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Alexis Carrel, storia semisconosciuta di un premio Nobel

di Luigi Carlo Schiavone - 06/03/2008

 

Alexis Carrel, storia semisconosciuta di un premio Nobel



“E’ ora che cominciamo a sentire la debolezza della nostra civiltà. Molti oggi desiderano sfuggire dai dogmi della vita moderna. Per loro è stato scritto questo libro. Ed ugualmente per gli audaci che considerano la necessità non solo di mutamenti politici, ma dell’avvento di un concetto diverso del progresso umano”. Così Alexis Carrel apre L’homme, cet inconnu, la sua opera più famosa di critica alla civiltà moderna, che l’autore ritiene ispirata ad una concezione di vita prettamente materialistica che trova nell’American way of life il suo punto massimo d’approdo e che cerca di assorbire interamente l’uomo riducendo il tempo a disposizione per le sue esigenze spirituali. Questa assenza è da considerarsi all’origine delle diverse frustrazioni, delle inibizioni, delle insoddisfazioni e delle mille altre infelicità che attanagliano l’uomo moderno.
Ma chi era, in realtà, Alexis Carrel? La sua figura, soprattutto a causa dell’epilogo della sua esistenza, è da tempo privata di quell’alone d’immortalità riconosciuto ai vincitori del premio Nobel, permettendo così che le sue importanti scoperte non ricevano il giusto tributo dei posteri.
L’esistenza terrena di Alexis Carrel ebbe inizio il 28 giugno del 1873 a Sainte– Foy-lès-Lyon, nella regione francese del Rodano. Laureatosi in Medicina nel 1900, Carrel trascorse buona parte della sua esistenza negli Stati Uniti dove giunse nel 1904. Qui diede immediatamente mostra delle sue abilità di ricercatore presso l’Istituto di Fisiologia di Chicago, che gli aprirono le porte dell’Istituto di Ricerche mediche della fondazione Rockefeller di cui diresse, per oltre 34 anni, la divisione di chirurgia sperimentale. Nel 1912, grazie alla messa a punto di un’innovativa e raffinatissima tecnica di sutura dei vasi sanguigni e per i suoi studi sul trapianto di organi incentrati soprattutto sui reni, gli venne conferito, a soli 39 anni, il premio Nobel. Le sue ricerche, innovative nei contenuti, furono, inoltre, alla base dei primi trapianti di cuore effettuati sessant’anni dopo in Sud Africa. A questo premio si aggiunse il prestigioso premio Nordhoff-Jung, ricevuto per le sue ricerche nella lotta contro il cancro e per i suoi studi sulle cellule neoplastiche in vitro.
Negli anni trenta, oltre alla collaborazione con scienziati del calibro di Simon Flexner e Jacques Loeb, Carrel perfezionò il suo sodalizio con Charles Lindbergh, il primo trasvolatore atlantico, autore, peraltro, dell’ “Esprit de St. Louis”. Frutto del sodalizio con Lindbergh, successivamente posto sotto accusa dagli Usa per le simpatie nutrite nei confronti dell’Italia fascista e della Germania nazionalsocialista, fu nel 1935 un dispositivo in grado di funzionare come cuore e circolo sanguigno artificiale. Una scoperta questa, importantissima dal punto di vista scientifico, perché permise, per la prima volta, a medici e sperimentatori di usufruire della possibilità di mantenere in vita gli organi di uomini e animali, permettendone, per un limitato periodo di tempo, il funzionamento anche fuori dal corpo.
Oltre ai meriti in campo medico, ad Alexis Carrel va attribuito il nostro plauso anche per l’impegno in ambito ambientale; precursore dell’ecologismo, infatti, egli fu fra i primi a battersi veementemente contro lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, energetiche, paesaggistiche ed umane. Indagatore attento di fenomeni apparentemente inspiegabili, diede forma ad un testo dal titolo Medicine Ufficiali e medicine eretiche (pubblicato postumo in Italia nel 1950) precedendo, di oltre quarant’anni, le prime ricerche sensate in merito alle medicine alternative e i poteri extrasensoriali.
Il già citato L’homme, cet inconnu, pubblicato in Francia nel 1935, non è da considerarsi l’unico testo in cui lo scienziato pose sotto accusa la società moderna e i suoi dogmi. Fustigatore dell’umanitarismo astratto e filantropico, Alexis Carrel analizzò in molti altri testi le differenti cause dell’insoddisfazione umana, delle varie nevrosi e il malessere dell’uomo moderno. Da questo particolare stato di cose, Carrel si sforzò costantemente di fornirci una via d’uscita, la quale doveva portare, necessariamente, ad un rinnovamento totale dell’individuo. Obiettivo raggiungibile, secondo lo scienziato, solo attraverso un radicale cambiamento del sistema educativo e del sistema economico a cui doveva aggiungersi, inoltre, una netta rivalutazione del fattore religioso. In tutte le sue opere, infatti, Carrel non manca di sottolineare come le filosofie materialiste e positiviste, cercando di cancellare l’elemento religioso, siano le principali colpevoli della scomparsa di un elemento fondamentale dell’esistenza umana riducendo così l’uomo ad un mero fatto biologico. Per Carrel, infatti, l’uomo si è illuso che le scoperte scientifiche potessero risolvere tutti i suoi problemi, rimanendo così ferito nella sua componente spirituale. L’obiettivo, quindi, è di ristabilire la pienezza della personalità dell’entità umana che è stata standardizzata e indebolita dalla civiltà moderna.
L’uomo, per Carrel, deve cessare di assomigliare ad una macchina fabbricata in serie, ma deve sforzarsi di recuperare la sua unicità attraverso un’opera di ricostruzione della personalità che vada aldilà dei limiti rappresentati dalla scuola, dalla fabbrica e dall’officina.
Di ciò, secondo Carrel, deve farsi carico la società moderna che, invece di perseguire la strada dell’appiattimento e dell’uguaglianza provocando così l’infelicità degli uomini, deve indirizzarsi verso il giusto riconoscimento della personalità degli esseri umani accettando anche le diverse differenze esistenti fra essi.
La visione mistica e religiosa che Carrel aveva della vita (e che si ritrova, peraltro, espressa in due sue opere, La prière del 1944 e Viaggio a Lourdes. Frammenti di diario e meditazioni, pubblicato postumo nel 1949) era, però, destinata a scontrarsi, irrimediabilmente, con la classe dirigente statunitense che, forgiata dall’esperienza roosveltiana del New Deal, si apprestava a far la sua parte nella Seconda Guerra Mondiale che, conclusasi con la vittoria delle potenze alleate, avrebbe lentamente condotto il mondo verso un sistema di vita sempre più incentrato sulla dinamicità incontrollata e sull’esaltazione di fattori materiali ed economici da cui è derivato un pericoloso appannamento dei valori culturali ed esistenziali espressi nei secoli dalla cultura europea.
Di fronte ad un mondo che non era disposto ad accettare la sua visione, Carrel decise di rimanere coerente con se stesso; abbandonando la fondazione Rockefeller dalla quale aveva ricevuti onori e gloria e dove era costantemente circondato da amorevoli discepoli, decise di far ritorno, quasi come se fosse guidato da una sorta di dovere morale, nel 1939, in una Francia ormai travolta da una sconfitta che il blietzkrieg dei generali tedeschi aveva provocato e l’atteggiamento di politici imbelli e avventuristi avevano non poco propiziato.
Nella Francia di Vichy il suo valore ottenne, però, un ulteriore riconoscimento; il governo del maresciallo Petain, infatti, concesse, in uno dei periodi più bui della storia francese, allo scienziato di fama internazionale la direzione della Fondazione per lo studio delle Relazioni Umane, ponendo così Carrel nel solco di una trincea già occupata da individui del calibro di Brasillach e Pierre Drieu la Rochelle, oltre a Rebatet e a Louis Ferdinand Celine.
E come costoro, Alexis Carrel sembrava esser destinato a subire il processo che lo avrebbe condannato a morte in quanto collaborazionista.
Un’eventualità a cui sfuggì solo grazie al sopraggiungere della morte naturale, che lo colse a Parigi il 5 novembre del 1944 e che gli evitò di essere vittima di quel processo epurativo che colpì, con sommarie condanne a morte o “morti civili”, non solo migliaia di francesi, rei di aver seguito il maresciallo Petain, ma molte altre illustri personalità del tempo, come il premio Nobel svedese Knut Hamsun o il celebre poeta Ezra Pound, che regolari tribunali internazionali s’affrettarono a bollare quali individui affetti da pericolosa pazzia mentale, patologia che sembrava essere diretta emanazione delle loro opinioni politiche.