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Contro l'Illuminismo

di Stefano Di Ludovico - 07/01/2009

recensione di Zeev Sternhell, Contro l'Illuminismo.Dal XVIII secolo alla guerra fredda, Baldini Castoldi Dalai, 2007, p.655.
Apprezzato e al tempo stesso discusso soprattutto per le innovative linee interpretative con cui ha affrontato lo studio dell’ideologia fascista – in opere fondamentali quali Nascita dell’ideologia fascista, La Destra rivoluzionaria e Né destra né sinistra – Zeev Sternhell, storico dell’Università ebraica di Gerusalemme, in questa sua ultima opera, Contro l’Illuminismo, ci presenta un vasto affresco del pensiero antilluminista così come si è sviluppato in Occidente a partire dai suoi esordi settecenteschi fino al secolo XX appena trascorso. L’opera, così, riprende per molti versi il filone d’indagine già avviato nei precedenti lavori, allargando l’orizzonte all’intero movimento di idee affermatosi in parallelo all’avvento della modernità e dei suoi valori proprio per contrastarne l’avanzata, e confermando quell’originalità di impostazione e di ricerca che aveva caratterizzato già gli studi sull’ideologia fascista, avvicinando il lettore a linee di pensiero, problematiche ed autori solitamente poco indagati o comunque analizzati con un’ottica non sempre scevra da pregiudizi e distorsioni ideologiche.Contro l’Illuminismo vuole essere, innanzi tutto, come le precedenti e come sottolinea lo stesso Sternhell nell’opera, una “storia delle idee”, un percorso attraverso la storia e l’evoluzione di un filone di pensiero che, al di là delle variegate articolazioni che rivela inevitabilmente al suo interno, presenta indubbiamente una coerenza e un’omogeneità che ci permettono di identificarlo e connotarlo con precisione, proprio come il suo avversario dichiarato, l’Illuminismo. Perché accanto alla storia di quest’ultimo, anch’essa ricca di sfaccettature e correnti varie e diversificate ma indubbiamente legata ad una visione di fondo comune dell’uomo e del mondo, vi è appunto un’altra storia, spesso dimenticata o poco approfondita, quella dell’antilluminismo, che quale contraltare di quella accompagna essa stessa tutta la modernità. Quella dell’antilluminismo è una storia parallela, che quasi come un’ombra segue quella dei Lumi fin dagli albori di questi nel panorama della cultura europea, e che affonda le radici già nella nascita delle correnti di pensiero anticartesiane del XVII secolo, quindi ben prima che i Lumi celebrassero i propri fasti con i philosophes del Settecento e da ultimo con la Rivoluzione francese. Accanto così al pensiero ed alla filosofia del rischiaramento apportato dalla ragione, dell’emancipazione dell’individuo, dell’uguaglianza e dei diritti dell’uomo, si affermano fin da subito un pensiero ed una filosofia che valorizzano invece la forza della tradizione, i vincoli comunitari, la diseguaglianze e le gerarchie naturali che reggono la società. Contro l’intelletto raziocinante e calcolatore, si rivendica l’importanza degli istinti e delle forze irrazionali che governano l’uomo nella sua azione; contro l’universalismo astratto e il cosmopolitismo, si esaltano la concretezza del dato storico e il particolarismo etnico e linguistico. Si tratta di visioni alternative, inconciliabili, che fin dall’inizio preannunciano uno scontro - non solo culturale, ma destinato a scendere nell’agone della lotta politica e sociale - senza esclusione di colpi. Ma sarebbe errato vedere in tale scontro – e qui sta il contributo più originale di Sternhell – uno scontato quanto inevitabile conflitto tra “modernità” e “antimodernità”, tra forze rivoluzionarie volte al cambiamento ed alla trasformazione del mondo e forze conservatrici interessate allo status quo, tra “rivoluzione” e “reazione”. Sternhell evidenzia invece come “la rivolta contro i Lumi non rappresentò una controrivoluzione, ma un’altra rivoluzione; in questo modo non nacque tanto una contromodernità quanto piuttosto un’altra modernità” (p.22), che della prima si considerava alternativa propugnando altri valori e un diverso modello di società. E di questa “altra modernità” che si occupa quindi Sternhell, il cui conflitto con quella illuminista costituirà per molti aspetti il filo rosso della storia occidentale, dalle rivoluzioni moderne fino agli immani conflitti mondiali del Novecento, caratterizzandosi, com’era nella consapevolezza dei suoi stessi protagonisti, come un vero e proprio “scontro di civiltà”. Una "storia delle idee", abbiamo detto. Ma di idee - sottolinea con forza Sternhell - che non intendono limitarsi a comprendere il mondo, ma vogliono cambiarlo. Proprio come l'Illuminismo, unitamente ad uno dei suoi principali eredi, il Marxismo, si propone di innovare il pensiero per trasformare la società, anche gli antilluministi non intendono certo limitarsi ad una battaglia puramente ideale, ma vogliono incidere sulla realtà politico-sociale e cambiare il corso della storia. Se così l'intellettuale illuminista si identifica innanzi tutto con il philosophe, coinvolto nelle vicende politiche del proprio tempo e spesso al servizio diretto di principi e sovrani, quello antilluminista assume consapevolmente l'epiteto di anti-philosophe, anch'egli convinto che al pensiero debba poi seguire l'azione: anch'egli è dunque un intellettuale "impegnato". Proprio questa peculiare lettura della corrente di pensiero oggetto dell'opera determina la scelta degli autori presi in esame da Sternhell. Chi si aspettasse, anche a partire dal titolo stesso del libro, l'analisi di pensatori quali De Maistre e Bonald, o ancora come Guénon ed Evola, rimarrebbe deluso. Una filosofia che vuole affermare un'altra modernità e sappia trasformare il pensiero in azione non può identificarsi con pensatori rivolti ad un passato irrimediabilmente perduto, con i reazionari codini o i nostalgici dell'Ancient Régime. Tutt'al più il passato e la storia possono valere come "miti mobilitanti", come "idee forza" per plasmare una nuova coscienza rivoluzionaria e innescare l’azione per l’edificazione di una nuova società. Sternhell così rivolge la sua attenzione ad autori che si caratterizzano, oltre che per una visione sostanzialmente comune dei mali che affliggono la modernità e dei rimedi proposti per il loro superamento, innanzi tutto per l’evolvere ed il maturare le proprie idee a stretto contatto con gli eventi politico-sociali del loro tempo e per il loro appello all’azione; azione che li vede spesso protagonisti in prima persona, assumendo molti di loro anche cariche politiche o istituzionali. Se il fine è soprattutto la trasformazione del mondo, e se ciò presuppone, inevitabilmente, lo sfidare l’avversario sul suo stesso terreno e con le sue stesse armi, l’intellettuale antilluminista è anche, per Sternhell, un intellettuale “ambiguo”, oggi potremmo dire borderline, ovvero che presenta un profilo umano e culturale non delineabile con nettezza, al contrario dell’intellettuale tradizionalista a tutto tondo alla De Maistre, che in nulla si riconosce e nulla ha da condividere con il proprio tempo. L’intellettuale antilluminista ha deciso invece di incidere sulla realtà, vivendo e sperimentando le sue ambiguità e contraddizioni; ambiguità e contraddizioni che spesso finiscono per contaminare il suo stesso pensiero e la sua stessa prassi, difficilmente collocabili, così, all’interno delle canoniche categorie politico-culturali. A sintetizzare più di ogni altro l’insieme di tali caratteristiche, è proprio il personaggio che Sternhell vede come il padre fondatore dell’ideologia antilluminista, Edmond Burke, all’analisi del cui pensiero è dedicata ampia parte dei primi capitoli dell’opera. Se una storiografica consolidata ha visto nell’autore delle celebri Riflessioni sulla Rivoluzione francese il rappresentante di quel liberalismo moderato e conservatore che ha inteso porsi come argine agli eccessi democratico-giacobini della rivoluzione, collocando così l’autore inglese pur sempre nell’alveo della tradizione illuminista, Sternhell evidenzia come invece il pensiero di Burke, ad un’analisi più attenta, si riveli essere uno dei più decisi attacchi che a tale tradizione si siano mai sferrati. Attacco che non deve aspettare la presa della Bastiglia, sferrandosi già prima, e in modo oltremodo violento, contro i “responsabili morali” dell’evento rivoluzionario, ovvero i philosophes francesi e la loro ideologia individualista, razionalista ed universalista di cui il pensiero di Burke, con l’esaltazione della tradizione, dello spirito comunitario e del relativismo storico, rappresenta l’irriducibile antitesi. Con lo scoppio della Rivoluzione, dalla lotta culturale, che pone Burke a fianco dei romantici tedeschi – in primis Herder, l’altro autore a cui Sternhell dedica ampio spazio nella prima parte dell’opera – si passa a quella politica, dal pensiero all’azione. L’importanza di Burke nella storia della cultura antilluminista sta soprattutto in ciò: se Herder e i romantici tedeschi restano fermi al piano della critica filosofica, Burke, navigato uomo politico nonché parlamentare in carica, chiama gli inglesi e l’Europa intera alla mobilitazione politica e militare: contro la rivoluzione e la sua esportazione, le forze antirivoluzionarie devono organizzarsi per dar vita ad un’azione uguale e contraria, che sappia fronteggiare i rivoluzionari sia sul piano interno che su quello internazionale. In tal modo, secondo Sternhell, Burke inaugura quella tradizione rivoluzionaria antilluminista che, iniziata appunto nel Settecento e sviluppatasi poi nel corso del XIX secolo in opposizione all’ulteriore avanzata della modernità, troverà il suo sbocco più conseguente nella nascita della destra rivoluzionaria e nazionalista a cavallo tra Ottocento e Novecento, per arrivare ai teorici tedeschi della “rivoluzione conservatrice” ai tempi della Repubblica di Weimar fino all’affermarsi dell’ideologia fascista in Europa negli anni trenta. Più nello specifico, Burke, proprio per la sua posizione più sfumata ed ambigua rispetto a quella dei reazionari o dei tradizionalisti intransigenti, getta le basi di un liberalismo che, ponendosi in antitesi più che in continuità con il liberalismo classico che individua piuttosto in Locke, Constant e Mill i suoi numi tutelari, trova i suoi eredi più conseguenti in certe correnti del neoconservatorismo anglo-americano del periodo della Guerra Fredda sino a quelle dei nostri giorni; correnti che per molti aspetti vanno ad incrociarsi trasversalmente più con l’ideologia comunitarista che con quella liberale, e che Sternhell analizza nei capitoli finali dell’opera.La posizione ambivalente non è prerogativa solo di un intellettuale impegnato quale è Burke, ma caratterizza anche il pensiero di Herder, che nella sua battaglia antilluminista sembra rimanere su posizioni più defilate rispetto alla lotta politica contingente. Da molti interpreti considerato il teorico di una filosofia della storia di matrice cristiana che vede nell’articolarsi del processo storico la progressiva affermazione di una ragione universale, per Sternhell Herder è soprattutto l’esaltatore del particolarismo etnico e linguistico contro ogni visione cosmopolita della storia, nonché il cantore della superiorità della nazione tedesca a cui spetta riscattare l’umanità dalla degenerazione rappresentata dalla cultura illuminista di matrice francese. Ma come nel caso di Burke, le oscillazioni e le contraddizioni rappresentano, più che un limite, la forza del pensiero di Herder, proprio nella sua capacità di indicare un’alternativa all’avanzare della ragione illuminista che sappia al tempo stesso calarsi nella concretezza del processo storico in atto. Non è un caso, evidenzia Sternhell, che sarà proprio il richiamo alla lezione di Herder - più che a quella di altri esponenti del romanticismo tedesco a lui contemporanei prigionieri dei loro sogni di restaurazione medievaleggiante - a rappresentare una costante del pensiero antilluminista dei secoli successivi, a partire dalle correnti storiciste tedesche tra il XIX ed il XX secolo fino al su citato pensiero neoconservatore anglo-americano del secondo Novecento. Così come non casuale è il richiamo al pensiero di Vico, affiancato spesso ad Herder dagli esponenti di tali correnti: difficilmente classificabile all’interno delle tradizionali scuole di pensiero, il filosofo napoletano, riscoperto fuori dall’Italia solo a cominciare dall’Ottocento, è da Sternhell considerato il vero “il pioniere della cultura antilluminista” (p.13). Dopo l’apparente rifluire dell’ondata rivoluzionaria negli anni della Restaurazione, a partire soprattutto dalla seconda metà dell’Ottocento la “sovversione” illuminista sembra riprendere inesorabile il suo cammino: lo sviluppo industriale e il conseguente esplodere della questione sociale, il 1848 in Francia, la sconfitta di quest’ultima contro la Prussia nel 1870, la Comune di Parigi, sono le tappe più significative di tale cammino. La seconda fase del pensiero antilluminista si forma a stretto contatto con questi eventi. I principali autori presi in esame da Sternhell – Taine, Renan, Carlyle – sono soprattutto storici delle idee e critici della cultura, le cui opere, a ben guardare, più che disincantate ricostruzioni dell’evoluzione dello spirito umano, rappresentano un’aspra denuncia della crisi della civiltà intervenuta con l’avvento del mondo moderno, crisi la cui soluzione viene individuata, come già nei loro predecessori Burke ed Herder, nel superamento e nello sradicamento delle idee illuministe. Con Taine, Renan e Carlyle il distacco dai residui liberali e universalistici che ancora potevano trovarsi in Burke e in Herder si fa definitivo: la denuncia dei mali del mondo moderno è la denuncia soprattutto degli ideali democratici ed egalitari la cui affermazione non sembra trovare ostacoli; ideali ai quali i tre autori contrappongono una lettura delle dinamiche storico-sociali imperniata su fondamenti decisamente aristocratici ed elitistici. La critica della società moderna diventa innanzi tutto critica della società di massa, nell’avvento della quale questi autori vedono messa in pericolo la possibilità stessa della civiltà.In tal modo il loro pensiero si riallaccia alla riflessione sulla décandence che in quegli stessi anni sta portando avanti Nietzsche: il filosofo tedesco viene da Sternhell definito addirittura “il più grande nemico che il pensiero illuminista abbia mai conosciuto” (p.507), a cui probabilmente si deve il conio dello stesso termine “antilluminismo”. Sternhell però non si sofferma più di tanto nella disamina del suo pensiero, e i motivi sono quelli già sopra riferiti: “aristocratico del pensiero – sottolinea Sternhell - Nietzsche non scende in piazza” (p.507), e sebbene dopo la sua morte la sua influenza sarà determinante per lo sviluppo delle correnti di pensiero antilluministe d’inizio Novecento, in questo momento sono gli intellettuali che maturano le loro idee a stretto contatto con gli eventi del proprio tempo ad indicare la via per un argine e un’alternativa concreta al dilagare della modernità. Tra questi eventi spiccano su tutti la guerra franco-prussiana e la conseguente rivolta comunarda: per Taine come per Renan le ragioni della disfatta della Francia vanno cercate proprio nella decadenza in cui è precipitato il paese a partire dall’abbraccio mortale con le idee illuministe, contro una Prussia che dalla malsana influenza di queste è riuscita ancora a tenersi immune. Come già ai tempi delle guerre napoleoniche, lo scontro tra Francia e Germania è innanzi tutto uno scontro di civiltà, che si ripete nel 1870 e si ripeterà poi, con le due guerre mondiali, nel Novecento, segnando una costante della storia europea. I due paesi assurgono quindi a modelli e portabandiera di due diverse concezioni del mondo e della società: da una parte la Francia della Zivilisation, dall’altra la Germania della Kultur, l’esito del cui scontro deciderà non solo e non tanto il destino dei due paesi, ma quello dell’intera Europa e della civiltà in genere. Visto così il significato universale che il conflitto franco-tedesco va ad assumere, come per i futuri “collaborazionisti” francesi di Vichy, le simpatie dei francesi Taine e Renan vanno alla Germania, al “nemico” la cui vittoria si spera possa contribuire a raddrizzare le sorti anche della propria patria.Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo nuovo, assistiamo per Sternhell alla nascita e allo sviluppo della terza fase del pensiero antilluminista. Con l’avvento della società di massa ed una conflittualità politica che sembra dilaniare sempre più il tessuto sociale dei paesi europei, gli intellettuali antilluministi abbandonano ogni remora, decisi a partecipare in prima persona allo scontro in atto. L’elitismo che continuano a professare deve sapersi legare all’appello alle masse e alla mobilitazione sociale e anche l’ideologia antilluminista, come quella liberale o marxista, deve farsi “partito”. I tempi sembrano maturi soprattutto in Francia: Barrès, Sorel, Maurras sono tra i più influenti ed innovativi protagonisti della vita politica francese; ma anche intellettuali come Meinecke e Spengler in Germania, o Croce e Gentile in Italia, non disdegnano il coinvolgimento diretto nella vicende politiche dei loro rispettivi paesi. Per la prima volta in modo così esplicito, questi intellettuali, pur tenendo ferme le proprie posizioni ideologiche - posizioni la cui continuità con quelle del passato Sternhell non si stanca di rimarcare continuamente – si aprono alla questione sociale e cercano di guadagnare anche le classi popolari alla loro causa, strappandole alle influenze delle forze democratiche e socialiste. Nasce così quel connubio tra idee nazionaliste e socialiste che porterà, di lì a pochi anni, alla nascita dell’ideologia fascista, secondo quanto Sternhell ha già illustrato nelle sue precedenti opere, e che vede il principale laboratorio di incubazione proprio nella Francia d’inizio Novecento. Avendo dedicato già lavori specifici alla ricostruzione di tali esperienze storiche, soprattutto per quel che attiene alla Francia – lavori a cui Sternhell esplicitamente rimanda -, la parte dell’opera dedicata a tali sviluppi dell’ideologia antilluminista risulta meno approfondita ed articolata rispetto alle precedenti. Sternhell si sofferma in particolare sugli esponenti dello storicismo tedesco ed italiano, eredi principali della filosofia della storia di matrice, rispettivamente, herderiana e vichiana. Inaspettato potrebbe apparire, in tale contesto, lo spazio dedicato a Croce (mentre Gentile è citato solo en passant), di cui viene sottolineata la radicale estraneità alla cultura ed ai valori della tradizione illuministica, estraneità che per Sternhell sarebbe alla base dell’atteggiamento tiepido – e all’inizio di esplicito appoggio - tenuto da Croce verso il fascismo mussoliniano. Secondo Sternhell per Croce vale ciò che già si è evidenziato per Burke o per altri esponenti della cultura antilluministica: il suo presunto liberalismo, lungi dal rappresentare una variante conservatrice o moderata di tale tradizione filosofico-politica, finisce per costituirne, proprio per i suoi presupposti antilluministici, l’esatta antitesi, nonostante i tentativi fatti nel dopoguerra dal filosofo italiano di minimizzare – la nota “parentesi” - il significato del regime fascista nell’ambito della storia italiana. Come accennato, il libro di Sternhell si chiude dedicando l’ultima parte ad un rapido profilo di alcuni esponenti del neoconservatorismo anglo-americano del dopoguerra – particolare risalto viene data alla figura di Isaac Berlin –, nei quali la critica all’Illuminismo si lega alla lotta contro il comunismo sovietico, il cui carattere totalitario viene ricollegato al Terrore giacobino e, attraverso questo, al pensiero rousseauiano. Non mancano accenni anche ad ideologi neocon statunitensi dei nostri giorni – come Irving Kristol e Gertrude Himmelfarb – il cui rigido ancoraggio ad una visione in ultima analisi religiosa, etica e patriottica dello Stato, lasciandosi completamente alle spalle l’eredità laica ed individualistica del liberalismo classico, sembra riecheggiare ancora una volta la lezione di Burke ed Herder, a riprova della continuità, della costante e dell’attualità che la cultura antilluminista rappresenta nella storia dell’Occidente, nella sua non ancora esaurita capacità di saper porre “un’alternativa globale alla visione del mondo, dell’uomo e della società create dal XVIII secolo” (p.13).