Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Trattato di ateologia: recensione

Trattato di ateologia: recensione

di Claudio Ughetto - 23/02/2006

Fonte: Claudio Ughetto

 

 

Michel Onfray, Trattato di ateologia, Fazi Editore, settembre 2005.

 

Curioso che Michel Onfray, nella sua critica radicale al “relativismo”, finisca per trovare piena assonanza con l’avversario Papa Benedetto XVI.

Nel suo vendutissimo1 “Trattato di ateologia” egli scrive: “Questo relativismo è dannoso. Ormai, col pretesto della laicità, tutti i discorsi si equivalgono: l’errore e la verità, il vero e il falso, il serio e lo stravagante. Ma non è affatto vero che i discorsi si equivalgono: quelli della nevrosi, dell’isteria e del misticismo appartengono a un mondo diverso da quello del positivismo”. Tralasciando i giudizi di valore, poiché esistono scienziati positivisti nevrotici e dei mistici di estrema lucidità, la constatazione in sé è persino ovvia: alcune convinzioni escludono delle altre. Come insegna Lévi-Strauss: ci sono culture che sono destinate a non piacersi reciprocamente, e nessuna è costretta a farsi piacere l’altra,  sebbene si debba evitare la tentazione di distruggerla nella convinzione d’avere ragione o per far prevalere quella che si considera Verità. Di questi tempi, in cui la democrazia è diventata un “valore” da esportare con la forza, non è male ricordarlo. Tuttavia c’è da chiedersi se Onfray, come molti intellettuali odierni, progressisti o no, conosce il vero significato della parola “relativismo”, poiché essa sembra ormai fraintesa da destra come da sinistra2.

Nello stesso modo, sebbene con intenti opposti, nella prima settimana di dicembre 2005, Papa Ratzinger diceva che il relativismo va annoverato tra i nemici principali della libertà religiosa. C’è da chiedersi in base a quali “amici” Ratzinger ritiene di poter esercitare il suo magistero, se è davvero convinto che la libertà degli esponenti d’altre fedi abbia lo stesso valore di quella dei cattolici che egli rappresenta, visto che non sempre la Chiesa l’ha rispettata, pretendendo l’adesione forzata in nome del suo “universalismo”. Per dirla con Simone Weil, quando il Cristo ha detto : “Insegnate a tutte le nazioni e portate loro l’annuncio”, ordinava di portare un annuncio, non una teologia”3.

Piaccia o meno, anche frainteso, questo tanto vituperato relativismo sembra garantire la libertà a chi lo ritiene un nemico, fornendo terreno d’incontro a coloro che si fronteggiano da parte laica o religiosa. A colpire è l’esclusivismo dell’ateo e del Pontefice, sebbene il primo appaia più coerente, in quanto si propone il superamento di ogni religione4, identificando e raggruppando i nemici senza sovrapporre la propria visione monoculare alle opportunità che proprio il relativismo dà a tutte le fedi. Ratzinger dovrebbe semmai considerare il relativismo come un territorio che ancora gli permette d’esprimersi, insieme ai cristiani protestanti, i Testimoni di Geova, gli ebrei e gli islamici. Poiché, anche seguendolo nel fraintendimento di un concetto derivato dall’antropologia, egli sarebbe più coerente col proprio punto di vista affermando che il relativismo non è nemico della “libertà” ma della “Verità” com’è intesa dai monoteismi. Eppure questo fine intellettuale e teologo sembra non accorgersene, forse perché pensa di potersi esprimere per tutti gli altri.

Onfray non si preoccupa della libertà religiosa, non apre spazi. Per lui la religione è il Male, quindi risponde ad esso assolutizzando un percorso che dalla filosofia atomistica epicurea e materialista passa all’illuminismo e, attraverso Nietzsche (interpretato “da” sinistra), va al positivismo. Scrive: “Né Bibbia né Corano. Ai rabbini, ai preti, agli ayatollah, agli imam e ai mullah, io continuo a preferire il filosofo”. Una dichiarazione che lascia perplessi, in quanto Onfray della filosofia prende ciò che gli serve per sostenere una tesi “a priori”. Coerentemente antirelativista, come tale rifiuta qualsiasi tentazione ermeneutica e conferma, in modo più rozzo, quanto Bertrand Russel, un filosofo simile a Onfray nella critica ai dogmi delle fedi monoteiste ma sicuramente meno riduttivo, evidenziava nell’Aquinate: “Trovare argomenti in sostegno a una conclusione già data in anticipo non è filosofia, ma solo una forma di apologetica”5 .

 

L’eccessivo giudizio di Russel sul massimo filosofo del medioevo, che James Joyce, lo spericolato autore di Ulysses, preferiva all’eversivo Nietzsche, è più adeguato nei confronti di Onfray. C’è da chiedersi di quale filosofo egli stia parlando. Per scandagliare 2600 e passa anni di filosofia, cimentandosi nell’ardua impresa di fare a pezzi Platone per andare oltre all’”ateismo cristiano” è necessario essere un Signor Filosofo, magari il Friedrich Nietzsche che Onfray tanto adora. Ma Onfray non è Nietzsche. Non è neppure Severino o Galimberti, ci piaccia o meno la loro essenza nichilista. Benché non appartenga ideologicamente alla schiera dei seguaci di Marcello Pera, e gli vada riconosciuto il merito di non essere egoista e arido (la creazione dell’Università popolare di Caen, gratuita e aperta a tutti, lo dimostra), egli ha il tono di quei facili divulgatori d’idee mainstream che vengono spacciate per dirompenti sebbene non reggano all’esame rigoroso. Mi riferisco a nomi di successo, ma discutibili, come Oriana Fallaci, Ida Magli o Giordano Bruno Guerri.

Il suo libello si rivela per quello che è: una birichinata con qualche buona informazione storica (sebbene non originale)6, illazioni che talvolta si rivelano false e banali7 e un’interpretazione riduttiva dell’animale uomo che, paradossalmente, può sfiorare solo i fondamentalisti più convinti. Attenersi esclusivamente al materialismo significa ignorare ciò che più di 50.000 anni fa, al di là della tecnica e dell’economia, ha caratterizzato l’ex ominide come Homo Sapiens: la capacità di immaginare. Si chiede l’antropologo Ian Tattersal, a proposito delle magnifiche scene di caccia incise nelle grotte di Combarelles : “ Perché infilarsi in un cunicolo stretto, senz’aria, buio, scomodo e potenzialmente pericoloso, che si addentra nella roccia terminando in un antro cieco dove c’è a malapena lo spazio per rigirarsi? Perché creare un’arte che può essere vista solo affrontando grandi difficoltà?”8  Con lui possiamo chiederci perché quegli stessi uomini seppellissero i loro cari adornandoli di monili e oggetti, tra fiori profumati. Doveva esserci una qualche forma di devozione, un tentativo di rapportarsi con l’inspiegabile e con il Sacro che non possiamo ridurre a stupidità o paura. Ed è ormai assodato che proprio questi comportamenti folli, nient’affatto convenienti, segnano il confine tra la natura e la cultura, facendo dell’uomo quello che è: un essere che non ha soltanto filosofato sulla materia.

 

                                                                                                                   

     



1 250,000 copie vendute in Francia nelle prime due settimane.

2 Rimando, per maggiori chiarimenti, al sopra citato Lévi-Strauss, oppure all’articolo di Massimo Fini “Islam e Occidente, l’eterno conflitto”, su La paura e l’arroganza, Editori Laterza, Bari 2002.

3 Simone Weil, “Lettera a un religioso”, Adelphi, Milano 1996. 

4 Onfray attacca soprattutto i monoteismi, lasciando intendere una maggiore simpatia per l’antico paganesimo. Tuttavia si deduce che:

-          da ateo ritiene qualsiasi propensione al Sacro e al Santo come un cedimento all’illusione;

-          in generale la cultura occidentale dà per scontato, come sentimento religioso, l’adesione ad una delle grandi fedi monoteiste - con tutte le sottostanti derivazioni, eretiche o scismatiche, ma sempre monoteiste. La maggioranza delle persone non si discosta dalla religione monoteista da cui deriva la propria cultura, sebbene non sia ormai indifferente a regole, consuetudini e dogmi. L’Induismo rimane un estetismo esotico, mentre il Buddismo, in quanto “religione senza Dio”, trova consenso ma rimane anch’esso (sempre in Occidente) permeato di sincretismi mondani.

5 Bertrand Russel, Storia della filosofia Occidentale, Mondadori 1987.

6Mi riferisco alle persecuzioni dei pagani da parte dei cristiani, delle quali nemmeno Papa Wojtyla, ha osservato Alain De Benoist, ha chiesto scusa. Oppure dell’intesa tra le gerarchie ecclesiastiche con Hitler, anche segnalate da De Benoist per confutare la vulgata del nazismo come “ideologia pagana”, sebbene sia strumentale affermare che Hitler simpatizzasse per il Gesù che s’indigna contro i mercanti del tempio. In ogni caso, questa simpatia non ha nulla a che vedere con l’essenza del messaggio cristiano. Hitler, con Gesù, non c’entra: di per sé il totalitarismo non è obbligatoriamente pagano o cristiano, bensì il frutto di ideologie prettamente moderne.

7 Onfray si dimostra abbastanza superficiale nello screditare con aneddoti coloro che non gli piacciono. Immancabilmente, a pag. 103, egli riferisce dell’autocastrazione di Origine che “prende Matteo alla lettera”. In realtà si tratta probabilmente di una leggenda. Marco Vannini, ne Il volto del dio nascosto (Mondadori), scrive: “Carattere leggendario ha la notizia per cui si sarebbe evirato: in realtà Origene deplora il fanatismo di chi interpreta alla lettera Mt. 19, 12 (sul farsi eunuchi per il regno dei cieli), e il racconto deve essere nato per sottolineare il suo ascetismo. Eusebio, cui risale la notizia, è incline a trattare Origene, che ammira molto, come un santo, ma non è uno storico troppo attendibile”.

 

8 Ian Tattersal, Il cammino dell’uomo, Garzanti, Milano 1998.