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Le minacce a Obama: abboccano solo i media italiani

di Paolo Maccioni - 16/11/2008







Per alcuni giorni l'informazione italiana ha riempito le sue prime pagine di un allarme basato sulla voce di un fantasma, Omar Abu al-Baghdadi. Un terrorista che i militari USA avevano già ammesso inesistente nel 2007. ««È stato utilizzato un attore iracheno per leggere le dichiarazioni attribuite a Baghdadi», riconobbero allora. Se qualcuno avesse fatto il suo mestiere, oggi non ci sarebbe stata nessuna base per tanta rinnovata isteria. Ma andiamo con ordine.
Il 7 novembre 2008 quasi tutti i giornali italiani davano grande rilevanza a un' allarmante notizia: “Al-Qaeda agli Usa: ora ritiratevi”, come titolava «La Stampa».
Sul «Corriere della Sera» il titolo era: “Al-Qaeda a Obama: convertitevi” .
Addirittura «il Giornale», house organ della famiglia Berlusconi , scrive: “Al-Qaeda minaccia Obama: converitevi e ritiratevi”.
E così pure, con toni più o meno analoghi, i serpentoni di Rainews24 del tg Sky ( “ Al-Qaeda minaccia Obama sul web ” ) e di tutti i Tg , tutti a credere al file audio del presunto Abu Omar al-Baghdadi.
Fa eccezione Toni Fontana, («l'Unità»): su al-Baghdadi ammette: «Nessuno lo ha mai visto, l'intelligence americana dubita addirittura della sua esistenza», senza ulteriori riscontri. Per il resto, la stampa italiana spara l'allarme.
A guardare invece i siti dei maggiori quotidiani statunitensi, e così i media britannici e i network internazionali, appare poco o nulla. Il «New York Times» solo l' 8 novembre pubblica un articolo che tuttavia ha un titolo ben diverso: “Jihadi Leader Says Radicals Share Obama Victory” , ossia “Un leader della jihad dice che gli integralisti partecipano alla vittoria di Obama”. Più correttamente scrive che si tratta di un leader della jihad, non di al-Qaeda come invece scrivono i nostri quotidiani.
È vero: Abu Omar al-Baghdadi in passato è figurato come leader del presunto “ Stato Islamico dell'Iraq ” che rivendica vicinanze alla non meglio precisata galassia al-Qaeda . Tuttavia la parola “al-Qaeda”, l'evocazione stregata che fa rabbrividire, compare sul «New York Times» solo nel testo, non nel titolo. E la minaccia riportata dai quotidiani nostrani semplicemente non c'è .
Venerdì 7 novembre il «Washington Post» diramava senza enfasi, in poche righe quasi irrintracciabili , un 'agenzia dal titolo : “Gli insorti a Obama: ritiratevi dall'Iraq”. Nel dispaccio si legge che Al-Baghdadi è il «sedicente leader del fronte al-Qaeda dello Stato Islamico dell'Iraq». L'agenzia poi, correttamente, spiega che a riferire tutto ciò è “il SITE Intelligence Group che monitora i siti islamici” (precisazione importante, ma che non compare sui media italiani).
Ora i meno sprovveduti, a differenza delle distratte truppe da desk delle nostre redazioni, sanno che significa SITE, il “gruppo di intelligence” che sa in anticipo le date di uscita e diffonde come trailers gli annunci di imminenti video e audio dei siti estremisti islamici. Il SITE , un'agenzia collegata anche ai siti del MEMRI, l'istituto che riempie le redazioni occidentali con la pappa pronta di traduzioni dai media mediorientali tese a mostrarli come un blocco fanatico, è profondamente condizionata da società legate ai servizi segreti statunitensi e israeliani.
Forse i media USA per disciplina attendono conferme indipendenti dell'autenticità dei proclami sui siti web diramati dal SITE, prima di sparare allarmi in prima pagina? Può darsi che a furia di inciampare sui facili sensazionalismi abbiano imparato a prendere certi comunicati con le molle.
Considerate dunque per un istante l'incredibile rivelazione del Luglio 2007 – fatta da un generale di brigata americano, Kevin Bergner, alla giornalista Tina Susman – su un terrorista iracheno impersonato da un attore: « Il presunto capo di un gruppo iracheno affiliato ad al-Qaeda, è stato dichiarato non-esistente da ufficiali USA. I quali hanno chiarito che si trattava di una persona immaginaria creata per dare una faccia irachena a una organizzazione terroristica straniera.» (T. Susman, “US says Iraqi rebel head is an invention”, «Los Angeles Times», 20 luglio 2007).
Avete letto bene. E si parlava proprio di Baghdadi. La dichiarazione sorprende, se si pensa che a marzo 2007 il cattivone era stato dichiarato catturato, mentre a maggio fu dichiarato ucciso, e il suo presunto cadavere venne perfino mostrato alla TV di Stato irachena. L'articolo proseguiva così: «È stato utilizzato un attore iracheno per leggere le dichiarazioni attribuite a Baghdadi, da ottobre indicato come il leader dello ‘Stato Islamico in Iraq', ha detto il generale di brigata dell'esercito USA Kevin Bergner. Bergner ha detto che la nuova informazione è venuta da un uomo catturato il 4 luglio, descritto come l'iracheno più alto in grado nello Stato Islamico in Iraq». Il livello di attendibilità delle rivendicazioni è dunque molto basso, mentre è elevatissimo il tasso di manipolazione. Fiction, più che politica. Teatro dell'assurdo, anziché informazione.
Un buon esercizio per misurare lo stato di salute della nostra informazione (purtroppo limitato solo a chi padroneggia l'inglese) può essere quello di confrontare l'articolo del «New York Times» con uno qualsiasi dei nostri, dal «Corriere» o dalla «Repubblica», per non dire de «Il Giornale». Provare per credere.
Se la minaccia fosse seria e da prima pagina, come appare al lettore italiano, com'è che non abbiamo registrato nessuna reazione da parte dell'amministrazione Usa, né di quella uscente, né di quella in via di insediamento ? Com'è che non c'è stata nessuna chiosa sui grandi media internazionali?
Misteri. Cosa hanno le nostre testate che manca a quelle americane? Perché questa evidente discrepanza fra noi e gli altri? Qual è, e come funziona la catena che fa sì che una notizia prenda una certa piega e si diffonda in modo quasi uniforme su tutte le testate? Forse, anzi senz'altro, la parola “al-Qaeda” nel titolo fa vendere copie, alza l'audience, moltiplica gli accessi alle pagine web. Ma allora il lettore è solo un consumatore? E in tal caso, quanto rispetto ha di lui chi fa informazione?
Domande interessanti, le cui risposte se soddisfacenti ci aiuterebbero a comprendere meglio non solo il pianeta ma anche come funziona il mondo malandato dell'informazione nel nostro Paese.
Incidenti redazionali di un giorno? Niente affatto, è proprio una tendenza, un modo di funzionare del giornalismo nostrano.
Il giorno dopo, la discrepanza fra i media italiani e il resto del pianeta è apparsa ancora più evidente . I nevitabile porsi domande, inevitabile che nascano dubbi e sospetti.
Il serpentone del TG Sky mette come terza notizia “Al-Qaeda prepara un attacco negli Usa più grande dell'11 settembre”, notizia comunicata pure dai Gr Rai e da tutti i T g pubblici e privat i , e sulle prime pagine di tutti o quasi i quotidiani. Su «la Repubblica» la notizia di apertura diventa un guazzabuglio gorgogliante in cui c'entrano anche l'Iran e lo Scudo Spaziale .
Ora , se una notizia così grave – e in effetti suon erebbe come tale - passa fra le più importanti news di tutti i media nostrani, com'è che quasi non se ne trova traccia nel resto del mondo? Come si fa a non chiederselo? Forse che all'estero sono più spensierati?
Mi sono affannato a ritrovarla pure su BBC World News, su Al Jazeera International, sulla CNN, sia sui canali satellitari che su Internet, sui vari media e network planetari. Niente. Niente sulle prime pagine del «Times» di Londra, del «New York Times», del «Washington Post». Com'è possibile che il «Washington Post» non si allarmi come i nostri media? Se è da prima pagina da noi, com'è che non è in prima pagina da loro, dato che li riguarda direttamente? Ma sopratutto come non ci si può fare domande del genere? Il lettore può non farsele, quanti sono coloro che vanno a leggersi « The Washington Post» online? Ma in una redazione, dato che vivono quasi incatenati al desk, non possono non confrontarsi, non accorgersi di essere gli unici sul pianeta a dare l'allarme! Sono forse gli unci svegli nel mondo?
La notizia che “Al-Qaeda prepara negli Usa un attentato peggiore dell'11/9”, titolo principale de « la Repubblica» online, è attinta da una fonte che ha parlato in forma anonima a un giornale yemenita , «al-Quds al-Arabi», in lingua araba ma pubblicato a Londra. «Il quotidiano diretto da Abdel Bari Atwan – si legge su repubblica.it - ha pubblicato oggi in prima pagina le rivelazioni di una persona definita “molto vicina alla direzione di Al-Qaeda nello Yemen”.»
Dunque una fonte anonima su un quotidiano in lingua araba di cui – si accettano scommesse – i redattori italioti non sanno niente . Chissà quante fonti anonime nel tempo avranno espresso minacce o imminenti attacchi qua e là nell'infinita galassia dell'editoria planetaria, del mondo arabo in particolare. Ma una cosa del genere può davvero essere schiaffata in prima pagina? No.
Una cosa è dire “Al-Qaeda prepara negli Usa un attentato peggiore dell'11/9”, al di là di tutte le ragionevoli perplessità sulla paternità esclusiva di Al-Qaeda dei famosi attentati. Ben altra cosa è dire che una non precisata fonte (pertanto chissà quanto attendibile) avrebbe detto ad un quotidiano quasi invisibile che Al-Qaeda prepara negli Usa un attentato peggiore dell'11/9. Per chi lavora questa fonte? Magari è genuina ma magari no, potrebbe pure essere qualcuno a cui conviene che nell'Occidente si rafforzi il terrore per al-Qaeda. In ogni caso, data la seconda ravvicinatissima discrepanza fra la dignità e il clamore concesso a notizie del genere in Italia e nel resto del mondo c'è da chiedersi: ma forse da noi esiste qualche agenzia, qualche apparato sotterraneo nelle agenzie o nelle redazioni che butta queste esche? Può darsi. Ma la ragione potrebbe essere più semplice, senza dover scomodare ipotesi di complotto: in tutte le redazioni ci sono gli “ eserciti del desk ” cui basta poco, forse abboccano all'amo pure senza esca. E, cosa ben più grave, capi di redazione e direttori che non emendano, che non sanno o non vogliono ponderare, verificare, confrontare . A loro interessa vendere, registrare ascolti. E con un senso di responsabilità basso, bassissimo. Pedine più o meno inconsapevoli di un gioco più grande di loro che vuol vendere la paura, merce buona per tutte le stagioni. Alla larga dalle edicole e dai canali televisivi italiani! Imparate l'inglese, guardate altri canali sul satellite e leggete quotidiani internazionali online. Verrete trattati da lettori, da cittadini, anziché da consumatori cui rifilare merce guasta.
Ed ecco la controprova. Serata di domenica 9 novembre 2008. Tutte le testate hanno ritirato da serpentoni e homepage la notizia, o quanto meno l'hanno di molto ridimensionata. Su repubblica.it si passa in poche ore dal titolo d'apertura della homepage al rango di notizia introvabile, scomparsa, senza più traccia.
Nondimeno , Sky persevera: il ‘‘Sondaggio del giorno'' – probabilmente affidato a una cornacchia - chiede: «Al-Qaeda minaccia nuovi attacchi agli Usa: secondo te è possibile un attentato più grave di quello dell'11/9?'».
Ma se i più titolati organi d'informazione nazionale ritirano la notizia significa che hanno ritenuto non meritasse l'enfasi che le avevano dato in precedenza, altrimenti perché ritirarla, data la sua gravità ? Ergo - aristotelicamente - ammettono indirettamente l'errore di valutazione, dunque, perché non si scusano con lo spettatore-lettore-internauta?
Ma soprattutto: che diavolo succede allo spettatore-lettore-internauta italiano che non si fa queste domande, non esige queste scuse e domani è pronto a sorbirsi una nuova bolla di sapone? Se non cambia l'atteggiamento dell'utente, perché mai chi vende merce di seconda scelta dovrebbe smettere di farlo?