Tinder e i drammi della solitudine
di Massimo Fini - 09/02/2024
Fonte: Massimo Fini
L’attrice Sharon Stone, 66 anni, vincitrice di un Golden Globe e candidata all’Oscar, ha annunciato di essersi iscritta alla piattaforma Tinder che favorisce gli incontri. Fino a non molto tempo fa queste iscrizioni si facevano in forma clandestina non piacendo a nessuno di far sapere la propria solitudine. All’inizio Tinder era nata come piattaforma di incontri più o meno sessuali, ma man mano chi vi si iscrive, e ci sono anche donne giovani e belle, non lo fa per trovare una fuitina sessuale ma cerca se non proprio l’amore un’anima gemella con cui costruire una storia duratura. Ha detto la stessa Stone: “Cerco l’amore”. Insomma sono gli antichi “annunci matrimoniali” che adesso hanno preso forma tecnologica.
Perché il fenomeno è interessante? Perché denuncia il problema, o piuttosto il dramma, della solitudine nel nostro mondo occidentale. Problema/dramma che è percepito in particolare nelle grandi città. Nelle piccole cittadine è molto minore: tu scendi in strada, incontri sempre qualcuno che ti conosce o ti riconosce con cui andarsi a bere un bicchiere insieme o a giocare a tressette ciapanò. In una città come Milano (a Roma va già un po’ meglio) moderna, modernissima, tu sei connesso col mondo intero ma non conosci non dico chi abita nel tuo condominio ma nemmeno il vicino di pianerottolo.
Non è stata sempre così Milano. Michele Brambilla ha scritto sul Giornale (primo febbraio) un bell’articolo sulla Milano d’antan. Ne ho scritto anch’io qualcosa su un mio libro, Una Vita. Era, quella, una città di quartieri e nel quartiere ci si conosceva tutti. Se una famiglia si trovava in difficoltà le altre erano pronte ad aiutarla. Era insomma la “Milan col coeur in man”. C’era solidarietà. A parte una sottile striscia di ricchi e di ricchissimi che avevano però il buon gusto e il buon senso di non farsi vedere o comunque di non spandere troppo (come fanno tuttora gli svizzeri) eravamo tutti poveri, molto più poveri di quanto lo si sia ora. Avevamo ancora il senso della comunità. E non parliamo solamente della mia Milano pleistocenica, anni Cinquanta, ma anche di una Milano successiva, se la può ricordare con nostalgia anche Michele Brambilla che ha una dozzina d’anni meno di me.
A Milano c’erano poi anche alcune figure fondamentali. Il “ghisa”, il vigile di quartiere, disarmato come il bobby londinese, che era un’autorità assoluta. Se succedeva qualcosa in piazza si diceva “c’è lì il ghisa, dillo al ghisa, decide il ghisa”. C’era poi il Commissario di quartiere che ci conosceva tutti, che sapeva benissimo quali erano i nostri vizi. A me è capitato di essere accusato dalla Procura di Firenze di “contraffazione di marchio industriale”. Se si fossero rivolti al Commissario di quartiere avrebbero risparmiato un bel po’ di tempo perché sapeva che di tutto potevo essere sospettato, di violenze, di molestie sessuali, persino di stupri se non di omicidi, ma non di “contraffazione di marchio industriale” che è la cosa al mondo che mi è più lontana.
La Milano di oggi è diventata moderna, modernissima, e forse questo era inevitabile nella globalizzazione, ma ha perso qualcosa: la sua anima.