Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Tahilandia. Una piccola tigre nella morsa di Cindia

Tahilandia. Una piccola tigre nella morsa di Cindia

di Stefano Vecchia - 19/04/2007

    
Cina e India rappresentano i due giganti protagonisti dell’attuale sviluppo economico asiatico e mondiale, tanto che diversi studiosi, per riferirsi a questa realtà, hanno coniato il nome “Cindia”.
Esistono tuttavia altre nazioni del continente il cui ruolo non può essere dimenticato. Una di queste è la Thailandia, esaminata da Stefano Vecchia alla luce della sua posizione intermedia fra India e Cina. I rapporti fra l’antico Siam e i due giganti sono molteplici: storici, culturali, religiosi, etnici, oltre che economici.
La Thailandia rappresenta oggi un modello di stabilità politica ed economica per molti Stati asiatici.


La visione di un’Asia bipolare, il cui futuro si giocherà sul confronto tra due potenze demografiche ed economiche come Cina e India, inquieta molti e apre ulteriori prospettive per altri. Con ogni probabilità, in futuro il gioco politico ed economico vedrà più attori: singole nazioni o aggregazioni regionali tra e a fianco dei due colossi. In questi giorni, sulla stampa thailandese circolano interessanti documenti sulle linee di sviluppo dei rapporti tra questo Paese con Cindia, come internazionalmente va affermandosi il binomio Cina-India. Come al solito altalenanti tra possibilità interessanti (ora) e timore di essere sopraffatti in un futuro non lontano.
Proprio tra Cina e India la Thailandia ha le sue radici: etniche, attraverso la migrazione dalla Cina meridionali di gruppi di popolazione Thai all’inizio del primo millennio; storiche e culturali, in buona parte di origine indiana e mediate dal buddhismo e da alcuni aspetti dell’induismo (che qui si sono sovrapposti e integrati con elementi autoctoni); economiche, vista la rilevanza nei commerci e nella finanza della comunità cinese. Questo Paese, che di fatto sintetizza vecchie e nuove istanze, è di riferimento per entrambe le realtà e insieme è punto privilegiato di acceso ai loro mercati. [...]
In Asia la questione identitaria è centrale, dalla fine del secondo conflitto mondiale e dalla decolonizzazione. A fronte di una generalizzata pretesa di unicità culturale, le manifestazioni culturali della maggior parte dei Paesi dell’Asia sono state infiltrate dai valori caratteristici delle nazioni di volta in volta dominanti. La Thailandia non è certamente un’eccezione. Tuttavia, la sua classe dirigente, ha sempre promosso spirito e valori nazionali, non solo propagandandoli, ma anche su di essi investendo in modo capillare e quotidiano, in qualche modo ossessivo. Tutto questo - lamentano osservatori locali e internazionali - pone alla Thailandia il rischio di avere un’identità certa, sì, ma anche in qualche modo inadeguata a rispondere alle sfide future che si chiamano integrazione regionale, innovazione tecnologica, capacità di interazione, affermazione politica. Un esempio, la scarsa conoscenza dell’inglese.
Il governo precedente, guidato dal magnate delle telecomunicazioni Thaksin Shinawatra (costretto all’esilio dal golpe militare del 19 settembre scorso), si era impegnato in un programma di riduzione della povertà basato sul soddisfacimento di bisogni immediati piuttosto che su soluzioni a lungo termine. La dipendenza dalle donazioni governative, dai sussidi e dai prestiti ai villaggi hanno prodotto risultati rapidi ma insufficienti - secondo i critici - a creare una società capace di autosostenersi in modo efficace e consapevole. Soprattutto, non hanno prodotto adeguati programmi educativi.
Pur segnata da un esteso sviluppo che non ignora disparità e aree di povertà anche profonda, quella thailandese è una società che mantiene programmaticamente un rapporto molto stretto con il suo territorio e la sua storia. Lo dimostra il dibattito in corso sull’utilizzo delle disponibilità energetiche e della ricerca di ulteriori fonti di approvvigionamento, tradizionali e alternative. Un massiccio - e per certi aspetti sconsiderato - programma di sfruttamento delle risorse vegetali per produrre etanolo, avviato dal precedente governo, è stato cancellato sulla base non solo dell’opportunità politica, ma anche della constatazione che, allo stato attuale dei consumi, neppure ricoprire la Thailandia di piantagioni per la produzione di gas avrebbe permesso alle sue auto e ai suoi generatori di funzionare. La Thailandia, oggi, è vista come un esempio di benessere e di stabilità nell’ambito continentale. Questo molto si deve al suo ampio mercato interno di oltre sessanta milioni di abitanti, con un reddito pro capite annuo di duemila euro (nominale), ma anche al fatto essere un importante base per ogni genere di iniziative imprenditoriali o finanziarie verso il resto dell’Asia e, in particolare, verso la Cina.
La tradizione di flessibilità e pragmatismo nella politica estera, che ha evitato al Paese l’onta della dominazione coloniale, ha non solo permesso di mantenere buone relazioni con tutti i Paesi, Cina e India in testa, ma anche con vicini non facili (con Laos, Vietnam e Birmania le tensioni e i contenziosi territoriali sono una costante dalla fine del Secondo conflitto mondiale), ponendo l’antico Siam in una posizione di grande considerazione nel contesto regionale.