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Ma la decrescita è di sinistra o di destra?

di Silvia Marcuz/Simone Olla - 29/12/2005

Fonte: decrescita.it

 

rilanciamo interessante scambio epistolare tra Silvia Marcuz e Simone Olla, in merito al manifesto "antimodernista" di Massimo Fini e, più in generale intorno alla discussione sulle tematiche della decrescita, la destra e la sinistra (tratto dalla lista di discussione del sito Decrescita.it)


Buona giornata a tutti!

entro in questa vivace discussione ...

Prima di tutto mi preme dire  che anche io non penso che destra e sinistra
siano uguali. E' vero a volte i nostri partiti di destra e di sinistra
rispondono alle stesse logiche, dello stesso sistema, magari solo con
sfumature diverse... Ma fondamentalmente credo che questa sia una
conseguenza del "sistema" (passatemi l'uso di questa espressione che ho
visto già usata da altri in lista ... è per capirsi) è una
conseguenza  dell'omologazione del mercato (per dirla forse un po' tagliata
con l'acetta).
Credo comunque che esista un pensiro di destra ed uno di sinistra. Con
molta serenità, fuori dagli schemi ideologici ... ma penso ci sia un modo
si sentire, di partire nel ragionamento politico, nel affrontare le
questioni diverso da destra e sinistra (che convenzionalmente chiamiamo
così. Possiamo anche cambiarci i nomi se vi fa stare meglio ... ma la
sostanza non cambia).

Premesso questo vorrei entrare un po' nello specifico del manifesto di
Massimo Fini.
E' un dato oggettivo che esso sia nato da ambienti di "sentire di destra" e
questo, come giustamente fatto notare, si vede anche dai primi firmatari.
E' un dato, non un giudizio. Può entrare come dato a formare un giudizio,
ma in sè non è un giudizio.
Leggendo il manifesto mi pare chiaro che, anche se nato da una forte
critica del nostro modello di sviluppo, non delinei una prospettiva
equivalente ad una decrescita (diciamo, per intenderci) "Latouche style".
(Premetto che scritto come è scritto mi pare un po' (volutamente?)
passibile di diverse interpretazioni. O forse è solo il frutto di un
pensiero molto chiaro e che dà un significato specifico e pesato alle
parole, ma magari non chiaro e condiviso con le stesse accezioni da tutti.)
In primo luogo il NO alla globalizzazione in toto ... A mio modo di vedere
il pensiero della decrescita "Latouche style" nasce da una analisi globale
del modello economico di sviluppo, consci che i sistemi non si possono
analizzare come isolati (...bioeconomia nella biosfera). Il problema sono
le conseguenze di questa globalizzazione  (ambientali, sociali ...). Cosa
significa globalizzazione degli uomini?
Trovo poi pericoloso il no alla globalizzazione dei diritti ...
Andando poi giù nel manifesto quello che di istinto mi viene da dire ad
ogni "invocazione" è "... dipende!". E mi pare anche difficile fare un
confronto di contenuti con un simile insieme di slogan.
"democrazia diretta in ambiti limitati e controllatbili" Controllabili da
chi? come? secondo che parametri? limitati come? nello spazio, nel tempo,
nei contenuti?
"piccole Patrie" In se il concetto di patria non mi entusiasma ... ma cosa
sono?
"diritto dei popolo ... etc."
"No alle oligarghie ..." significa che il potere è gestito da tutti? come?
su quali principi?
...
potrei andare avanti.

In generale quello che mi lascia stranita di questo documento che invoca la
"libertà dei popoli" è la sensazione che nasca sì dal desiderio di maggior
bene-essere, ma che esso sia concepito e garantito solo nella ristretta
cerchia del popolo o della piccola patria.
La decrescita "Latouche style" parla di economie locali come valorizzazione
del territorio, come necessità ecologica, come rapporto con la terra e con
i beni non governato dal mercato ma da logiche diverse, logiche di
giustizia, del dono. Quello che invece mi pare di percepire dal manifesto
di Fini è una logica di indipendenza, di libertà.
Credo che in fondo la differenza tra le due linee sia da rintracciare nelle
spinte che le hanno fatte nascere.
Una concentrata sul bene-essere e sulla libertà personale o di piccoli
gruppi, l'altra che auspica un bene-essere condiviso e scelte di giustizia.
Una interessata al mantenimento delle identità, l'altra aperto all'incontro
di identità diverse.
Per il mio modo di vedere il primo di destra, il secondo di sinistra.

Silvia Marcuz
Cara Silvia,
la tua e-mail coglie nel segno, nel senso che entri nel merito delle
questioni. Poi, che io mi trovi distante dal tuo approccio, beh fa nulla, ma
almeno c'è di che discutere. E lo potremmo fare per ore, perché partiamo da
presupposti differenti: l'accettazione o meno del paradigma dicotomico
esistente oggi per interpretare la postmodernità.
Io ritengo che le categorie D/S siano obsolete, vecchie, superate. Scatole
vuote dentro le quali ci si può mettere dentro di volta in volta tutto e il
suo contrario, eludendo puntualmente le urgenti risposte che la nostra epoca
ci chiede. Risposte che, torno a dire, non vengono date dalla politica
istituzionale perché metterebbero in discussione il congelato sistema dei
blocchi contrapposti. Domande che vengono poste in circuiti marginali come
questi perché se fatte uscire creerebbero non pochi problemi. Per fare un
esempio pratico mi riallaccio all'attualità, prima di passare all'analisi
dei punti del manifesto da te citati. Hanno strattonato il movimento No Tav
a destra come a sinistra, cercando di piegare le ragioni della protesta
trasversale a logiche di parte (o partitiche fa lo stesso) facilmente
spendibili in chiave elettorale. Lo hanno fatto in modo strumentale da una
parte e dall'altra in tutti i salotti televisivi che esistono nella scena
catodica e in tutti i salotti giornlistici. Sono certo che utilizzeranno
quella protesta popolare per fini elettorali. Quella stessa protesta che
Massimo Fini ha definito localista, antiglobalista, antimodernista, prima
che ecologista. In questa rivolta trasversale alcuni opinionisti hanno
riscontrato la prima lucina di decrescita mentale prima che una
rivendicazione ecologista o ambientalista (che pure sottoscrivo, ci
mancherebbe). Perché devo mandare delle merci in Francia e chissà poi dove e
importare dalla Francia le stesse merci che ho esportato? Questo accade già
con l'acqua minerale. Autoproduzione e autoconsumo. Perché tutta questa
velocità? Chi l'ha detto che l'alta velocità delle merci mi renderà felice o
risolverà gli annosi problemi della Valle legati alla qualità della vita?
Chi ha detto che TAV=sviluppo? E poi chi ha detto che sviluppo è meglio?
Insomma, discorso lungo ma per il quale potrei ancora scrivere tanto,
solamente per dire, che sia a destra che a sinistra (salvo rarissimi e
particolari casi) si ritiene ormai fattore imprenscindibile non solo questo
modello di sviluppo, ma lo sviluppo in sè, che è l'ostacolo precipuo per una
decrescita mentale.
Cara Silvia, qualche mese fa abbiamo organizzato a Cagliari una conferenza
sul tema Destra/Sinistra e ci siamo fatti non poche domande sull'argomento.
(Al tema poi abbiamo dedicato tanti articoli sul sito del Centro Studi
Opìfice.)Ci siamo chiesti (solo per fare un esempio far i tanti) se tali
categorie siano eterne ed immutabili nel tempo. Se come tu sostieni "esiste
un pensiero di destra ed uno di sinistra" questo è cambiato oggettivamente
da un secolo a questa parte. Quindi la destra e la sinistra non sono
categorie valide sempre e comunque, ma appartengono ad un dato momento
storico (la modernità); e ti dirò di più pure ad un luogo (come è naturale
che sia). Lo sviluppo in sè non viene messo in discussione né a destra né a
sinistra. L'ideologia dei diritti dell'Uomo (o universalizzazione dei
diritti dell'Uomo) non viene messa in discussione né dall'una né dall'altra
sponda politica. Così come di regionalismo in chiave europea, autoconsumo,
autoproduzione, finanza etica, sobrietà e decrescita non se ne parla se non
in chiave strumentale né da una parte né dall'altra.

Manifesto Fini.
Sbagli a sostenere che tale manifesto "sia nato da ambienti di "sentire di
destra" [...]" ed è una forzatura sostenere che si evinca "anche dai primi
firmatari.". Non è per niente un dato ma un giudizio. Il Manifesto è di
Masimo Fini, non dei firmatari che in cuor loro possono condividere magari
solamente un punto, non potremo mai saperlo... Il "padre" del manifesto,
cioè Massimo Fini, non può essere definito uomo di destra perché è è lui
stesso a dirlo. E poi scusa visto che ci piace fare l'identikit a tutti, lui
è stato nel movimento studentesco e poi socialista per lunghi anni. Fraterno
amico di Tobagi, che lo fece entrare all'Avanti, prima di essere trucidato
da Prima linea. All'oggi è un cane sciolto che scrive su Micromega piuttosto
che sul Gazzettino e pubblica con  Marsilio, che tanto di destra non mi
sembra. Fini parla di critica all'industrialismo quando la decrescita e lo
stesso Latouche neanche erano all'orizzonte. Alain de Benoist lo conosciamo
tutti e non credo abbia bisogno di presentazioni. Sappiamo da dove arriva ma
soprattutto sappiamo dove intende andare, e sicuramente nei suoi numerosi
libri tradotti in Italia non ritroviamo una strenua difesa della dicotomia
D/S, ma al contrario una durissima critica. (Recentemente AdB ha risposto a
qualche domande del Gruppo Opìfice proprio su decrescita e Destra/Sinistra.
Potete trovare tutto nel sito:
www.opifice.it ) Che dire poi di Zarelli
(collaboratore di Diorama) il quale ha tradotto in Italia il bioregionalismo
circa dieci anni fa. Bioregionalismo che nulla ha da spartire con il
nazionalismo che è l'altra faccia, con la globalizzazione, del riduzionismo
universalistico dell'uomo e le culture.
Questi sono dati inconfutabili, quindi mi domando e ti chiedo chi sarebbero
gli ambienti di destra che hanno ispirato il manifesto se Massimo Fini è il
primo a distaccarsene. E' il Manifesto in sè ad andare oltre la destra e la
sinistra. Questo è una dato!
Ovviamente dobbiamo considerare tutti i limiti strutturali di un manifesto.
Qualunque esso sia. Che di per sè è più una base di partenza che una
enciclopedia della società che verrà.
Tu scrivi: Cosa significa globalizzazione degli uomini?
Nonostante io sia uno strenuo difensore del multiculturalismo come
organizzazione della attuale società, non posso non riconoscere che la
società multiculturale (checché ne dica Latouche che pure stimo e apprezzo
per le restanti posizioni) è una risposta alla immigrazione e quindi alla
globalizzaizone. Ritengo sia doloroso abbandonare la terra natia per
inseguire il sogno occidentale (che mi pare più un incubo). E quindi il No
alla globalizzaizone degli uomini lo intendo in questo senso. Concordo sul
fatto che il passaggio fondamentale, la terra di mezzo, non possa che
avvenire con la società multiculturale. Ma chi oggi, a destra come a
sinsitra, parla di Multiculturalismo? Io sento parlare fin troppo di
integrazione e omologazione ai nostri usi e costumi, piuttosto che di
valorizzazione delle differenze come ricchezza culturale. E questa è una
violenza doppia per chi è stato costretto dal "nostro" sistema di sviluppo
ad abbandonare la sua terra.
Tu scrivi: Trovo poi pericoloso il no alla globalizzazione dei diritti...
Perché? io credo che la globalizzazione dei diritti (o ideologia dei diritti
dell'Uomo) sia la giustificazione giuridica della globalizzaizone in sè. Si
fornisce una giustificazione giuridica alla imposizione globale del nostro
modus vivendi. L'ideologia dei diritti dell'Uomo nasce in un dato luogo ed
in un dato tempo. Come è possibile che questa venga esportata e/o imposta?
In questo modo si potrebbe giustificare qualunque imposizione nei confronti
di popoli altri. Ci sono popoli nel nostro pianeta che ai diritti
antepongono i doveri. Quello dei diritti dell'Uomo è un discorso molto lungo
e affascinanate che richiederebbe pagine e pagine... Tra l'altro Alain de
Benoist l'ha affrontato recentemente con un lungo saggio apparso su Diorama
Letterario e in un libro avente per titolo Oltre i diritti dell'Uomo. Mi
fermo qua sennò facciamo veramente notte!
Andro più veloce per i restanti punti.
Tu scrivi: "democrazia diretta in ambiti limitati e controllatbili"
Controllabili da chi? come? secondo che parametri? limitati come? nello
spazio, nel tempo, nei contenuti?
Io credo che la democrazia sia tale solamente in un villaggio. E' una
provocazione che mi piace lanciare, ma se vai bene a guardare se sbaglio,
sbaglio di poco. Ti chiedi da chi siano controllabili gli amibiti nei quali
dovrebbe esprimersi la democrazia. E secondo te? Dai cittadini ovviamente.
In caso contrario non si avrebbe democrazia. Limitati ovviamente nello
spazio. Nel senso, che più è piccolo il territorio, più è facile che vi sia
partecipazione, più sarà efficace l'azione democratica delle comunità che
insistono in quel contesto.

Anche io potrei andare avanti, ma credo che ci sia già di che discutere.

Alla prossima.
Simone Olla