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«Ecco il piano Usa per attaccare l’Iran»

di Paolo Mastrolilli - 03/01/2006

Fonte: Il Manifesto

 
IL CAPO DELLA CIA GOSS E’ STATO AD ANKARA PER CHIEDERE AL PREMIER ERDOGAN DI METTERE A DISPOSIZIONE LE BASI MILITARI

Spiegel: gli inviati di Bush hanno iniziato il giro degli alleati per chiedere appoggio o informarli

«Il governo degli Stati Uniti ha cominciato a coordinare con la Nato i piani per un possibile attacco militare contro l'Iran». Così ha scritto il Jerusalem Post, riprendendo voci già pubblicate dal settimanale Der Spiegel e da altri media tedeschi. Secondo queste informazioni, il 12 dicembre scorso il direttore della Cia Porter Goss è stato in Turchia, proprio per chiedere al primo ministro Recep Tayyp Erdogan di mettere a disposizione degli Usa le basi militari da cui nel 2006 potrebbe scattare il raid. Le fonti tedesche citate dal Jerusalem Post sostenono che i Paesi vicini, come l'Arabia Saudita, l'Oman, la Giordania e il Pakistan sono stati aggiornati sui potenziali piani d'azione. Gli inviati di Washington avrebbero avvertito gli alleati che gli attacchi aerei sono una possibilità, senza però alludere ai tempi dell'operazione. Der Spiegel, però, ha ricordato un articolo pubblicato nel gennaio scorso dal settimanale New Yorker, secondo cui le forze speciali di Washington hanno già infiltrato la Repubblica islamica, per identificare i potenziali obiettivi.

La questione iraniana, aldilà dell'attendibilità di queste voci, è in cima alla lista delle preoccupazioni della Casa Bianca. Gli Stati Uniti accusano Teheran di voler sviluppare il programma nucleare per costruire bombe, mentre il regime degli ayatollah risponde che il suo obiettivo è solo produrre energia per uso domestico. Da mesi l'Unione Europea, attraverso il terzetto composto da Gran Bretagna, Francia e Germania, sta tentando una mediazione, che finora non ha dato risultati. L'ultima proposta di compromesso è arrivata la settimana scorsa da Mosca, che ha suggerito di arrichire nel proprio territorio l'uranio necessario a far funzionare le centrali iraniane. In questo modo i russi potrebbero garantire che il materiale ottenuto dalla Repubblica islamica non sia del livello necessario a costruire bombe. In febbraio Sergei Kiriyenko, capo dell'Agenzia nucleare federale di Mosca, andrà a Teheran per discutere questa idea, oltre a definire i piani per completare la centrale che il governo di Putin sta costruendo a Bushehr, nel Sud del Paese. Finora il regime degli ayatollah non ha bocciato ufficialmente la proposta russa, forse anche nel timore che un rifiuto faccia precipitare la situazione, aprendo la porta all'approvazione di sanzioni economiche da parte del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. I media conservatori locali però hanno rigettato l'idea, definendola una violazione della sovranità nazionale. In assenza di soluzioni diplomatiche, da tempo circolano voci sull'ipotesi di azioni militari, diventate sempre più intense da quando in ottobre il nuovo presidente Mahmoud Ahmadinejad ha detto che Israele dovrebbe essere «spazzata via dalla carta geografica». Nei giorni scorsi il giornale britannico Sunday Times ha scritto che proprio lo Stato ebraico ha messo in preallarme le proprie forze armate, per un potenziale attacco contro le strutture nucleari iraniane a marzo, come quello lanciato nel 1981 da Menachem Begin per distruggere la centrale irachena di Osiraq. Giovedì scorso il capo di stato maggiore dell'esercito, Dan Halutz, ha escluso l'ipotesi di un raid prevenivo imminente, perché comunque Teheran non sarà in grado di costruire ordigni nucleari per altri due o tre anni. Ma l'ex premier Netanyahu, rivale del capo del governo Sharon dopo la sua uscita dal Likud, ha detto che lui favorirebbe un'azione «nello spirito» di Osiraq, e altri rappresenanti dell'esecutivo non l'hanno esclusa. In questo quadro si inseriscono le voci sul coinvolgimento americano.

Secondo fonti militari, i potenziali target dei raid sarebbero un paio di dozzine. In cima alla lista c'è proprio Bushehr, che secondo il «Nonproliferation Policy Education Center» può produrre tra 50 e 75 bombe, seguito da impianti come quelli di Natanz e Arak. Gli Usa hanno ancora alcuni aerei rimasti in zona dalla guerra in Iraq, ma il grosso dei bombardieri invisibili B-2 e F-117 dovrebbe decollare direttamente dall'America, o dalle basi di Diego Garcia e di Udeid in Qatar. Un'azione intensa ma limitata alla distruzione di alcune strutture avrebbe il vantaggio di non coinvolgere truppe di terra, già provate a Baghdad e Kabul, e rallentare i progetti nucleari di Teheran. Se il regime restasse in piedi, però, esporrebbe gli Usa e i loro alleati a rappresaglie militari e terroristiche.