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Biotech e altri Golem

di Fabrizio Mastrofini - 17/03/2006

Fonte: Avvenire

 

«La tecnologia ha creato il mito dell'uomo prodotto in laboratorio. Ma lo ha privato dell'identità»

 

Quale identità del cristiano nel contesto della globalizzazione e della rivoluzione biotecnologica? Nasce per rispondere a questa domanda il nuovo libro del teologo Ignazio Sanna, pro-rettore della Pontificia Università Lateranense, membro della Commissione Teologica Internazionale, Ordinario di Antropologia Teologica alla Lateranense, ed assistente nazionale del Movimento ecclesiale di impegno culturale (Meic). Il volume s'intitola L'identità aperta. Il cristiano e la questione antropologica (Queriniana, pagine 456, euro 28).
Lei sottolinea che la "questione delle questioni" è quella antropologica. In che senso?
«La mentalità tecno-efficientista, determinata dalla rivoluzione biologica, considera l'uomo non più come una creatura di Dio ma come un prodotto della biotecnologia. In modo particolare, con l'avvento della rivoluzione biologica che ha prodotto una sorta di illuminismo naturalistico, si può dire che mentre la prima rivoluzione scientifica e tecnologica dell'era moderna ha cambiato la natura intorno all'uomo, la rivoluzione biologica ha dischiuso la possibilità di modificare la stessa natura dell'uomo».
Quale tipo di uomo e di umanità vengono presentati oggi, in opposizione alla visione cristiana?
«Nel mio volume ho messo in chiaro che, per un verso, l'affermarsi della logica del mercato ha mercificato tutti i rapporti sociali e anche la stessa natura dell'uomo. La logica mercantile ha contribuito ad annullare la fondamentale "differenza antropologica", che è alla base della verità cristiana per cui l'uomo è "l'unica creatura che Dio ha voluto per se stessa". La logica del mercato, perseguita dalla razionalità strumentale, ha promosso l'antropologia dell'avere, che è alla base dell'uomo degli affari, ed ha penalizzato l'antropologia dell'essere, che è alla base dell'uomo dei principi. Per l'altro verso, in una società della dittatura dei geni, nella quale il riduzionismo scientista è diventato riduzionismo antropologico, e le tecnologie della vita hanno cambiato il significato degli eventi naturali dell'esistenza, l'uomo viene considerato sempre più frequentemente come una riserva d'organi, un essere modulare che può essere smontato e rimontato».
Parlare di "identità" vuol dire contrapporsi alla cultura contemporanea?
«La mia riflessione non ha niente da spartire con una specie di sindrome di autodifesa della propria identità religiosa. Questa sindrome oggi esiste ed è provocata dal processo di modernizzazione delle società tradizionali, che restringe progressivamente la capacità d'influenza del fatto religioso nella configurazione dell'esistenza; e dall'affermarsi di molteplici forme di pluralismo che provocano confronto, antagonismo, composizione e decomposizione delle differenti identità religiose».
In che modo allora si può affermare l'identità cristiana senza sfociare nel fondamentalismo?
«La religione cristiana, in se stessa, non è e non deve essere identitaria. Quando essa lo è si espone al rischio di diventare conflittuale e sorgente di competizione. Ovviamente, non parlo dell'identità ecclesiologica della Chiesa cattolica, ribadita e precisata dalla dichiarazione Dominus Jesus del 6 agosto 2000. Non parlo neppure dell'identità socio-culturale del mondo cristiano, che ha dato un volto a tante nazioni e a tante civiltà. Quando parlo di identità nell'ambito della religione cristiana, preciso che questa è anzitutto una persona, è il discepolato di una persona. Il cristianesimo prima e oltre che una tradizione culturale ed un insieme di verità e dogmi, è una persona, è Gesù Cristo. S. Agostino ha scritto che ciò che c'è di cristiano nei cristiani è Cristo».
C'è una responsabilità anche del cristianesimo nel venir meno della sua identità?
«Di sicuro, una certa morale del decalogo, considerata in se stessa e da sola, ha livellato la Chiesa ad altre agenzie sociali che promuovono valori di filantropia e di solidarietà. Bisogna avere il coraggio di non dare risposte ma di coltivare domande, di ed ucare ad avere idee proprie e non risposte alle idee degli altri, di proprorre idee che costano per quello che valgono e non per quello che rendono».
C'è un percorso specifico che la comunità cristiana può compiere a difesa dell'identità?
«Giovanni Paolo II ha spesso ribadito che la rinnovata coscienza missionaria chiama oggi più che mai ad essere testimoni credibili dell'umanesimo cristiano. L'opera della comunità cristiana dovrà permettere all'uomo di rivalutarsi come espressione di un mistero vivente, e di non sostituire l'etica della sacralità della vita con quella della qualità della medesima. Su questo programma i cristiani possono trovare comunione di ideali e convergenza di testimonianza».