e Ucraina (sostenuto dall’Occidente), indicando necessariamente Taiwan come una sorta di parallelo, questo caso è molto più complesso e interessante di quanto possa sembrare a prima vista. Gli stratagemmi di Sun Tzu e Wu Tzu non sono complicati, ma si riferiscono a determinati eventi storici e quindi nella mente dei cinesi sono associati al passato. Quando gli autori occidentali legano questi o altri stratagemmi cinesi ad alcuni eventi attuali, commettono il tipico errore di percezione errata della cultura orientale, sovrapposta al proprio orgoglio. La strategia cinese è molto più stratificata e i leader politici sono più pazienti. Ma la loro agilità fa invidia anche ai Paesi più agili.

Le Isole Salomone ne sono un esempio. Nel 2019, i leader delle isole hanno interrotto le relazioni diplomatiche con Taiwan. I legami sono stati presto stabiliti con la Cina. Parallelamente alle tensioni diplomatiche sulle isole, si è riacceso il vecchio conflitto interetnico. Poiché i vicini Australia e Nuova Zelanda non hanno fornito alcun aiuto per combattere l’insurrezione (e il primo ministro ha fatto appello a questi Stati), la Cina è stata scelta come futuro protettore. Il trattato previsto tra la Cina e le Isole Salomone permetteva alle navi cinesi di fare scalo nei porti e di effettuare rifornimenti logistici. L’Australia e la Nuova Zelanda hanno immediatamente fatto i capricci, accusando la Cina di voler creare una base militare vicino a loro, sebbene il progetto di trattato non contenga alcuna disposizione in tal senso.

Ma se parliamo del confronto tra la Russia e l’Occidente, ciò che è urgente fare ora è tagliare completamente le consegne ai Paesi ostili di quei prodotti che sono critici per le loro industrie o che sono coinvolti nelle catene di produzione. Perché procrastinare la geopolitica e aspettare che siano loro stessi a trovare una soluzione alternativa e a imporre con arroganza nuove sanzioni su questi prodotti? È meglio essere proattivi.

La Russia non è centrata sul consumo come l’Occidente, quindi le restrizioni temporanee non rappresenteranno una minaccia per la statualità russa. Al contrario, contribuiranno a mobilitare e consolidare il popolo e le autorità di fronte alle sfide esterne.

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Articolo originale di Leonid Savin:

https://www.geopolitika.ru/en/article/geopolitical-procrastination

Traduzione di Costantino Ceoldo