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Un Napoleone venuto da Israele

di Uri Avnery - 10/01/2006

Fonte: ilmanifesto.it

 
Ariel Sharon è sempre stato convinto di essere l'unica persona al mondo a poter guidare Israele. Tutte le sue mosse negli ultimi trent'anni miravano a un unico obiettivo: ottenere il potere supremo nello stato ebraico. Finché, a un passo dal raggiungimento del traguardo, è stato il suo corpo a tradirlo


Fin dalla prima giovinezza, Sharon è sempre stato convinto di essere l'unica persona al mondo a poter salvare lo stato d'Israele. Di questo era assolutamente certo, al di là di ogni ragionevole dubbio. Sapeva solo che doveva raggiungere il potere supremo, in modo da realizzare quella missione che il fato gli aveva affidato. Questa convinzione lo ha portato a un'assoluta integrazione tra il suo egocentrismo personale e l'egocentrismo nazionale. Per una persona che crede in una tale missione, non c'è alcuna differenza tra l'interesse personale e quello nazionale. Quello che è buono per lui, diventa automaticamente buono per la nazione, e viceversa.
Questa convinzione ha retto tutte le sue azioni per decenni. Spiega la determinazione, la tenacia, l'inarrestabile perseveranza diventate il suo segno distintivo, che gli hanno valso il soprannome di «bulldozer». Ciò spiega anche il suo atteggiamento nelle questioni di denaro. Più di una volta è stato accusato di accettare milioni da ricchi ebrei stranieri. Il giorno prima dell'ictus, in un documento ufficiale la polizia lo aveva accusato di aver preso una tangente di tre milioni di dollari dal proprietario di un casinò. Ma non tutti questi milionari si aspettavano qualcosa in cambio. Alcuni di loro credevano, come lui stesso, che appoggiandolo appoggiavano lo stato d'Israele. Può esserci un dovere più sacro che assicurare un reddito garantito al Napoleone israeliano, in modo che possa usare le sue energie alla realizzazione della sua missione storica?

Nel suo lungo cammino, Sharon ha facilmente superato tali ostacoli. Le tragedie personali e le sconfitte politiche non lo hanno mai fermato. Gli incidenti che hanno ucciso sua moglie e il suo primo figlio, il suo sollevamento dall'incarico dopo essere stato ritenuto colpevole da una commissione d'inchiesta di «responsabilità indiretta» per i massacri di Sabra e Chatila, così come i fallimenti, le delusioni che ha subìto negli anni, non lo hanno allontanato dai suoi propositi. Non lo hanno distratto un momento dal suo desiderio di raggiungere il potere supremo.
Mercoledì 4 gennaio era certo che, nel giro di tre mesi, sarebbe diventato il leader unico d'Israele. Aveva creato un partito che non solo avrebbe occupato un posto centrale nella prossima Knesset, ma avrebbe anche polverizzato gli altri partiti. Era determinato a usare questo potere per cambiare l'intero sistema politico e adottare un modello presidenziale, che gli avrebbe dato una posizione di virtuale onnipotenza, come lo ebbe alla sua epoca Juan Peron in Argentina. Poi sarebbe stato capace di realizzare la sua storica missione: definire il percorso su cui si sarebbero mosse le prossime generazioni di israeliani, come prima di lui ha fatto David Ben-Gurion.

Ma, proprio quando sembrava inarrestabile, con una scelta di tempi crudele, il suo corpo lo ha tradito. L'accaduto somiglia a uno dei temi centrali della mitologia ebraica: il fato di Mosé, che dio punì per il suo orgoglio facendogli intravedere la Terra promessa e uccidendolo prima che ne potesse il suolo.

Tuttavia, mentre lui ancora combatteva con la morte in ospedale, il mito della «eredità di Sharon» stava già prendendo forma. Come è accaduto con diversi leader che non hanno lasciato dietro di sé un testamento scritto, ognuno può immaginare Sharon a proprio piacimento. La gente di sinistra, che solo ieri definiva Sharon il macellaio di Sabra e Chatila e il responsabile di furti e uccisioni nei territori palestinesi occupati, ha cominciato ad ammirarlo come «uomo di pace». I coloni, che lo avevano accusato di tradimento, si sono ricordati che è stato lui a creare le colonie e ad espanderle fino a oggi.

Solo ieri era una delle persone più odiate in Israele e nel mondo intero. Oggi, dopo l'evacuazione di Gush Katif, è diventato il cocco del pubblico, di quesi tutte le tendenze politiche. I capi di stato lo hanno incoronato come il «grande guerriero che si è trasformato in un eroe della pace». Tutti sono d'accordo nel dire che Sharon è cambiato, che è passato da un estremo a un altro. Tutte queste cose hanno una sola cosa in comune: non hanno nulla a che vedere con il reale Sharon. Sono basate sull'ignoranza e sull'illusione.
Uno sguardo alla sua lunga carriera mostra che non è cambiato minimamente. E' rimasto fedele al suo principio di base, adattando i suoi slogan al cambiamento delle circostanze. Il suo piano è rimasto uguale a quello dell'inizio. Alla base del concetto c'è il semplice principio del nazionalismo novecentesco, che dice: «Il nostro popolo è sopra agli altri, gli altri sono inferiori. I diritti della nostra nazione sono sacri, le altre nazioni non hanno diritti».

Sharon ha assorbito questa convizione con il latte di sua madre. Tale principio governava Kfar Malal, il villaggio cooperativa in cui è nato, come governava all'epoca il mondo intero. Tra gli ebrei si è addirittura rafforzato dopo gli orrori dell'Olocausto.

Su questa base morale è emerso l'obiettivo principale: creare uno stato ebraico, il più ampio possibile, svuotato dei non ebrei. Ciò ha portato alla conclusione che la pulizia etnica avviata da Ben-Gurion nel 1948, quando la metà dei palestinesi furono cacciati dalle loro terre e dalle loro case, deve essere portata a termine. La carriera di Sharon è cominciata poco dopo, quando è stato eletto comandante del commando clandestino Unità 101, le cui azioni criminali al di là dei confini dovevano evitare che i rifugiati tornassero indietro nei villaggi.
Ma Sharon si è convinto abbastanza presto che un'altra pulizia etnica su vasta scala era impossibile nel futuro immediato. Scartata questa opzione, Sharon credeva che Israele avrebbe dovuto annettere tutte le aree tra il Mediterraneo e il Giordano in cui non ci sono grandi presenze di palestinesi. Già da decenni, aveva preparato una mappa che mostrava orgoglioso alle personalità locali e straniere in modo da convertirle alle sue idee.

Secondo questa mappa, Israele annetterà le aree vicine ai confini del pre-1967 insieme alla valle del Giordano, fino al Golan. In questi territori destinati all'annessione, Sharon ha creato un cordone di insediamenti. Questo è stato il suo sforzo principale negli ultimi 30 anni, nell'ambito delle diverse funzioni da lui ricoperte.
Sharon voleva consegnare al governo palestinese le aree con una maggiore densità di popolazione palestinese. Era risoluto ad eliminare da queste aree tutti quegli insediamenti creati senza riflettere. In questo modo, sarebbero nate 8 o 9 enclaves, separate le une dalle altre, ognuna delle quali circondata da coloni o dalle installazioni dell'esercito israeliano. Non gli importava che queste fossero chiamate «stato palestinese». Il suo recente uso di questo termine è un esempio della capacità di adattamento al mutamento delle situazioni.

La striscia di Gaza è una di queste enclaves. Questo è il reale significato della rimozione degli insediamenti e del ritiro dell'esercito israeliano. E' la prima fase della realizzazione della mappa: la piccola area, con il suo milione di abitanti, veniva riconsegnata ai palestinesi. La forze di terra, di mare e l'aviazione israeliana hanno circondato la striscia quasi all'istante. La stessa esistenza dei suoi abitanti dipende dal volere di Israele, che controlla tutta le entrate e le uscite e può in ogni momento tagliare la fornitura d'acqua e di elettricità. Sharon voleva creare la stessa situazione a Hebron, Ramallah, Nablus, Jenin.
È questo un «piano di pace»? La pace si fa tra nazioni che si accordano per creare una situazione in cui tutti loro possono vivere in libertà, benessere e rispetto reciproco. Questo non è quello che ha in mente Sharon. Lui sapeva perfettamente che nessun leader palestinese poteva accettare la sua mappa, né ora né mai. Per questo non aveva alcuna intenzione di negoziare con i palestinesi. Intendeva realizzare tutte le fasi del suo piano «in modo unilaterale», come a Gaza.

Sharon in realtà voleva fare la pace - ma con gli Stati uniti. Riteneva il consenso americano essenziale. Sapeva che Washington non avrebbe dato il suo consenso al suo intero piano. Per questo voleva ottenere l'autorizzazione fase per fase. Dal momento che il presidente Bush si è completamente messo nelle sue mani, e che nessuno sa chi sarà il suo successore, Sharon voleva portare a termine la parte principale del suo piano entro due o tre anni, prima della fine del suo mandato. Questa è una delle ragioni della sua fretta. La determinazione con cui molte persone di sinistra hanno abbracciato l'«eredità di Sharon» non mostra che avessero compreso il suo piano, ma indica piuttosto la loro brama di pace. Volevano con tutto il cuore un leader forte, che avesse la capacità di porre fine al conflitto. La risolutezza con cui Sharon ha evacuato i coloni da Gush Katif ha riempito d'entusiasmo la gente di sinistra. Chi avrebbe mai pensato che esisteva un leader capace di fare ciò senza una guerra civile? E se ciò è avvenuto a Gaza, perché non potrebbe accadere in Cisgiordania? Sharon evacuerà i coloni e farà la pace. Tutto ciò, senza che la sinistra muova un dito. Come recita il proverbio ebraico, «il lavoro dei giusti sarà fatto da altri».

Sharon si è facilmente adeguato a questo desiderio generale. Non ha cambiato il suo piano, ma gli dato una nuova veste, in linea con lo spirito dei tempi. Da un certo momento in poi, è apparso come un «uomo di pace». Da questo punto di vista, la cosiddetta «eredità di Sharon» può avere un effetto positivo. Quando ha creato il suo nuovo partito, ha portato con sé molta gente dal Likud, coloro i quali erano giunti alla conclusione che l'obiettivo dell'«intera Eretz Israel» («la grande Israele» ndr) era impossibile da raggiungere. Molti di loro rimarranno all'interno di Kadima, anche dopo l'uscita di scena di Sharon. Come parte di un lento processo sotterraneo, la gente del Likud è pronta ad accettare la divisione del paese. L'intero sistema si sta muovendo nella direzione della pace.

L'«eredità di Sharon», per quanto immaginaria, potrebbe diventare una benedizione, se Sharon si cristallizzerà nella sua ultima incarnazione: lo Sharon distruttore di insediamenti, lo Sharon pronto a consegnare parti dell'Eretz Israel, lo Sharon che accetta uno stato palestinese. Certo, questa non era l'intenzione di Sharon. Ma, come potrebbe aver detto lo stesso Sharon, l'importante non sono le intenzioni, ma i risultati pratici.