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Il cervello cura se stesso

di Norman Doidge - 03/12/2008

Fonte: repubblica

 

NEUROSCIENZA I neuroni sono capaci di rinnovarsi. Sempre. Per adattarsi a nuove modalità di funzionamento. Una vera rivoluzione per capire fin dove possono arrivare le nostre potenzialità

di Norman Doidge
Il cervello umano è in grado di modificare se stesso: è questa la scoperta rivoluzionaria di cui tratta il mio libro, Il cervello infinito (ed. Ponte alle Grazie). Una tesi avvalorata dalle testimonianze di scienziati, medici e pazienti che insieme sono riusciti a produrre queste straordinarie trasformazioni: senza ricorrere a trattamenti chirurgici o farmacologici, si sono semplicemente affidati alla capacità finora sconosciuta del cervello di modificarsi. In alcuni casi si trattava di pazienti con problemi neurologici ritenuti incurabili, in altri di persone che non mostravano difficoltà specifiche ma che desideravano semplicemente migliorare il loro funzionamento cerebrale o preservarlo nel corso dell'invecchiamento. Per quattrocento anni una simile impresa è stata considerata inconcepibile: la medicina ufficiale e la scienza sostenevano la convinzione che l'anatomia del cervello fosse immutabile. Era opinione comune che, dopo l'infanzia, il cervello sarebbe andato incontro solamente ai cambiamenti dovuti a un lungo processo di deterioramento, e che non sarebbe stato possibile sostituire le cellule cerebrali quando queste non si fossero sviluppate in modo appropriato, si fossero deteriorate o fossero morte. Si riteneva anche che il cervello non avrebbe potuto alterare la propria struttura e individuare una nuova modalità di funzionamento nel caso in cui una sua parte fosse danneggiata. La teoria di un cervello immutabile decretava che le persone nate con problemi neurologici o mentali, o che avessero subito danni cerebrali, sarebbero rimaste invalide o menomate per tutta la vita. Nella nostra cultura si è radicato e quindi diffuso una sorta di nichilismo neurologico - l'impressione cioè che il trattamento di molti problemi cerebrali sia inefficace o persino privo di alcun fondamento - che impedisce anche alla nostra visione della natura umana di evolversi. Dal momento che il cervello non può cambiare, così anche la natura umana, che ha la propria origine dalla mente, sembrava altrettanto inalterabile. La convinzione secondo cui il cervello non sarebbe stato in grado di modificarsi si basava su tre capisaldi: il fatto che i pazienti con danni cerebrali raramente vanno incontro a una guarigione completa; l'impossibilità di osservare a livello microscopico le attività del cervello in vivo; e infine l'idea secondo cui il cervello è simile a una macchina stupefacente. E se da una parte le macchine fanno cose straordinarie, dall'altra non possono cambiare e crescere. Iniziai a interessarmi all'idea di un cervello che si evolve a causa del mio lavoro di ricercatore in ambito psichiatrico e psicoanalitico. Quando i pazienti non vedevano i progressi psicologici sperati, spesso la spiegazione medica convenzionale era che i loro problemi erano "cablati" in un cervello immutabile. Il "cablaggio" era un'altra metafora che avvicinava il cervello alle macchine, in particolare all'hardware di un computer, con circuiti connessi in modo permanente, ciascuno progettato per svolgere una funzione specifica e immodificabile. Quando seppi per la prima volta che il cervello poteva non essere cablato, non potei fare a meno di condurre personalmente delle ricerche e di valutare le evidenze empiriche. Così intrapresi diversi viaggi, durante i quali conobbi un gruppo di brillanti scienziati che erano giunti a una serie di scoperte inaspettate. Questi ricercatori mostrarono che il cervello modifica la propria struttura, a livello di ciascuna funzionalità specifica, perfezionando i propri circuiti in modo da adattarli più efficacemente al compito da svolgere di volta in volta. Se alcune "componenti" subivano un danno, in determinate circostanze altre avrebbero potuto sostituirle. La metafora della macchina, che vedeva nel cervello un organo dotato di componenti specializzate, non avrebbe potuto spiegare fino in fondo i cambiamenti che gli scienzati stavano osservando. Per indicare questa proprietà fondamentale del cervello si introdusse il termine di "neuroplasticità". Neuro sta per neuroni, le cellule che compongono il cervello e il sistema nervoso umano. Plastico sta per modificabile, flessibile, mutevole. All'inizio molti scienziati non osavano utilizzare il termine "neuroplasticità" nelle loro pubblicazioni, e il fatto che sostenessero una nozione tanto fantasiosa non era visto di buon occhio dai loro colleghi. Nonostante ciò quei ricercatori non desistettero e ottennero un graduale capovolgimento della dottrina del cervello immutabile. Mostrarono che i bambini non sempre sono legati alle abilità mentali di cui dispongono fin dalla nascita; che un cervello danneggiato spesso può riorganizzarsi in modo che, quando una parte smette di funzionare, un'altra la sostituisce; che talvolta, quando muoiono, le cellule cerebrali possono essere sostituite; che molti "circuiti", e persino riflessi fondamentali che pensiamo siano "cablati", non lo sono affatto. Uno di quei ricercatori arrivò a mostrare che il pensiero, l'apprendimento e l'azione possono "attivare" o "disattivare" i geni, modellando così l'anatomia cerebrale e il nostro comportamento. Nel corso dei miei viaggi ho incontrato uno scienziato che permetteva a persone non vedenti dalla nascita di iniziare a vedere; ho parlato con pazienti, dichiarati incurabili dopo aver subito un ictus decine di anni prima, che sono stati aiutati a guarire con trattamenti neuroplastici; ho conosciuto persone che hanno superato disturbi dell'apprendimento e che hanno migliorato il proprio QI (quoziente d'intelligenza); ho raccolto evidenze secondo cui a ottant'anni è possibile rendere più vivace la memoria in modo che funzioni come a cinquantacinque. Ho visto pazienti "ricablare" il loro cervello attraverso i pensieri, per risolvere traumi e ossessioni in precedenza considerati insuperabili. Ho discusso appassionatamente con dei premi Nobel su come dovremmo ripensare il nostro paradigma neurologico alla luce dell'evidenza che il cervello è in continua trasformazione. L'idea che il cervello possa modificare la propria struttura e le proprie funzioni attraverso il pensiero e l'attività è, credo, il cambiamento di prospettiva più importante da quando abbiamo iniziato a tratteggiarne l'anatomia e il funzionamento della sua unità di base, il neurone. Come tutte le rivoluzioni, anche questa avrà profonde ripercussioni, e il libro che state leggendo, come spero, contribuirà a mostrarne alcune. La rivoluzione neuroplastica gioca un ruolo importante nella comprensione di come l'amore, il sesso, il dolore, le relazioni, l'apprendimento, le dipendenze, la cultura, la tecnologia e le psicoterapie modificano il cervello umano. Nella misura in cui affrontano il tema della natura umana, sono coinvolte le discipline umanistiche, le scienze sociali e quelle empiriche, così come ogni forma di apprendimento. Tutte queste discipline dovranno tenere conto del fatto che il cervello modifica se stesso e che l'architettura cerebrale differisce da un individuo all'altro e si modifica nel corso della vita. D'altra parte la nozione di neuroplasticità presenta dei risvolti negativi, dato che presenta il cervello non solo come più ricco di risorse, ma anche maggiormente vulnerabile alle influenze esterne. È un fenomeno che chiamo "paradosso plastico". Ironicamente, alcuni dei nostri disturbi e delle nostre abitudini più radicate sono una conseguenza di tale plasticità. Una volta che un particolare cambiamento plastico si verifica, può impedire che accadano altri cambiamenti. È attraverso la comprensione degli effetti positivi e negativi della neuroplasticità che possiamo capire fin dove si estendano le possibilità umane. (Il cervello infinito. Storie di conquiste personali alle frontiere della neuroscienza © 2007 Norman Doidge, pubblicato da Ponte alle Grazie. Traduzione di Francesco Zago)

Cheryl in equilibrio Cheryl Schiltz ha la costante sensazione di cadere. E poiché le sembra di cadere, cade. Il suo corpo inizia a vacillare avanti e indietro, come se stesse camminando su una fune e ondeggiasse freneticamente prima di perdere l'equilibrio: con la differenza che i piedi di Cheryl sono ben piantati sul terreno, a una certa distanza l'uno dall'altro. Non sembra abbia semplicemente paura di cadere, piuttosto ha la sensazione di essere spinta. "È come se stesse per cadere da un ponte", le dico. "Sì, è come se fossi sul punto di saltare, anche se non ne ho nessuna intenzione". Il problema di Cheryl risiede nel fatto che il suo apparato vestibolare, l'organo sensoriale che garantisce il nostro equilibrio, non funziona come dovrebbe. È esausta, e la costante sensazione di cadere la sta facendo impazzire, perché non può pensare ad altro. Ha paura per il proprio futuro. Poco dopo l'insorgere del problema, Cheryl ha perso il suo lavoro di rappresentante di commercio internazionale e ora vive con un assegno d'invalidità di mille dollari al mese. Ha scoperto la paura di invecchiare. E una rara forma di ansia. Un aspetto sottinteso, ma non per questo meno profondo, del nostro benessere, consiste nell'avere un senso dell'equilibrio ben funzionante. Secondo gli standard convenzionali, il caso di Cheryl è senza speranza. È opinione comune che il cervello sia costituito da una serie di moduli specializzati, geneticamente "cablati" per svolgere ed elaborare in modo esclusivo alcune funzioni specifiche. Ogni modulo si è sviluppato e perfezionato nel corso di un'evoluzione durata milioni di anni. Ora che il suo modulo vestibolare è compromesso, le possibilità che ha di recuperare il senso dell'equilibrio sono pari a quelle che una persona con un danno alla retina ha di tornare a vedere. Ma oggi questo punto di vista sta per essere messo in discussione. Nonostante non riesca a seguire con lo sguardo gli oggetti in movimento, la vista è l'unico mezzo che lei ha a disposizione per capire se è o meno in posizione eretta. Fissando delle linee orizzontali, gli occhi ci aiutano a conoscere la nostra posizione nello spazio. Al buio Cheryl cade subito a terra. La vista, tuttavia, si dimostra un supporto inaffidabile, dal momento che qualunque movimento di fronte a lei, anche una persona che va nella sua direzione, accresce la sensazione di cadere. Cheryl chiude gli occhi. Si stacca dal tavolo, tenendovi solo due dita per mantenere il contatto. Non cade, malgrado non abbia la minima indicazione di cosa stia accadendo intorno a lei. Solleva le dita dal tavolo. Non sta ancora barcollando. Scoppia a piangere, le lacrime che scorrono dopo un trauma, ora può dire di sentirsi sicura: "Mi sento stabile, solida. Non devo pensare a dove si trovano i miei muscoli. Ed è la prima volta in cinque anni".
  

 

Norman Doidge, psichiatra, poeta, giornalista vincitore di prestigiosi premi, è ricercatore in psichiatria e psicoanalisi per il Columbia University Psychoanalytic Center di New York e la University of Toronto. Ha presentato i risultati delle sue ricerche alla Casa Bianca.

  
Libri dell'autore
  
Il Cervello Infinito Norman Doidge
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Alle frontiere della neuroscienza: storie di persone che hanno cambiato il proprio cervello
 
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