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Sull’aggressore

di Flores Tovo - 29/06/2022

Sull’aggressore

Fonte: Flores Tovo

Dopo lo scioglimento dell’URSS a fine 1991, quando all’Occidente venne a mancare il nemico contendente, sembrava che il sogno  irenico vagheggiato dal massimo dei filosofi illuministi, Immanuel  Kant, nel suo libro “La pace perpetua”, fosse diventato realtà. Secondo il filosofo, con la costituzione di uno stato cosmopolita, di forma politico-giuridica  federale e repubblicana, si sarebbe posto fine a tutte le guerre. Esso,  fungendo da finalità ideale regolativa, avrebbe dato origine ad un nuovo mondo. Di conseguenza all’interno di questo stato mondiale dovevano esistere le condizioni di una universale ospitalità, intesa come diritto di accoglienza di tutti e ciascuno: in altre parole si propugnava il cosmopolitismo delle razze e dei popoli. E in effetti, l’ONU a guida anglosassone, sembrò, per circa vent’anni, mettere in atto l’aspirazione kantiana, sebbene si fossero combattute diverse guerre nel frattempo; guerre che dovevano far comprendere ai reietti Serbi, Afghani, Irakeni, Somali, Libici, Siriani ed altri ancora, qual era la giusta bontà dei diritti universali propri dell’Illuminismo.

Negli ultimi dieci anni però le vicende umane hanno svoltato verso una direzione molto diversa: l’ascesa della Cina, il riarmo russo e l’affermazione sempre più decisa dell’India, del Brasile, dell’Indonesia, del Vietnam, dell’Iran, Indonesia ed di altri che si stanno aggiungendo, hanno scombussolato i piani anglosassoni del dominio mondiale unilaterale.

 Non è esagerato dire che  la guerra attuale fra Russia e Ucraina-NATO possieda tutti i crismi di una guerra totale, “metafisica”, come l’ha definita Kirill, il patriarca ortodosso di Mosca e di tutte le Russie, poiché coinvolge tutti gli aspetti spirituali e materiali dell’umanità intera. Invero, già Hegel, contrapponendosi a Kant, aveva osservato che:

“…la rappresentazione kantiana di una pace perpetua, da attuare mediante una lega di Stati che appiani ogni controversia e che, in quanto potere riconosciuto da ogni singolo Stato, componga ogni discordia rendendo quindi impossibile la decisione per via bellica, presuppone la concordia fra Stati. Tale concordia, però, si baserebbe su fondamenti e aspetti morali, religiosi o quali che siano: in generale, avrebbe pur sempre per base delle volontà sovrane particolari, e ciò rimarrebbe affetto da accidentalità” (1).

Ora, se si calano queste considerazioni politiche di questi grandi pensatori ai giorni  nostri, vediamo appunto che dopo la fine dell’URSS, la visione politica mondialista degli anglosassoni, che scaturisce sia dal loro spirito calvinista, che li fa ritenere degli eletti per predestinazione divina, e sia dalla cultura liberal-illuminista imperniata sui diritti umani da imporre universalmente con le buone o le cattive, si sia ampliata ovunque. Tale spirito si è palesato con un enorme vigore sotto le presidenze di Clinton, Bush junior e Obama. Essi nondimeno scavalcarono l’ONU, diventato un loro mero strumento, quando, per esempio, scatenarono la guerra contro la Serbia per il Kossovo e contro l’Afghanistan. Questa espansione spazio-temporale fu dovuta innanzitutto all’assenza di un vero e potente nemico: non potevano certamente essere i Jihadisti mussulmani a preoccupare l’Occidente, visto la loro pochezza militare e ideologica. Essi furono additati come il “Nemico”, sia per dare una giustificazione alla loro politica interna per un maggior controllo repressivo delle loro popolazioni, sia per impadronirsi delle risorse dei Paesi attaccati, in primo luogo dell’Iraq e della Libia. In realtà, il vero loro nemico stava ancora nell’ombra: silente, esso cresceva anno dopo anno. Si trattava della Cina, che a partire dalle riforme di Deng Xiaoping e con la sua ammissione al WTO (Organizzazione mondiale del commercio) alla fine del 2001, è diventata una vera e propria superpotenza mondiale in termini economici: ad esempio, la sua attuale capacità produttiva a livello mondiale è del 28%, di fronte al 10% della UE. Per questo, di fatto, la Cina è il vero nemico.

Tuttavia  restava un altro nemico da ridurre alla loro mercè prima che l’alleanza con la Cina diventasse irreversibile: la Russia. Un paese, che dopo gli orribili anni Novanta sotto Gorbaciov e Eltsin, caratterizzati da una impostazione socio-economica di estremo liberismo, che aveva impoverito brutalmente il popolo russo, ha cominciato a riprendersi soprattutto negli ultimi 10 anni, ridiventando una superpotenza militare ed energetica. L’accerchiamento della NATO contro la Russia, nonostante le buone parole (false) pronunciate da Bush senior e dal segretario di stato Baker a Gorbaciov, che promettevano il non allargamento di tale organizzazione dopo la fine dell’URSS e del Patto di Varsavia, è stato quasi del tutto operato. Alla lista mancavano Ucraina, Finlandia e Svezia. Dopo di che si sarebbe dato il via alla conquista delle risorse immense del territorio russo-siberiano. E così subito dopo anche la Cina sarebbe stata stritolata. Come si sa il colpo di stato a Kiev nel 2014, ha portato l’Ucraina a diventare sempre più nazionalista, obbligando perfino i 14 milioni di russi della Novorossija a parlare solo l’idioma ucraino. Ma, a parte le prevaricazioni sulle popolazioni del Donbass, l’Ucraina cessava di essere uno di quegli  stati-cuscinetto che sempre nella storia hanno avuto la funzione di impedire lo scontro diretto fra stati potenzialmente nemici. La NATO in Ucraina significava per la Russia subire un colpo mortale, che in parte aveva schivato con l’annessione della Crimea sempre nel 2014. Come è emerso dagli ultimi documenti, il potente riarmo dell’esercito ucraino per opera della Nato aveva il chiaro scopo di occupare la zona più industrializzata (il Donbass, indicato un tempo come la Ruhr russa) e la Crimea stessa. L’importante era scatenare in ogni modo la reazione russa in modo che essa facesse figurare la Russia come il paese invasore, per poi additarlo come paese criminale a livello internazionale. Bisogna dire che in Occidente il gioco politico anglosassone è riuscito appieno, ma non dappertutto:  paesi come la Cina, l’India, Sud-Africa ed altri che abbiamo sopracitati, si sono astenuti dalla condanna.

Questo fatto è importantissimo dal punto di vista storico: infatti per la prima volta dopo la pace di Versailles del 1919, che aveva sancito in pratica la fine dello jus pubblicum europeum,  (il  tradizionale diritto internazionale che comportava che tra vincitori e vinti ci fosse un comune tavolo per stabilire in accordo i termini di una pace duratura, come si palesò con la pace di Westfalia e il Congresso di Vienna), il diritto internazionale anglosassone è stato incrinato. Infatti i vincitori franco-anglosassoni decisero a quel tempo, sia pure gradualmente, di introdurre un nuovo diritto internazionale, che, a partire dal Protocollo di Ginevra del 1924,  stabiliva che la guerra fosse  definita come crimine commesso dallo stato aggressore, che andava quindi colpito con sanzioni politiche ed economiche. Il percorso di questo nuovo diritto internazionale  culminò poi nel processo di Norimberga del 1947. Scrisse Carl Schmitt a proposito:

“Nella politica post-bellica ginevrina l’aggressore viene indicato come il nemico. Aggressore ed aggressione vengono descritti in termini concreti: chi dichiara la guerra, chi viola un confine, chi non si attiene ad una determinata procedura e a determinati termini ecc. è un aggressore e violatore della pace. La costruzione concettuale propria del diritto internazionale diventa qui, a vista d’occhio, di tipo penal-criminalistico. L’aggressore diventa, nel diritto internazionale ciò che, nel diritto penale è il delinquente…” (2).

Con ciò, se ci si attiene a questo diritto di matrice franco-anglosassone, di fatto si rende criminale chiunque reagisca alle costanti sfide terroristiche come nel caso del Donbass. E’ una maestria, invero, quella della politica estera anglosassone portare allo sfinimento il nemico, affinchè questo reagisca. Vedasi la guerra americo-spagnola del 1898 con l’ autoaffondamento del Maine, il caso Lusitania nel 1915, Pearl Harbour, il golfo del Tonchino, e via via discorrendo in tutte le guerre dei nostri tempi. L’importante è essere dalla parte dei presunti aggrediti, poiché così si giustifica l’intervento militare in loro difesa. Gli anglo-americani passano, in tal guisa, dalla parte dei buoni, dei giusti e dei liberatori. Ancora una volta essi appaiono gli eletti e gli altri i reprobi: la sintesi del loro calvinismo manicheo, appunto.

In base a questa logica il nemico (la Russia in questo caso) perde ogni diritto a livello internazionale, per cui dev’essere considerato alla stregua di un lebbroso. Ancora in questi giorni il potere anglosassone, con l’appoggio della UE, dichiara solennemente che non è possibile nessuna pace, fintantochè il nemico non sarà sconfitto definitivamente. Negli ultimi trent’anni, del resto, è sempre stato così: i nemici sconfitti dovevano subire, senza nessuna possibilità di accordo, la pace imposta. Milosevic, Saddam, Gheddafi hanno conosciuto sulla loro pelle il cos’è la giustizia democratica anglosassone. Ancora oggi su tutti i giornali del cosiddetto “mainstream” si invocano processi a Putin e ai suoi gerarchi, come se ciò fosse una cosa normale.

Il nostro mondo vive ormai nella dimensione del “come se”. Come se i vaccini, per esempio (che non sono vaccini), fossero la nostra salvezza e non altro che sieri sperimentali che si stanno rivelando mortiferi; come se la Russia di Putin non avesse 6.500 testate nucleari e missili ipersonici che nessuno possiede, tranne, forse, la Cina.  Come se il nostro mondo occidentale fosse il migliore dei mondi possibili, nonostante la totale assenza di Dio. Come se da noi ci fosse la libertà, che altrove non c’è. Il “come se” da ipotesi probabilistica si è trasformato in nichilismo assoluto. Si è passati da Hume a Nietzsche fino al neo-positivismo e al trasumanesimo in un batter d’occhio. La realtà è ormai pura finzione.

Ma le bombe nucleari tuttavia non sono una finzione. Esse sono già state usate e potrebbero essere buttate ancora. L’illusione prometeica del tecnico moderno, dell’uomo del Gestell, cioè dell’imposizione tecnica che gli fa credere di dominare il mondo è propriamente una pura illusione. Il filosofo G. Anders ci racconta nel suo capolavoro “L’uomo è antiquato” che il generale americano Douglas McArthur voleva bombardare con l’atomica i Cinesi e i Nordcoreani agli inizi del 1951: il presidente Truman gli tolse il potere non perché fosse contrario di per sé all’uso dell’arma (Hiroschima e Nagasaki furono annientate per suo ordine), ma perché l’URSS era a sua volta in possesso della bomba. In realtà la destituzione dal comando del generale fu opera di un “electric brain”. In tale apparecchio furono inseriti i dati sulla convenienza o meno dell’uso dell’arma nucleare. Il responso fu da esso esclamato sonoramente con la lapidaria frase “Affare in perdita”. Milioni di persone furono salvate da un oracolo elettronico.

La domanda che sorge, allora, è se lo sgancio della bomba (all’idrogeno, stavolta, che è molto più devastante) sarà ancora delegata ai ben più complessi computer moderni  o sarà affidata ai nostri miserrimi governanti? Paradossalmente il responso del “cervello” elettronico dell’IBM nel 1951 fu molto più “umano” e più “razionale” dei politici. Ma sarà ancora così? Questa guerra, come si è detto, non è una guerra locale, ma mondiale, poiché per la prima volta è stata messa in discussione in modo radicale la supremazia occidentale. In particolare si sta attentando finalmente in modo poderoso alla forza finanziaria ed industriale degli Usa e dei suoi accoliti. Sapranno costoro accettare una drastica riduzione del loro potere? O preferiranno “giocarsi” il tutto per tutto? E’ assai probabile che se nel 2016 fosse stata eletta Hillary Clinton, che era l’espressione massima del “deep state”, la guerra mondiale sarebbe già finita. Ma i Russi hanno oggi missili ipersonici e siluri nucleari come il Poseidon che non sono intercettabili, e che sono in grado di cancellare interi stati. La scommessa è drammaticamente aperta: del resto nell’epoca del nichilismo totalitario e della sua degenerazione etico-religiosa e, direi, antropologica, tutto può accadere. Ma stavolta non sarà un farlocco virus influenzale che ci minaccerà. I Russi, se attaccati direttamente, non esiteranno un istante a bruciarci vivi. Lo hanno già detto ripetute volte. Credo che convenga prenderli sul serio, anche perché in questo momento si assiste alla mancanza del cosiddetto “terzo” che faccia da mediatore fra i due nemici o che si allei in modo definitivo per uno dei due. La Cina può essere in effetti l’unico terzo credibile per modificare in senso decisivo le sorti della guerra: vedremo cosa deciderà. Di certo il diritto internazionale anglosassone sta illanguidendo sempre più.

Note:

1)     G.W.F. HEGEL, Lineamenti di filosofia del diritto, pp. 555-557, Ed. Rusconi, Milano 1996.

2)     C. SCHMITT, Le categorie del politico, p.194, Ed. Il Mulino, Bologna 1972.