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La crisi del consumo? Un'opportunità per il sistema socio-economico

di Francesco Bevilacqua - 04/02/2009

Si parla tanto di crisi dei consumi, di crescita negativa, di recessione. Ma non si vogliono affrontare realmente le cause di tutto ciò. La realtà è che il modello di "sviluppo" vigente è arrivato al capolinea. Solo ridefinendo gli stili di vita e riscoprendo l'individuo a discapito del consumatore potremo uscire rafforzati da questo momento storico.
Crisi consumi
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Nei periodi di crisi, si sa, molti nodi vengono al pettine. Quale momento migliore, quindi, per analizzare un rapporto controverso e complicato come quello fra il consumatore italiano e i prodotti che acquista?

 

Anzitutto un paio di premesse: uso il termine “consumatore” non solo per adeguarmi al linguaggio che oggi va per la maggiore quando si parla di microeconomia – facendo ciò non intendo certo accodarmi al gregge di fan del consumismo capitalista, voglio solo rendere le mie riflessioni contestualizzabili e intelligibili – ma anche per definire bene una categoria che fa della spersonalizzazione, dell’influenzabilità e della totale mancanza di capacità di scelta critica le sue caratteristiche principali.

In questo senso, “consumatore” rende ottimamente l’idea di una persona che non sceglie un prodotto perché costa meno, perché è più salutare, perché appartiene alla propria tradizione gastronomica; lo sceglie semplicemente perché è indotto a farlo e non può farne a meno.

Consumatore sta a indicare quindi il dente di un ingranaggio del macchinario crudamente definito “produci-consuma-crepa” a cui – nostro malgrado – tutti noi siamo oggi sostanzialmente impossibilitati a sottrarci.

Fatta questa doverosa precisazione semantica, vediamo allora come – grazie alla crisi – possiamo analizzare alcuni dei nodi che caratterizzano il settore della grande distribuzione italiana.

Prima di tutto, una situazione in cui, per cause di forza maggiore, il cliente vede ridotte drasticamente le sue possibilità d’acquisto per il semplice e banalissimo motivo che non ha più soldi, è per definizione dannosa per un sistema che ha fondato la sua fortuna sul consumo sfrenato e sregolato.

Quali sono quindi le conseguenze per i supermercati, luoghi simbolo dell’economia occidentale moderna? Il dato – prevedibile, in verità - che traspare dalle varie analisi è che le vendite sono in netto calo.

 

Salvadanaio
Interessante è una delle possibili cause di questa flessione cui fa riferimento, fra gli altri, Confcommercio Roma: ”Di centri commerciali periferici se ne sono fatti tanti, forse troppi […]. Il che ha comportato una concorrenza spietata a suon di offerte sotto costo, una vera e propria cannibalizzazione dove il rapporto è andato in tilt”; ciò è dovuto alla “mancata programmazione”, come dire che in una sorta di trance consumista i gestori dei supermercati rendevano l’acquisto sempre più allettante attraverso offerte, promozioni e sconti e i consumatori spendevano sempre di più, spesso investendo in acquisti superflui; quando il periodo delle vacche grasse è finito, entrambi – consumatore e venditore – si sono svegliati da questo sogno e sono stati riportati alla dura realtà.

 

Realtà che ha riservato amare sorprese a ciascuna delle due categorie: secondo i dati di Unioncamere, le vendite del settore nel 2008 sono calate dello 0,3% rispetto all’anno precedente, dato che sembra insignificante ma che - se confrontato con la realtà in enorme e costante espansione della grande distribuzione organizzata - rende l’idea di un’improvvisa e imprevista frenata.

L’altra faccia della medaglia è un aumento del 4,8% del costo medio della spesa; il dato – già di per sé preoccupante – assume contorni ancora più allarmanti se scorporato nelle sue diverse voci: pane, pasta, olio e latte sono ai primi posti della graduatoria e l’aumento complessivo per i beni alimentari è del 5,7%.

Dati alla mano, l’accusa di speculazione si può estendere anche a chi occupa posti più a monte nella filiera che – attraverso un’infinita (e spesso inutile) serie di passaggi – porta questi prodotti dal campo allo scaffale del supermercato, quindi alla tavola del consumatore. Coldiretti, ad esempio, rileva come l’aumento del costo nella trasformazione dal grano al pane sia del 1100%, dal grano alla pasta del 1900%, mentre dal latte fresco a quello confezionato del 300%.

 

supermercato
I supermercati e gli ipermercati hanno sempre più sostituito i piccoli negozi e con essi le merci hanno sostituito i beni
In questo scenario dai contorni decisamente cupi, ecco che arriva la BCE a gettare acqua sul fuoco: l’organo di programmazione economica dell’Unione si affretta a imputare a problemi contingenti questo corto circuito del sistema di consumo e ne individua le cause nell’evoluzione tecnologica, nelle questioni legati alla politica energetica e negli imprevisti e imprevedibili cambiamenti climatici.

 

La situazione è però ben diversa: stiamo assistendo a un passaggio certamente epocale, in occasione del quale stanno cominciando a dilatarsi le crepe che sin dalla sua nascita hanno segnato le fondamenta del sistema di crescita capitalistico. Il consumismo – anima del capitalismo – si basa appunto sul concetto di progresso, di crescita sfrenata, di espansione continua e illimitata; tutto ciò a discapito di risorse che hanno una fine – sia essa un limite fisico o un soglia di sopportazione.

Catastrofisti o sostenitori di teorie apocalittiche potrebbero facilmente giocare con le mie parole sentenziando che questa fine è vicina; probabilmente non è così ma, senza scadere nel sensazionalismo di bassa lega, possiamo affermare che è veramente giunto il momento di passare a un atteggiamento differente, responsabile, consapevole, rispettoso verso l’ambiente in cui viviamo – che ci ha generato e nonostante tutto continua a sostentarci - e verso le nostre tradizioni e le nostre identità, un atteggiamento che si basi sulla decrescita e non sulla crescita, sulla semplicità volontaria piuttosto che sul cieco e indiscriminato consumo.

Questo è il messaggio importante e decisivo per il nostro futuro che anche un momento difficile come l’attuale crisi economica può comunicarci.