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La squatter Bachelet in un Cile che non esiste

di Gennaro Carotenuto - 14/12/2005

Fonte: gennarocarotenuto.it



Nessuna sorpresa nel primo turno delle presidenziali cilene. Michelle  Bachelet, (nella foto, da pronunciare per favore Micelle Bacelet e non alla francese) candidata della Concertazione che governerà il Cile da qui all'eternità, ha stravinto.
 
Ha stravinto anche se andrà al ballottaggio tra quattro settimane contro il berluschino Sebastián Piñera, padrone di mezzo paese. Questa ha eliminato per un pugno di voti il figlioccio di Augusto Pinochet Joaquín Lavín. Bachelet ha avuto il 46% dei voti, Piñera il 25%, Lavín il 23%. 
Meno buono delle attese il risultato dell'unico candidato della sinistra, l'umanista Tomás Hirsch (nella foto), che supera a stento il  5%. Ristretto dal voto utile per la Bachelet e da una costituzione  illiberale che gli impedirà anche di essere deputato (il sistema  elettorale pinochettista mai modificato dalla Concertazione proibisce di 
fatto l'ingresso della sinistra in parlamento), Tomás Hirsch non ha sfondato. Mai come oggi, alla sinistra cilena, manca la figura alta di un'altra donna, Gladys Marín, scomparsa lo scorso anno dopo una vita di lotta. Va tuttavia ricordato che comunque Tomás ottiene quasi il doppio dei voti ottenuti da Gladys che nel '99 si fermò al 3,2%. E' un buon  segno. Boicottata dai media, che continuano a magnificare il modello, e  con classi popolare scoraggiate e perfino ancora impaurite, la battaglia 
contro il neoliberismo si fa strada, anche se lentamente, anche nel  paese australe.
 
Vinca chi vinca in gennaio, comunque in Cile non cambierà nulla. Nel  1989 il dittatore Augusto Pinochet consegnò il potere alla Concertazione  (la coalizione tra i socialisti più riformati del mondo e la Democrazia  Cristiana più moderata del pianeta) a patto che lui non fosse toccato e  il modello di società verticale, neocoloniale ed ultraliberale si  perpetuasse.
 
Per chi, come chi scrive, viveva a Santiago quando Pinochet fu arrestato  a Londra per i suoi crimini, è ancora palpabile la sensazione di  fastidio e preoccupazione con la quale quel governo di centrosinistra  (nel parlamento del quale sedevano torturati, prigionieri politici,  esiliati) accolsero quell'arresto. Il paziente inglese andava riportato 
a casa con meno rumore possibile. Quella della giustizia era  un'ingerenza non gradita per i politici di centrosinistra che  consideravano intoccabile il vecchio macellaio. Ma la giustizia, anche  la cilena, andò comunque avanti. Oggi Pinochet sembra fuori moda in Cile  anche se comunque riuscirà immeritatamente a morire nel suo letto.
 
Ma se Pinochet è passato di moda, quello che non passa di moda è il  testamento economico di Pinochet e dei suoi Chicago Boys (gli economisti  ultraliberali che cancellarono meticolosamente ogni traccia di giustizia  sociale nel paese). E Michelle Bachelet, dopo Patricio Aylwin  (1990-1994), Ricardo Frei (1994-2000) e Don Ricardo Lagos, sarà la  fedele esecutrice di quel mandato e in economia non cambierà nulla.
Non  ci sarà nessuna redistribuzione (socialdemocratica) in uno dei paesi  dove le entrate sono più ingiustamente distribuite al mondo e dove il  10% della popolazione, dai villoni belli o volgari di Las Condes e  Vitacura si spartisce la metà della ricchezza del paese. Non ci sarà  neanche attenzione a quello che si muove nel resto del continente,  soprattutto nel Mercosur dove entra il Venezuela ma non il Cile ed in  questo c'è il tradimento chiaro dell'interesse nazionale del paese. 
Oggi in Cile molta gente sta molto bene. E' facilissimo star bene e guadagnare molti soldi se si hanno i natali giusti in Cile. Ma se non si  hanno i natali giusti non c'è speranza. Non ci sono più scuole pubbliche  decenti in Cile. Non c'è più salute non privata, né pensioni dignitose  per chi non ha potuto affidarsi alla previdenza privata. Non c'è  possibilità di ascensione verticale di nessun tipo nel paese. 
L'Università è un investimento impossibile per la maggioranza dei  giovani cileni. In Cile o guadagni più di 2000 dollari al mese o  difficilmente riuscirai ad arrivare a 500. In mezzo c'è il vuoto. 
Michelle Bachelet è una brillante e brava politica che si considera  progressista ma che -al di là delle drammatiche esperienze personali in  dittatura- vive ed ha vissuto all'interno della classe dirigente più  chiusa del pianeta. Signore borghesi, anche squallidamente piccolo  borghesi, in Cile hanno alle loro dipendenze schiere di domestiche a  tempo pieno alle quali danno uno stipendio equivalente a quanto spendono  in sigarette.
 
Più cresce l'economia cilena, più cresce la disuguaglianza. E più cresce  la disuguaglianza più si racconta la favola che la crescita  dell'economia favorirebbe la generalizzazione del benessere. Quindici  anni di centrosinistra in Cile testimoniano che è vero il contrario. Se  ci sono opportunità di arricchimento rapido è perché ci sono possibilità  di sfruttamento generalizzato.
 
Oggi il Cile, al contrario di quello che si sostiene in ambienti  neoliberali, ha un'economia sempre meno evoluta. Esporta rame grezzo  invece che lavorato. Esporta più uva e meno vino. Per ogni punto  percentuale di export verso gli Stati Uniti diminuisce in maniera  equivalente il proprio export verso la regione. Il paese australe è  sempre meno parte del sistema economico latinoamericano e sempre più un  fornitore degli Stati Uniti dai quali dipende economicamente e  politicamente e del quale ne riproduce pedissequamente il modello sociale. 
Michelle Bachelet non vuole e non può modificare minimamente il modello  neoliberale.

 
Il ballottaggio del prossimo 15 gennaio non riserverà sorprese e  Bachelet vincerà. Sarà da celebrare il fatto che una donna abbia evitato  tutti gli sgambetti a lei sottesi in un paese dove la classe dirigente,  anche quella della Concertazione, continua ad essere innanzitutto  reazionaria. Vincerà, ma poi non succederà più nulla di nuovo.

Dei sei anni di Don Ricardo Lagos, anch'egli celebrato con commozione  dall'Internazionale Socialista, si ricordano solo due cose. Una di  sinistra ed una di destra. Quella di sinistra è l'introduzione del  divorzio (sic!) in un paese dove quest'istituto era largamente  amministrato per i ricchi dalla Sacra Rota (le sole pie figlie di  Pinochet sommano insieme sei annullamenti). 
Quella di destra è stato il Trattato di Libero Commercio con gli Stati  Uniti al quale Lagos ha lavorato per tutta la legislatura per poi essere  umiliato da George Bush. Don Ricardo voleva una "photo opportunity" alla  Casa Bianca. Fu uno schiaffo: l'impero scelse di far firmare il trattato  non alla Casa Bianca ma a Miami, nell'ala della servitù. Bush non si  scomodò neanche e mandò a firmare solo il sottosegretario al commercio  Zoellick. Lagos incassò con eleganza e dovette rinunciare e mandare in  sua vece la signora Alvear, ministro degli Esteri. Ma poi rimase  intrappolato nella logica di un TLC che oggi impedisce al Cile di far  prosperare la propria economia nella regione e istituzionalizza il suo  destino di fornitore di prodotti a basso valore aggiunto dell'impero a  cominciare dal rame che ogni volta esce dal paese sempre più grezzo,  frustrando così due secoli di tradizione dell'eccellente ingegneria  mineraria cilena.
 
Bachelet governerà l'esistente da qui fino al 2012. Ha un'immagine  straordinariamente al passo con i tempi e da qui -lo scriviamo da un  anno- nasce una sorta di Bachelet-mania che contagerà tutti i  centrosinistra europei. Ma Michelle, bella, brava, con una storia di  sinistra, è in realtà una squatter, un'abusiva del termine sinistra 
perché in Cile mai come adesso c'è bisogno di un cambio a sinistra ma  -essendo la sinistra la Concertazione- il cambio è impossibile. 
Bachelet dunque governerà l'esistente in un paese dove l'esercito ha  ancora troppo potere e con il PIL destinato alla difesa doppio o triplo  dei più alti della regione. In molti temiamo che quell'esercito  ipertrofico e modernissimo, la prossima volta non sarà utilizzato contro  il popolo cileno, come successe l'11 settembre del 1973, ma contro una  regione sempre più in ebollizione e che sta scegliendo un cammino di  sviluppo opposto a quello cileno.
 
Se il 18 dicembre l'indigeno Evo Morales sarà presidente in Bolivia, il  vecchio palazzo della Moneda sarà presto testimone di un piccolo  scandalo. La nostra bella signora borghese, sarà costretta a ricevere un  uomo dalle fattezze umili, in tutto simili al marito di una delle sue  domestiche di quelli che ogni tanto, in cambio di una mancia, va a casa  della signora a fare qualche lavoretto di fatica per poi tornare a Renga  o in un altro quartiere popolare di Santiago a bordo di un autobus  giallo tossicoso. Sarà un avvenimento, ma chi può cambiare il mondo è  l'uomo povero boliviano, non la ricca signora cilena. 
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Un appunto su presidenzialismo e populismo 
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Riflessione sul rapporto tra presidenzialismo e populismo in America  Latina e come l'idea del populismo sia travisata in Europa. 
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