Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / I capitalisti senza capitali

I capitalisti senza capitali

di Andrea Angelini - 21/04/2007

 


Dove sono i capitalisti italiani? Dove sono gli imprenditori, o meglio i finanzieri, con abbastanza soldi a disposizione per investire su Telecom? Due interrogativi naturali se fossero fatti da un risparmiatore che per colpa degli squali della finanza ha visto dissolti i propri risparmi o se venissero da un esponente di quello stesso mondo che infesta i “salotti buoni” milanesi o torinesi come quelli di Mediobanca o della Fiat. Un mondo fatto di speculatori, finanzieri e pretesi imprenditori. Invece l’interrogativo, più che pertinente, è giunta inattesa dal comunista Fausto Bertinotti, presidente della Camera che aveva osservato: “Il capitalismo italiano è a un estremo di impresentabilità. Basti vedere come discutiamo del caso Telecom. La domanda sconcertante se c’è qualche imprenditore italiano interessato e che abbia i soldi, ci dice quanto è devastato».
La dichiarazione di Bertinotti, che come ex sindacalista conosce bene i suoi polli e la loro poca predisposizione a tirare fuori soldi propri, ha suscitato per tutta risposta, una nota durissima della Confindustria (quindi presumibilmente del suo presidente, Luca di Montezemolo, presidente della Fiat) che tanto per cambiare non ha smentito il solito atteggiamento padronale dove i lamenti degli industriali si accompagnano alla richiesta (“dateci il tesoretto”) di soldi allo Stato. E così per Viale dell’Astronomia, le dichiarazioni di Bertinotti, “confermano purtroppo il clima anti-impresa di larghi settori dell’attuale maggioranza che avevamo già avuto occasione di denunciare. E’ grave che considerazioni di questo genere vengano da un’altissima carica istituzionale”.E giustamente Bertinotti ha replicato che la Confindustria ci marcia perché ha intenzionalmente confuso un giudizio sul sistema capitalistico italiano, sul modo cioè di fare girare i capitali e quindi di investirli dei suoi esponenti di punta, con la capacità imprenditoriale di tante singole aziende che lavorando senza tanti clamori e investendo soldi nella ricerca e nell’innovazione riescono a piazzare con successo i propri prodotti sui mercati internazionali. La reazione stizzita della Confindustria è semmai il segno che Bertinotti ha colto nel segno. Recita un vecchio adagio che niente dà più fastidio di qualcuno che ci dice in faccia la verità. Perché è proprio questo il vizio storico di certo capitalismo italiano e di certi capitalisti italiani, quello di non voler tirare fuori soldi propri da investire nelle società che già si controllano o si pretende di gestire. Il metodo scelto da Tronchetti Provera per Telecom è di scuola anche se vanta illustri precedenti. E’ quello dell’ingegneria finanziaria, del controllo a piramide in cima alla quale c’è l’azionista di riferimento e la sua famiglia. Un controllo realizzato attraverso diverse società, una filiera in fondo alla quale si trova la società controllata, in questo caso la Telecom. In cima alla piramide c’è la Mpt, la società di famiglia, la quale a sua volta controlla il 61% della GPI, la quale a sua volta controlla il 52% della Camfin, la quale a sua volta controlla il 25,6% della Pirelli, la quale a sua volta controlla l’80% di Olimpia, la quale infine controlla il 18% di Telecom. Un concentrato di numeri e di partecipazioni capace di far perdere la pazienza a chi volesse dall’esterno capirci qualcosa ma che è invece perfettamente chiaro a chi lo ho congegnato e lo utilizza per i propri fini, in primo luogo quello di tirare fuori il meno possibile soldi e allo stesso tempo controllare la società. Tanto che facendo un po’ di calcoli si arriva a concludere che Tronchetti Provera controlla Telecom con meno dell’1%. E quello che vale per Tronchetti Provera nel suo approccio verso Telecom, valeva per la Fiat e gli Agnelli che, morto l’Avvocato, hanno dovuto recitare lo stesso copione scritto non più da loro ma delle banche che volevano rientrare dei soldi che avevano imprestato all’ex famiglia più ricca d’Italia. Da qui la richiesta di vendere le partecipazioni della Fiat non legate all’auto e quelle di Ifi e Ifil, le finanziarie di famiglia. Da qui la richiesta dopo tanti anni di mettere finalmente mano al portafoglio per ricapitalizzare la società che dopo 5 anni in rosso è riuscita a tornare in attivo.
Beppe Grillo, nel suo intervento all’assemblea dei soci di Telecom ha parlato di “presunti manager con le pezze al culo che hanno indebitato l’azienda con l’aiuto delle banche e nella totale assenza della Consob e dello Stato per fare esclusivamente i loro interessi”.
Grillo non ha avuto però il tempo materiale per ricordare che questi comportamenti spudorati dei capitalisti italiani, Agnelli o Pirelli che sia, Tronchetti è il genero del secondo, sono il frutto del sistema Mediobanca del mai compianto Enrico Cuccia che con i soldi pubblici, Mediobanca era dell’IRI, faceva il banchiere a favore delle imprese private e dei loro azionisti di controllo, derubando i piccoli azionisti che pure erano maggioritari. “Le azioni non si contano, si pesano”, ironizzava il bancario siciliano, aggiungendo che se qualche sprovveduto, il piccolo risparmiatore, voleva investire in Borsa, doveva mettere in preventivo di poterci rimettere. E allora perché stupirsi se i piccoli azionisti ancora oggi continuano ad essere derubati e devono subire sulla propria pelle le scelte dell’azionista di riferimento? Perché stupirsi se su questa realtà vige un soffocante silenzio stampa in presenza di incroci azionari tra società industriali quotate in borsa, banche e società editrici di giornali? Ma alla fine, e questo è il paradosso, a dire l’ultima parola è stato il Mercato, quello vero, tanto invocato dai capitalisti nostrani per fare i propri comodi con le aziende ex pubbliche. Il Mercato dove le azioni e pure i debiti si contano.
Così, anche Tronchetti Provera, oberato dai debiti delle sue società, sta per passare la mano alle banche creditrici, le uniche con i soldi in cassa e pronte a farsi avanti. Cosa faranno di Telecom è invece tutto da vedere. Da uno spezzatino con la vendita di Tim fino al passaggio del controllo della società ad un gruppo straniero.
Chi ci rimetterà sarà comunque il nostro paese.