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Non vedo, non sento, non parlo. Il governo italiano dell'offensiva Usa a Herat

di Enrico Piovesana - 05/05/2007

Afghanistan: la presa di distanze del governo italiano dell'offensiva Usa a Herat
Bambino vittima dell'offenisva a HeratGli uomini scavano fra le macerie per estrarre altri cadaveri. Le loro donne stanno sedute nella polvere davanti a quelle che erano le loro case, guardandoli lavorare e piangendo i loro bambini, rimasti sepolti là sotto.
Questa è la scena che si è presentata agli occhi dei membri di una squadra della missione Onu in Afghanistan (Unama) che martedì pomeriggio ha compiuto un sopraluogo a Parmakan, uno dei villaggi della Valle di Zerkoh, nella provincia occidentale di Herat (zona sotto comando militare italiano), bombardati durante l’offensiva Usa dello scorso fine settimana. Offensiva nella quale sono rimasti uccisi 136 talebani e decine di civili: almeno 49, tra cui 18 donne, secondo Adrian Edwards, portavoce dell’Unama, “circa 60” per la Commissione Indipendente per i Diritti Umani in Afghanistan (Aihrc), “più di cento” a detta della gente del posto intervistata dall’agenzia di notizie delle Nazioni Unite (Irin News).
“Centinaia di abitazioni sono state distrutte, migliaia di sfollati necessitano di assistenza umanitaria immediata”, ha dichiarato alla stampa Ghulam Nabi Hakak, direttore provinciale dell’Aihrc.
Secondo le Nazioni Unite, almeno 1.600 famiglie (circa 10 mila persone) hanno abbandonato i villaggi della Valle di Zerkoh cercando rifugio a nord, verso il capoluogo distrettuale di Shindand.
 
Soldati italiani in AfghanistanPromemoria. Il governo italiano ha subito condannato questa offensiva, chiarendo che i nostri soldati non vi hanno preso parte, protestando per non essere nemmeno stati avvertiti dai comandi Usa e denunciando la “contraddizione” tra la missione di guerra Enduring Freedom e la missione Isaf di pacificazione e ricostruzione.
I fatti, però, contrastano con queste parole.
Quattro distaccamenti di forze speciali italiane combattono da mesi a fianco delle special forces Usa impiegate nella guerra ai talebani nell’ambito di Enduring Freedom, rispondendo agli ordini del comando Usa (che ha sempre mantenuto l’esclusivo controllo diretto di tutti i contingenti nazionali di forze speciali presenti in Afghanistan).
Il ‘Task Group’ di forze speciali italiane è attualmente composto da quattro distaccamenti operativi provenienti da quattro corpi d’élite: Ranger del 4° Reggimento Alpini Paracadutisti Monte Cervino, incursori di Marina Comsubin, 185° Reggimento Acquisizione Obiettivi (Rao) della Brigata Folgore e 9° Reggimento d’Assalto Paracadutisti Col Moschin, sempre della Folgore.
Quando abbiamo chiesto allo Stato Maggiore italiano quale fosse l’entità numerica, in termini di uomini, di questi distaccamenti impegnati in combattimento la risposta è stata: “Non abbiamo informazioni in merito e anche se le avessimo non potremmo renderle pubbliche”. Indiscrezioni parlano comunque di un’ottantina di soldati in tutto, non pochi, considerato che si parla di corpi scelti) che partecipano attivamente alle offensive di Enduring Freedom contro la guerriglia talebana.
La prima è stata l’operazione ‘Wyconda Pincer’: la battaglia che lo scorso settembre le forze speciali Usa, italiane, spagnole e afgane hanno combattuto per riprendere il controllo del distretto di Bakwa, nella provincia di Farah. Anche in quell’occasione il governo italiano negò la partecipazione delle nostre truppe all’azione, esattamente come ha fatto con l’offensiva nel distretto di Shindand.
Peccato che il maggiore Usa Chris Belcher, portavoce della Combined Joint Task Force 82, abbia dichiarato alla stampa che l’offensiva è stata condotta assieme a forze Isaf-Nato, pur essendosi svolta sotto comando Usa, non Nato.
Soldato Isaf in battagliaIl secondo dato di fatto contrastante con le affermazioni dei nostri politici è che la “contraddizione” tra Isaf e Enduring Freedom è stata risolta da un anno con la fusione – prima di fatto, poi anche di diritto – delle due missioni, divenute entrambe di guerra e passate sotto comando unificato Usa.
La fusione di fatto tra le due missioni è avvenuta quando, l’estate scorsa, la missione Isaf, passando sotto comando Nato, ha cambiato le regole d’ingaggio in senso “offensivo” e ha iniziato ad attaccare i talebani nel sud dell’Afghanistan: le operazioni di guerra ‘Mountain Thrust’, ‘Medusa’, Mountain Fury’, ‘Falcon Summit’ e ora ‘Achille’ sono operazioni di Isaf, non di Enduring Freedom.
L’unione di fatto è diventata matrimonio il 4 febbraio scorso, quando il generale Usa Dan K. McNeill ha assunto il comando sia delle forze Usa di Enduring Freedom che di quelle Nato di Isaf.