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Lo sciamanesimo Inuit

di Gianfranco Bertagni - 02/01/2006

Fonte: gianfrancobertagni.it

 

Presentazione

 

Lo sciamanesimo eschimese (o meglio, inuit) è una delle più importanti tipologie di sciamanismo. Esso si estende in un’ampia zona geografica che va dal Canada all’Alaska, dalla Groenlandia all’Asia. In realtà abbiamo a che fare con diversi tipi di sciamanismo eschimese. Ne tratteremo alcuni, concentrandoci soprattutto su: il divenire sciamani, la chiamata, l’iniziazione, la funzione dello sciamano all’interno della sua comunità, i suoi poteri e le sue capacità, i viaggi sciamanici e i fenomeni ad essi connessi, il rapporto con gli spiriti, il modo peculiare dello sciamano di ‘vivere il mondo’, le tre regioni dei morti con cui lo sciamano ha contatto.

 

 

LO SCIAMANESIMO INUIT

 

Diciamo subito che la parola ‘eschimesi’ è ritenuta offensiva. Perché? Il fatto è che quelli che noi chiamiamo eschimesi, in realtà non si chiamano essi stessi eschimesi. ‘Eschimesi’ è una parola indiana (d’America, ovviamente!) del popolo Cree che significa ‘mangiatori di carne cruda’. Insomma: è un termine dispregiativo, che negli studi antropologici non è più usato ormai da un po’ di tempo. Il termine esatto è dunque ‘Inuit’, che significa ‘popolo’ nella lingua inuktiut.

Dunque, sì: abbiamo intitolato la nostra serata ‘lo sciamanesimo eschimese’, ma solo per intenderci. In realtà si deve parlare – più correttamente – di sciamanesimo inuit.

Poi, facciamo un’altra precisazione di una certa importanza direi. Non dobbiamo pensare – quando parliamo del popolo Inuit – di una etnia geograficamente ben delimitata, uniforme nelle sue credenze, nelle sue usanze, ecc. Anche qui – purtroppo – le cose sono un po’ più complicate di quanto si potrebbe pensare. Cioè: ci sono diversi tipi di popoli inuit: in Canada, in Alaska, nella Groenlandia, nell’Asia. E quindi ogni popolo avrà specifiche sue proprie, anche naturalmente per quanto riguarda la religione. Questa è una cosa da tenere a mente quando parleremo di sciamanesimo: non tutti gli inuit credono nelle stesse cose, hanno gli stessi riti, ecc.

Una caratteristica degli inuit, che è propria – a dir la verità – ad ogni cultura ‘primitiva’, tradizionale, è la loro praticità. Praticità nel senso che l’importante è soprattutto il presente. Non c’è tanto la ricerca metafisica della origine primordiale, dei destini dell’anima dopo la morte, del destino degli uomini; oppure: quando c’è, questa è strettamente legata ad esigenze della vita presente. Le cose importanti sono qui, in questo mondo, in quello che in esso accade. Non esiste una supernatura, sede di ciò che è spirituale, divino, ecc. Tutto è natura e tutto è nella natura: gli déi, gli spiriti non sono trascendenti, ma immanenti. Quando si parla di dio del cielo, della foresta, spirito del tal albero, del tal luogo… non si stanno usando delle metafore, dei simboli: si vuole veramente dire quello che indicano queste parole. La realtà va dunque conosciuta, per potere risolvere i problemi che si presentano nella vita comunitaria e individuale. Quando Rasmussen, uno dei primi antropologi a fare ricerca sul campo tra gli inuit, chiese alla sua guida inuit in cosa credesse, gli venne risposto: “Noi non crediamo, noi abbiamo paura”.

Detto questo, cominciamo a parlare dello sciamano nella cultura inuit. La parola per indicare lo sciamano nella lingua degli inuit è Angakok. Chi è? È il dottore, il consigliere, il guaritore. Però, attenzione: non è il capo della tribù. Capo della tribù è la persona più anziana, quella considerata con maggiore esperienza, soprattutto esperienza nella caccia, cioè nel procurare il cibo e quindi assicurare la sopravvivenza della comunità. Un’altra cosa: a volte alcuni pensano allo sciamano al singolare, ma non è sempre vero. Nel caso degli inuit, in uno stesso villaggio possono esserci più sciamani. Adesso, non vorrei fare dei paragoni troppo azzardati e che trovano il tempo che trovano, però pensiamo agli sciamani come a dei medici. C’è medico e medico, chi bravo chi meno, chi specialista in un campo chi in un altro: ecco, un analogo discorso lo si può fare per gli sciamani. Un altro elemento che troviamo nella cultura inuit: non è detto che gli sciamani siano solo uomini; ci sono casi anche di sciamane. Questa caratteristica, certo, non è esclusiva dello sciamanesimo inuit, ma non è neppure presente in tutti i tipi di sciamanesimi.

Adesso però entriamo nel merito della carriera dello sciamano. Prima di tutto: chi può diventare sciamano? Dipende. Dipende dal popolo inuit con cui abbiamo a che fare. Prendiamo il caso degli eschimesi Ammasilik. Tra gli ammasililk è lo sciamano che decide chi può e chi non può diventare sciamano. Il futuro sciamano viene scelto ancora giovane. Il problema che ci si pone è duplice: da una parte la necessità che le conoscenze detenute dallo sciamano anziano possano essere mantenute per le generazioni a venire; dall’altra l’esigenza di formare il futuro sciamano fin da giovane, potendo meglio incidere sulla sua personalità, sulla sua crescita. Naturalmente ci sono delle caratteristiche nel ragazzo e che indurranno lo sciamano a scegliere proprio lui tra i molti. Queste caratteristiche sono varie: l’isteria, la predilezione della solitudine, la visionarietà, i contenuti dei sogni, la nascita in certi luoghi considerati ‘di potere’, i segni sul corpo, lo sguardo, ecc. Lo sciamano anziano non si impegna a formare il futuro sciamano in modo totalmente gratuito: egli viene pagato, facendo parte del suo lavoro. Inoltre lo stesso maestro sciamano non tiene dietro ad un solo ragazzo, ma può – spesso – avere sotto di sé diversi ragazzi da formare.

Ci sarà quindi un periodo più o meno lungo di indottrinamento del futuro sciamano da parte dello sciamano anziano, nell’isolamento più completo. I luoghi variano da tradizione inuit a tradizione inuit, da sciamano a sciamano: tanto per dirne alcuni, la foresta, la montagna, la grotta, la capanna, luoghi insomma ritenuti ‘altri’ dalla vita quotidiana, dalla comunità. In questi luoghi cosa viene insegnato? La mitologia che fa parte della particolare tradizione inuit di cui il ragazzo sarà sciamano, si insegneranno i nomi degli spiriti, le loro caratteristiche, ma soprattutto e prima di tutto si procederà alla realizzazione di quella fase importantissima che viene detta iniziazione. Come spesso accade nelle iniziazioni, anche qui abbiamo a che fare con una o più prove che il futuro sciamano dovrà superare. Nel caso inuit una pratica spesso usata come premessa alla iniziazione è quella dello sfregamento delle pietre. Il ragazzo, in solitudine, viene abbandonato a sfregare una pietra contro l’altra, avendone ognuna in una mano. Spesso non sono pietre comuni, ma di proprietà dello sciamano anziano, o comunque con certe proprietà di forma, colore e durezza. Lo sfregamento continuo (ricordiamoci: stiamo parlando di ore, di giorni) produce uno stato alterato nella coscienza, un affaticamento e obnubilamento psichico notevole. Durante tutto il periodo di sfregamento delle pietre, il giovane deve osservare tutta una serie di limitazioni nel mangiare, nel bere, nel dormire, nelle sue attività sessuali, ecc.

Uno spirito di potere, spesso l’animale ritenuto lo spirito dominante in quella particolare cultura inuit, si fa presente e ‘ucciderà’ il ragazzo. È qui che ha inizio il vero e proprio processo di iniziazione: bisogna morire al vecchio uomo per rinascere all’uomo nuovo, tanto per usare le parole di Paolo di Tarso. L’uccisione avverrà in un modo molto ‘fisico’, realistico: l’animale strapperà la carne del giovane, arriverà allo scheletro e il giovane morirà. In questo momento di morte rituale, psichica, il ragazzo entrerà in uno stato che non appartiene alla veglia e nemmeno al sonno: è un principio di viaggio nell’altro mondo, un mondo non ancora conosciuto, abbastanza anonimo e dai tratti oscuri. Questo stato di morte potrà durare alcune ore, ma anche alcuni giorni. La rinascita avverrà attraverso il ritrovamento da parte del ragazzo della sua carne e dei suoi vestiti: tutto tornerà a lui, ma nulla sarà come prima. Potremmo dire: la stessa pelle, gli stessi vestiti, ma contemporaneamente una pelle diversa, dei vestiti nuovi. La riduzione della persona all’osso non è qualcosa di casuale. Si ritiene che siano le ossa la parte dell’uomo con maggior potere, da cui proviene – diciamo così – la carica sciamanica. Insomma: nelle ossa sta l’essenza. Nel periodo di spogliazione del proprio corpo l’iniziando deve, attraverso uno sforzo di concentrazione prolungato nominare mentalmente (a volte anche vocalmente) ogni singola parte del proprio corpo, ogni suo osso, utilizzando un linguaggio speciale, insegnatogli dal suo maestro.

Ma il giovane sciamano, arrivato a questo punto, ha solamente iniziato la sua preparazione. Certo, l’iniziazione vera e propria, la dura prova è stata superata, ma il suo percorso è ancora lungo. Soprattutto lo sciamano deve acquisire la conoscenza, una conoscenza non solo teorica ma assai personale, diretta, vissuta, dei diversi spiriti ausiliari che gli saranno di estremo aiuto nel suo ‘lavoro’ da sciamano. Più uno sciamano ha esperienza di questi spiriti, più ne conosce e più sarà potente. Le pietre da sfregare non vengono abbandonate, ma si continua a sfregarle nella ricerca degli spiriti. Questa ricerca va avanti per degli anni, anche se limitata ad una parte dell’anno, spesso una stagione. Lo stesso ragazzo, una volta iniziato, potrà fare esperienza con diversi sciamani della sua comunità. Passare da un maestro all’altro gli permetterà di venire a conoscenza e di praticare tecniche nuove e soprattutto gli consentirà di ‘aggiungere’ nuovi spiriti ausiliari al suo ‘bagaglio’.

Ora abbiamo parlato di di ciò che avviene nel reclutamento di un nuovo sciamano nello sciamanismo ammasilik. E abbiamo anticipato: non in ogni cultura inuit accade la stessa cosa. Infatti ci sono altri tipi di sciamanismo inuit in cui non è lo sciamano anziano a scegliere chi diventerà nuovo sciamano, ma è il giovane che si fa avanti. Prendiamo l’esempio dello sciamanismo Iglulik. In questo caso colui il quale aspira a divenire sciamano si presenta al maestro sciamano, spesso con un dono e dichiarando la sua volontà. Perché un giovane vuole diventare sciamano? Be’, ovviamente c’è un aspetto sociale da tenere conto nella carica di sciamano: cioè lo sciamano è rispettato, onorato, a volte ben pagato. Nella struttura della comunità, egli è in una posizione di un certo prestigio, quindi in una posizione auspicabile secondo alcuni. Poi a volte ci sono segnali (spesso sogni o visioni in stato di veglia) che inducono il giovane a sospettare che agisca in sé una chiamata sciamanica. Altre volte c’è il desiderio fortemente sentito di divenire capace di entrare nell’altro mondo, di accedere alla dimensione degli spiriti, di potere ‘vedere’ – come a volte si dice.

Una volta che il giovane fa la sua richiesta al maestro sciamano, quest’ultimo si ritira ad interrogare gli spiriti: è bene accettare la richiesta di questo giovane? C’è qualcosa in lui che si oppone alla sua volontà di diventare sciamano? Vanno risolti alcuni problemi che si interpongono al suo discepolato? Il secondo passo è che il giovane si purifichi: questo avviene attraverso tutta una serie di pratiche, di ritualità, a volte si procede anche con una vera e propria confessione delle colpe commesse e a volte a questa confessione partecipa anche la famiglia del ragazzo. Poi c’è un periodo di istruzione in senso stretto da parte del maestro all’allievo: in questo periodo (più o meno una settimana) l’allievo si reca dal maestro ogni giorno, in momenti fissati della giornata (per esempio all’alba, al picco del sole, al tramonto, prima di coricarsi), e si attiene a un tipo di vita castigato (così come abbiamo visto per lo sciamanesimo ammalik). Terminato questo periodo, il giovane dovrà proseguire il suo percorso in solitudine e concentrazione. Arrivato il momento in cui il maestro sciamano ritiene l’allievo pronto all’iniziazione, quest’ultimo viene sottoposto – anche qui  - ad una specie di ‘morte rituale’. In questo caso però è il maestro stesso a disintegrare la persona del giovane. Egli mima una specie di prelievo della parte animica presente nel corpo del giovane: la preleva dalla pancia, dal sesso, dalla testa, dagli occhi, dalla bocca. Teatralizza, drammatizza una vera e propria operazione chirurgica in cui si procede ad una sorta di estrazione. Ricordiamoci che una delle più importanti, anzi possiamo dire: l’essenziale capacità che caratterizza lo sciamano è quella di compiere viaggi con la sua anima. Dunque in questa iniziazione si induce al nuovo sciamano questa capacità, la prima volta quindi coadiuvata dal maestro. Ed è anche una specie di presentazione dell’anima del nuovo sciamano agli spiriti; come dire: ecco l’anima che verrà a far visita nel vostro regno, accoglietela. In ultimo, il maestro sciamano trasmette al suo allievo il qaumaneq, la luce, l’illuminazione, il lampo. Anche qui, ovviamente, c’è un iter più o meno lungo, cui si deve sottoporre il giovane per ottenere questa luce. Soprattutto egli deve stare per lungo tempo in stato di contemplazione degli spiriti, di apertura – diciamo così, di invocazione. Il momento in cui il qaumaneq gli viene trasmesso dal mondo degli spiriti (spesso dallo spirito della Luna) è un momento speciale, in cui accadono eventi che possiamo chiamare miracolosi. Egli si sente salire in cielo, vede le cose dall’alto, ha la sensazione di vedere a 360 gradi, ecc. Questo fuoco viene trasmesso all’interno del corpo del giovane sciamano, ed è grazie ad esso che lo sciamano è capace di ‘vedere’ ciò che gli altri non vedono. È qualcosa di molto sentito fisicamente dallo sciamano: cioè non è puramente spirituale, ma una presenza reale che lo sciamano sente dentro il suo corpo, a volte localizzata in certi punti come gli occhi o la gola o sotto l’ombelico, a volte distribuita dappertutto. Grazie al qaumaneq, lo sciamano riesce a vedere a distanza, nel buio, riesce a conoscere eventi passati e futuri, i pensieri delle persone, ecc. Insomma tutto ciò che significa ‘vedere’ in senso proprio e in senso metaforico. Ma la capacità più importante che lo sciamano riceve attraverso il qaumaneq è quella di vedere le anime o i frammenti di anima che sono state rubati.

Quand’è che si va a consultare uno sciamano? In diverse occasioni, naturalmente. Soprattutto per una guarigione, oppure per avere una buona caccia, o ancora per propiziarsi il bel tempo, per eliminare la causa di una sterilità, e altro. Secondo la cultura inuit qual è il motivo di una malattia? Perché si è violato un tabù, si è fatto qualcosa che non si doveva fare oppure non si è fatto qualcosa che si doveva fare. In questo caso bisogna procedere ad un rito collettivo nel quale l’intera comunità ammette la propria mancanza, i propri sbagli, attraverso una vera e propria confessione, che risulta tra l’altro dagli effetti sociali e psicologici liberatori. Un altro importante motivo della malattia può essere, come si accennava prima, il furto di un’anima (o una parte di essa) da parte di un morto. In questo caso invece lo sciamano dovrà intraprendere un viaggio sciamanico per recuperare l’anima perduta e per riportarla alla sua sede originaria. Il suo viaggio può essere diretto o verso il cielo o verso le profondità marine, avvicinando dunque rispettivamente gli dei sovrani di questi due regni: Sila e Takànakapsaluk. Sono queste le due zone ritenute più importanti, più vitali, quindi più cariche di sacro nella cultura inuit: il cielo con il suo sole o le sue tempeste e il mare con i suoi animali così essenziali per la vita degli inuit. A volte gli sciamani riferiscono dopo il loro viaggio dove sono stati: abbiamo documentazioni anche di viaggi atipici, nei quali gli sciamani raccontano di essere stati in luoghi particolari come sopra un pianeta sconosciuto, o sulla luna o di aver fatto il giro dell’universo o di aver volato attorno tutta la terra, ecc. Nel viaggio lo sciamano è capace di volare come un volatile comune: spesso nella raffigurazioni iconografiche viene raffigurato con le braccia tese come le ali di un uccello.

Poi è naturale che quando lo sciamano deve recuperare un’anima rapita da un morto, egli dovrà far visita ad uno dei regni dei morti. Questo viaggio avviene attraverso una sorta di transe nella quale entra lo sciamano, il quale a sua volta sembrerà un morto – in tutto il periodo del suo viaggio. La sua anima prende il volo e il suo corpo rimane inanime. Ma prima di rimanere come privo di vita, a volte il corpo si muove in modo convulso, quasi in preda all’epilessia: è l’entrata, la penetrazione dello sciamano negli abissi, che viene mimata fisicamente: non è un caso che a volte per indicare lo sciamano si parla di “colui che scende in fondo”. Vi sono tre regni dei morti di solito. C’è il cielo, c’è una sede sotto terra e un’altra ancora a grandi profondità. Nel cielo e nella sede dei morti situata nella profondità della terra, i morti passano un’esistenza serena e prosperosa. In queste sedi l’andamento climatico è l’opposto di quello sulla terra: quando è inverno da una parte, è estate dall’altra e viceversa. Invece nella sede subito sotto la terra, i morti scontano le mancanze e le colpe di cui si sono macchiati durante la loro vita. È praticamente un inferno in cui l’esistenza è grama, disperata e infelice.

I rituali che invece riguardano tutta la comunità, come per esempio allarmanti problemi meteorologici, necessitano la presenza di tutti, o di almeno una rappresentanza del villaggio che viene ospitata all’interno di una capanna – spesso la capanna dello sciamano – e che assiste alla drammatizzazione da parte dello sciamano stesso della sua lotta contro gli spiriti ostili. I presenti devono avere le cinture e i lacci slegati, gli occhi chiusi. Prima lo sciamano sta in silenzio, respira profondamente. Poi chiama gli spiriti ausiliari. Quando arrivano, egli dichiara di avere aperto il varco. In questi veri e propri spettacoli, lo sciamano si dimena, urla, canta, parla un linguaggio sconosciuto, entra in estasi, cade in transe, cambia il registro della voce, riferisce quello che gli sta capitando, gli altri lo incitano, lo incoraggiano, ‘fanno il tifo’ per lui. Lo sciamano prima di questo rituale depone le sue vesti, e durante il suo viaggio può capitare che esse prendano vita, che volino per la capanna. Si sentono nel mentre respiri sconosciuti, che vengono dall’altro mondo: a volte anime di sciamani defunti vengono ad aiutare lo sciamano in viaggio.

Quando il suo viaggio è diretto verso le profondità marine, per incontrare Takanakapsaluk, lo sciamano trova ostruito il suo passaggio da tre grandi sassi a mezz’aria (o meglio: a mezzo mare!) in movimento continuo. È un classico rito di passaggio: lo sciamano deve superare questo ostacolo, con il rischio di finire schiacciato tra i massi. Superati i massi, lo sciamano si trova davanti alla casa di Takanakapsaluk; più lo sciamano sarà inesperto, maggiori saranno gli ostacoli tra lui e la divinità marina; più lo sciamano sarà esperto, più facile e diretta sarà la via che lo condurrà a lei. I problemi vissuti dalla comunità sono causati dalla collera di Takanakapsaluk. E la collera è evidente dagli ostacoli che sono presenti nelle immediate vicinanze della sua casa: un muro che si erge davanti alla sua porta, bestie marine dentro ad uno stagno vicino al suo camino, trappole, ecc. C’è anche il padre di Takanakapsaluk che cerca di bloccare lo sciamano, scambiandolo per uno spirito morto. E poi lo si capisce dalla persona stessa di Takanakapsaluk: è visibilmente infuriata, è sporca, è trascurata, il suo sguardo è coperto dai suoi folti capelli. L’idea soggiacente a questa rappresentazione è che gli errori degli uomini, le loro infrazioni di tabù, i loro peccati, gli sbagli, incidono sulla salute di Takanakapsaluk: è come se la facessero ammalare. Allora lo sciamano dovrà curarla, dovrà accudirla, pettinarla, anche coccolarla. Nel mentre egli fa presente alla dea i problemi vissuti nella sua comunità. Citiamo ad esempio un dialogo registrato da Rasmussen. Sciamano: “Gli uomini non hanno più foche da mangiare”; dea: “Gli aborti fatti in segreto e le violazioni dei tabù di quelli che mangiano carne bollita hanno chiuso la via agli animali”. Lo sciamano cerca di imbonirsi la dea, la quale alla fine apre lo stagno e lascia liberi gli animali. Poi lo sciamano torna dal suo viaggio: il suo respiro si fa più affannato, è come se tornasse dopo una lunga immersione. Poi silenzio. Poi lo sciamano chiede una confessione dei peccati: ogni donna confessa i suoi aborti, ogni persona le sue infrazioni di tabù, e ognuno si pente.

Ma a dire il vero, lo scopo dei viaggi sciamanici non è solo ed esclusivamente quello di risolvere dei problemi – individuali o collettivi. Lo sciamano intraprende i suoi viaggi estatici anche quando non ci sono apparenti motivi. Perché? Perché per lo sciamano il viaggio è spesso una sorta di droga, se mi consentite di usare questo termine. Cioè nel viaggio, lo sciamano trova la sua natura autentica: è certamente qualcosa di paradossale, perché spesso e volentieri nei viaggi per risolvere problemi di altri lo sciamano soffre, a volte rischia anche la vita. Tuttavia, quando egli è solo e viaggia solo per il gusto di viaggiare, allora trova piacere nell’accedere all’altro mondo. A quel mondo di cui lui fa parte, in un certo senso. Cioè dopo l’iniziazione, lo sciamano è più dell’altro mondo che di questo. E il suo bisogno è quello di ritornare ad attingere a quell’altro mondo, per riceverne potere, visioni, forza, rigenerazione.

Uno sciamano esperto riesce a viaggiare in qualsiasi regione del cosmo. Egli spesso si fa legare alle braccia e/o ai piedi per non venire trasportato anche corporalmente nel viaggio. Deve essere solo l’anima a viaggiare, spesso sotto forma di corpo eterico: il corpo fisico deve rimanere in questo mondo, perché il rischio è che non si ritorni più. A volte vengono legati dentro una tenda per potersi meglio isolare dal mondo esterno. E spesso vengono invocati gli spiriti familiari, i quali aiutano lo sciamano nel suo percorso estatico, fanno un po’ da ciceroni nel mondo degli spiriti. Sono solo gli spiriti crudeli e malvagi il problema dello sciamano: essi sono così perché hanno vissuta una vita intrisa di violazioni alle regole; con gli altri spiriti lo sciamano inuit prende contatto volentieri: spiriti dei morti, spiriti della natura, … Ognuno ha la sua peculiarità, la sua ‘specializzazione’ e da ognuno lo sciamano può ricavare qualcosa. Certo, ogni eschimese può avere protezione da un certo spirito, ma è solo lo sciamano che può intrattenere con loro un rapporto intimo, di incontro, di dialogo vero.

Poi, in ultimo, vorrei dire che nella cultura inuit non c’è solo lo sciamano come intermediario per dialogare con gli spiriti. Esiste anche il ‘qilaneq’. Viene utilizzato più che altro quando si ha a che fare con un malato (e spesso lo usano le donne). Quest’ultimo lo si fa sedere a terra; qualcuno in piedi gli regge la testa attraverso una cintura. Si invocano gli spiriti e la loro presenza si fa manifesta attraverso la pesantezza della testa. Poi si pongono delle domande: se la testa si appesantisce nuovamente, la risposta è positiva; se si alleggerisce, è negativa. A volte poi questo metodo viene usato dallo sciamano stesso, però in questo caso lo sciamano non usa la testa, ma il piede, il suo piede. Fa tutto da solo, avendo davanti a sé il malato. È un metodo veloce che si usa quando ci sono problemi di salute non troppo gravi, che non richiedano insomma il viaggio sciamanico.