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I dannati di Kolyma

di Sergio Romano - 04/03/2009

Ho letto con interesse il volume edito dalla Fondazione Corriere della Sera intitolato «I nostri inviati». Nel testo sono riportati alcuni articoli di Vittorio Beonio Brocchieri, pubblicati nel 1934, intitolati «Sosta in terra sovietica».
L'autore ha visitato e descritto nientemeno che i gulag delle famigerate miniere d'oro di Kolyma nell'estrema Siberia, raccontandone gli orrori (vita media dei minatori: pochi mesi). Mi chiedo come mai sia stata consentita tale visita a un giornalista straniero, per di più proveniente da uno Stato fascista. Quegli articoli hanno anticipato di numerosi anni quanto descritto da Solzenicyn.


Giovanni Carpi


Caro Carpi,
Per i lettori che non lo conoscono conviene ricordare che Vittorio Beonio Brocchieri fu per alcuni decenni uno dei personaggi più singolari della cultura italiana. Pilotava il suo aereo, amava i viaggi esotici, era coraggioso, aveva una insaziabile curiosità e sapeva trasportare il lettore nel mondo delle sue esperienze umane e geografiche. Ma fu anche docente dell'Università di Pavia, dove insegnò storia delle dottrine politiche, e autore di trattati storico-filosofici che i suoi colleghi guardavano dall'alto in basso definendoli affrettati e superficiali. I suoi rapporti con il Corriere cominciarono nel 1927, ma il suo debutto nel giornalismo di viaggi e avventure risale al 1930 quando accompagnò una spedizione norvegese lungo le coste orientali della Groenlandia e ottenne da Aldo Borelli, direttore del giornale, un generoso contratto: tremila lire (oggi più o meno cinquemila euro) per ogni articolo. Ancora più generoso fu il contratto che riuscì a stipulare nel 1934 quando il governo sovietico gli permise di volare con un aereo militare prestato dall'aeronautica italiana attraverso il grande spazio russo da Odessa all'Asia siberiana.
Nel libro della Fondazione Corriere della Sera, Lorenzo Cremonesi, da cui ho tratto queste informazioni, scrive che Beonio Brocchieri chiese 100 mila lire per 30 articoli e che Borelli, dopo avere contrattato, gliene dette 91.500.
Fra gli articoli pubblicati dal Corriere nei mesi seguenti vi è per l'appunto quello sul lavoro coatto nelle miniere d'oro di Kolyma. Beonio Brocchieri scrisse che i lavoratori erano circa 40 mila, «quasi tutti gente di trapianto, esiliati politici imputati di sabotaggio contro il regime sovietico, e una grande quantità di kulaki (si chiamavano così i contadini che lavoravano individualmente un appezzamento di terra)». Dai loro racconti apprese che erano stati «scaraventati fuori di casa», incolonnati sotto la sorveglianza di guardie a cavallo e avviati verso la Siberia. Non vivevano in un campo trincerato, ma in casupole sparse nella natura e dipendevano interamente per la loro sopravvivenza da rifornimenti che provenivano da regioni lontane. Si raccontava ancora, fra i detenuti, la storia di quel contingente di farina che era andato perduto durante la carestia del 1932, quando tutti i treni trasportavano armi verso le regioni minacciate dai giapponesi.
Alla sua domanda sulle ragioni per cui i sovietici permisero a Beonio Brocchieri un viaggio così compromettente, la risposta è: Hitler. Il suo avvento al potere nel gennaio del 1933 e il tentato colpo di Stato delle formazioni naziste a Vienna l'anno successivo avevano preoccupato, anche se in diversa misura, la Francia, l'Italia, la Gran Bretagna e la Russia sovietica. La Francia e l'Italia accantonarono i motivi del loro disaccordo. Mussolini presiedette a Stresa una conferenza italo-franco-britannica in cui si parlò dei nuovi equilibri europei. E la Russia sovietica uscì dal suo isolamento dichiarandosi pronta a entrare nella Società delle Nazioni e a firmare patti di amicizia, neutralità e non aggressione con parecchi Paesi europei. Fra questi patti vi fu quello italo-sovietico che Mussolini firmò a Roma con l'ambasciatore dell'Urss il 2 settembre 1933. Il viaggio di Beonio Brocchieri ebbe luogo quindi in un clima di amicizia e cooperazione che non fu intaccato neppure dalla guerra di Etiopia. Si racconta che l'ambasciatore d'Italia a Mosca, dopo la conquista di Addis Abeba, abbia invitato alcuni generali sovietici alla proiezione di un documentario sulle operazioni militari italiane in Africa Orientale. Fra quei generali vi era il grande Tuchacevskij, eroe della guerra rivoluzionaria, che dichiarò la sua ammirazione e pregò l'ambasciatore di trasmettere i suoi complimenti al capo di stato maggiore italiano. Di lì a qualche mese la guerra di Spagna avrebbe incrinato l'amicizia italo-sovietica e Tuchacevskij sarebbe finito nel vortice delle purghe staliniane.