Che fare dell’impressione dolorosa, dell’amarezza che lascia la visione di un notiziario, o la lettura di un giornale, in uno qualsiasi dei nostri giorni? Come reagisce la personalità alle notizie di continue violenze, alla penosa scelta tra vita medicalizzata e morte procurata, alla crisi che si aggrava, a migliaia di posti di lavoro distrutti, famiglie scivolate dal benessere alla povertà? Come sottrarsi alla depressione, alla perdita di speranza? Eppure è possibile, anzi necessario.
La comunicazione di massa ci mette a contatto, in modo a volte prepotente, col dolore attorno a noi. Questo ci tocca profondamente. Il problema diventa allora: come fare in modo che questa immersione continua nelle passioni collettive, anche tristi, diventi una risorsa per la personalità, anziché una perdita di energia? Come partecipare ai dolori collettivi senza venirne travolti? Innanzitutto è necessario non fuggire, non assumere un atteggiamento riduttivo, di superiore indifferenza.

Le grandi passioni collettive ci immergono in un fiume di energia di cui non dobbiamo avere paura. Occorre però imparare a nuotarci in mezzo. Internet, la grande rete di informazioni, contatti e scambi globali, è per questo uno straordinario esempio e palestra. Rifiutarla equivale, spesso, ad uscire dal mondo. Dobbiamo però imparare a non annegarci dentro. Per questo è necessario, come facevano i naviganti una volta (ma i più furbi anche adesso), fabbricarci un personale «portolano», un elenco dettagliato dei porti, dei siti, delle loro particolarità, caratteristiche, opportunità e disagi.
Lo stesso occorre fare quando entriamo in contatto con gli altri media e strumenti di informazione. Paradossalmente insomma, la comunicazione di massa richiede, per essere bene utilizzata, strumenti di orientamento-navigazione estremamente personalizzati e individuali. Il rischio principale infatti dinanzi al diluvio informativo (l’overdose delle informazioni), e alla sua intensità emotiva, è appunto quello di venirne travolti, di annegare.
In particolare, dinanzi alle notizie dolorose, e alle sofferenze collettive (e quindi più forti) che esse provocano, il pericolo è quello della depressione, nella quale non si punta più sul futuro perché ogni energia è stata bruciata dallo choc, o dalla tristezza. Anche a questo serve il portolano personale, la guida da mettere a punto perché siano il nostro io, coscienza, mente ed affettività ad utilizzare il sistema delle comunicazioni, e non viceversa.
Una volta costruito questo filtro personale, questo individuale diario di bordo, la navigazione nella realtà cui comunque apparteniamo, e nelle sue contraddizioni e sofferenze non diventerà certo improvvisamente allegra, ma non sarà più distruttiva. Non rischieremo più di essere oggetti passivi di emozioni, se non fabbricate, certamente dilatate e manipolate altrove, ma saremo persone attivamente ed individualmente impegnate nel grande laboratorio collettivo in cui prende forma la vita sociale, quella delle masse umane, ed anche la nostra. Scopriremo allora meglio che di fronte alla follia, alla difficoltà, all’impotenza, alla crudeltà, oltre e dopo venire travolti dall’emozione, possiamo reagire, intraprendere iniziative, comprendere, opporci, spesso crescere.
Vedremo, usando attivamente il nostro personale «portolano», che attorno a noi, molti pensano le stesse cose, sentono nello stesso modo, ed agiscono, fanno programmi.
Se c’è un io che lo guarda, con la sua mappa della realtà a portata di mano, il dolore e la rabbia del mondo ci danno allora anche forza. Consentendoci di sperare, e progettare.