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Agricoltori di alta montagna per scelta di vita

di redazionale - 29/04/2007

     

Due ventenni scommettono sul futuro aprendo una stalla con quaranta brune alpine

agricoltura_montagnaSe la popolazione cala e arrivano le seconde case, se l'agricoltura si riduce di anno in anno e chiudono le stalle, c'è anche chi resiste ed anzi scommette sul futuro. Questa è una storia in controtendenza, umana e imprenditoriale insieme.

 La storia di due giovani che decidono di continuare l'attività dei padri e dei nonni. In chiave moderna, s'intende. E' la storia di Alberto e Piergiorgio, 24 anni uno, 25 l'altro. Cinque anni fa sono partiti con una stalletta da dieci brune alpine, oggi ne hanno quaranta, una stalla nuova, quattro quintali di latte al giorno, la vendita diretta dei formaggi di loro produzione. La loro azienda l'hanno chiamata «Milchhof Agostini», giusto sul confine tra Selva e Colle, ai piedi del passo Giau. Hanno scelto di restare in montagna, a quota 1500. Non per necessità, proprio per scelta di vita. Alberto ha il diploma di elettricista, Piergiorgio è ingegnere informatico. I fratelli Agostini sono ben piantati, e radicati. I nonni Germana e Vito avevano, come tutti, una stalletta a Colle. Che poi è passata a Michele e infine al nipote Alberto, che ha deciso di andare avanti. Storia diversa, perché le vecchie stalle chiudevano (e continuano a chiudere) una dopo l'altra, man mano che i padroni invecchiavano e non ce la facevano più. Era arrivato l'oro bianco, il turismo della neve. Che ormai domina su tutto e decide i destini di ogni altra attività, dal commercio all'artigianato, fino alle attività immobiliari grazie al boom delle seconde case che a Colle sono ormai il 67 per cento del totale delle abitazioni.

 «Siamo partiti con poche bestie», racconta Piergiorgio, «ma poi abbiamo dovuto scegliere: o ingrandirci o chiudere. Perché oggi con 10 bestie si fanno solo debiti. Così siamo diventati imprenditori. La molla? La passione». E la voglia di restare quassù, in questo pezzo di paradiso che è la val Fiorentina. Così nel 2004 ecco la stalla nuova, grazie anche un finanziamento europeo. Pascolo d'estate su terreni che così si curano e si salvano dall'avanzare del bosco, fieno e un po' di integratore d'inverno. Tutto biologico. La vendita diretta funziona, vengono qui anche da Alleghe. I formaggi portano i nomi dei posti, Zonia, Bacalin, Fiorentina, e poi mozzarelle e ricotte. «Già prima papà lavorava il latte», spiega Piergiorgio, «l'esperienza l'avevamo». Insieme alle vacche, tengono anche i maiali. «Abbiamo fatto due conti, e abbiamo visto che ce la potevamo fare. Non ci si arricchisce ma si vive». I primi due anni sono stati duri, e anche adesso non si scherza. Si lavora da buio a buio. Hanno il bollino Ce che consente anche di vendere nella rete delle cooperative locali a Selva e Santa Fosca. Il bollino garantisce la qualità del prodotto. «L'abbiamo fatto per poter restare qui», spiegano i due fratelli. «Ma è dura. Anche perché ci vuole tanto fieno. Giù in pianura possono tenere più bestie, anche cento. Qui già 40 sono un bell'impegno, ci sono meno spazi, siamo a 1500 metri, e si fa meno fieno. Si integra col mangime, misceliamo con erba medica, mais "ogm free", ovviamente niente insilati. In Valbelluna possono alimentare di più e quindi ottenere più latte. Qui è obbligatorio puntare sulla qualità più che sulla quantità. Non ci interessa ottenere 40-50 litri di latte: le nostre brune alpine ne fanno 30-35, ed è già tanto».

 Una volta c'era la grigia alpina. Bernardo, l'ultimo che ne aveva, ha tenuto duro fin che ha potuto, poi ha mollato. Del resto la bisa era una bestia da lavoro: piccola, grossolana, robusta. Anni fa c'era stato anche un tentativo di introdurre la frisona. Com'è andata quella volta lo raccontano ancora con divertimento. La storia è entrata nei miti paesani. «Un grande allevatore che veniva qui a far le ferie e lavorava anche con bestiame americano», racconta Piergiorgio, «era riuscito a convincere molti che le frisone avrebbero dato una grande produzione di latte. Raccolse le richieste, poi portò le vacche col camion scaricandole in piazza e consegnandole agli agricoltori, che avevano gli occhi lucidi. Sono durate fino a quando finalmente si capì che avevano bisogno di mangime, oltre che di fieno». La bruna alpina, più robusta, è stata sviluppata anche geneticamente con tori americani. Una sfida, quella di Alberto e Piergiorgio.
 Ma chi compra il loro formaggio quassù, tra Pelmo Civetta e Col di Lana, sa di comprare anche un'idea di montagna. Un'idea di ambiente e natura, ma anche di una vita più genuina. Fatta di valori, e fatta della fatica di chi resiste alla tentazione di mollare tutto, di vendere l'ultimo pezzo di terra magari a caro prezzo a qualche «foresto» che ci farà una seconda casa.


Corriere delle Alpi, 23 aprile 2007