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Clima, l'allarme di Bangkok

di Marina Forti - 06/05/2007

 
La cosa che più impressiona, quando si parla di questioni globali come il cambiamento del clima, è l'abisso tra la gravità dell'allarme e l'inerzia di chi ha il potere e la responsabilità di prendere decisioni. Ieri a Bangkok il più autorevole consesso mondiale di scienziati ha avvertito: i prossimi due decenni saranno cruciali, dobbiamo diminuire in modo drastico le emissioni di gas «di serra» che accumulandosi dell'atmosfera fanno salire la temperatura della Terra. E poiché gran parte di queste emissioni è dovuta ai combustibili fossili come carbone o petrolio, la cosa più urgente è cambiare il modo di produrre e consumare energia, passare a fonti rinnovabili. Le tecnologie ci sono.

Non è la prima volta che lo sentiamo dire, ma è proprio questo il problema. Il «Comitato intergovernativo sul cambiamento del clima» è una rete di oltre 2.500 scienziati di 130 paesi, istituita dall'Onu con per «consigliare» i governi nelle loro decisioni politiche: i rapporti di questo Comitato rappresentano lo «stato dell'arte» della scienza del clima. Nessun governo può più permettersi di invocare le «incertezze» della scienza per giustificare l'inazione: in effetti neppure l'amministrazione Bush nega il problema, anche se poi non segue nella ricerca delle soluzioni.

In febbraio questo Comitato ci ha avvertito che senza drastiche contromisure la temperatura terrestre salirà, nell'ipotesi peggiore fino a 6,4 gradi centigradi prima della fine del secolo; ne consegue lo scioglimento dei ghiacci polari e alpini, l'innalzamento dei mari e sempre più frequenti ondate di caldo, alluvioni, uragani, siccità. Tutto questo è già realtà, come vediamo anche in pianura padana. Per evitare catastrofi maggiori però è necessario contenere il riscaldamento del pianeta entro i 2 gradi centigradi, dicono questi scienziati - nozione fatta propria anche dall'Unione europea. Per questo bisogna tagliare le emissioni di anidride carbonica tra il 50 e l'85 percento entro la metà del secolo. Il documento diffuso ieri parla di tecnologie e soldi: abbiamo le tecnologie necessarie a tagliare le emissioni di gas di serra. Sì, cita anche il nucleare: ma «sicurezza, proliferazione e scarti restano una limitazione». Qualcuno lo interpreta come un invito a costruire tante centrali atomiche (no, non in Iran), ma è pretestuoso. E poi: tagliare le emissioni di gas costerà probabilmente qualche punto di crescita del Pil mondiale, avverte il Comitato. E però, più aspettiamo, più far fronte al cambiamento del clima sarà costoso, sia in termini economici che umani e sociali. La questione del clima è entrata nel senso comune, nei dibattiti elettorali e nelle piattaforme politiche. Ma si tradurrà in qualcosa di concreto? Faremo a meno della prossima rottamazione di vecchie auto? Vedremo anche in Italia un grande piano per passare a energie rinnovabili? L'emergenza siccità si risolverà in aiuti e razionamenti, o ci porterà anche a rivedere il modo di consumare acqua ed energia? Continueremo a delocalizzare rifiuti e industrie inquinanti in paesi dove le legislazioni ambientali sono meno efficaci? Perché questo è in gioco: il nostro modo di vivere, produrre, consumare. E un briciolo di giustizia planetaria tra chi consuma risorse e chi ne paga le conseguenze.