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Il G8, gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo e la cooperazione internazionale

di Matteo Pistilli - 07/07/2009

 
 




Il G8 che si terrà in questi primi giorni di luglio nell’Abruzzo del dopo terremoto, ci offre la possibilità di analizzare la campagna mediatica dedicata ai “grandi” riuniti e più realisticamente alle popolazioni spettatrici, riguardo a questioni di respiro mondiale.

In questo G8 “italiano”, la tematica principale toccata dai mass media riguarda gli aiuti ai paesi poveri; ovviamente, come al solito, bisogna considerare la questione senza cadere nella futile propaganda, che per esempio, attraverso le parole di un cantante “globale” come Bob Geldof, accusa il governo Berlusconi di non stanziare abbastanza fondi per gli aiuti alla cooperazione; in realtà, le cose non sono così semplici.

Tanto per cominciare lo stanziamento dei fondi per la cooperazione è stato costante, in Italia come altrove, a prescindere da quale governo sia stato alle redini del paese: governi di centro-destra, centro-sinistra, cosiddetti governi tecnici, nulla hanno fatto segnalare riguardo cambiamenti di rotta nella cooperazione. Quindi prendere la questione dal lato propagandistico comporta soltanto lo sviare l’attenzione dal fatto che l’approccio alla cooperazione è stato comune in tutto il mondo industrializzato; anzi per la verità, nel 1997 i flussi dell’assistenza allo sviluppo hanno raggiunto il minimo storico e soltanto 5 paesi hanno rispettato in questi ultimi dieci anni l’impegno di destinare lo 0,7 % del reddito nazionale lordo agli aiuti: la cosa interessante è che tutti questi paesi sono europei ed è infatti unanimemente riconosciuto che è proprio l’Unione Europea ad essersi più di ogni altro impegnata in questo settore. Chi oggi critica i governi prendendo spunto dalle parole di Obama o del governo inglese, dovrebbe tener presente che questi ultimi, interessati come sono a mantenere la supremazia economica e politica sia verso il “terzo mondo” sia verso la stessa Europa, alla quale fanno fare scelte economiche e politiche che la tengono a freno, si sono sempre ben guardati dal fare qualcosa di concreto (anche a livello ambientale, vedi il protocollo di Kyoto non firmato dagli Usa appunto per non perdere la supremazia economica).

Ma la questione centrale non è quella che riguarda la quantità dell’importo degli aiuti (che come abbiamo notato è di gran lunga migliore in Europa), bensì della sua qualità; dopo decenni di “aiuti” allo sviluppo sempre maggiori, le disparità fra primo e “terzo mondo” si sono costantemente incrementate. Questo significa che non basta e non è assolutamente attinente agli obiettivi il maggiore o minore stanziamento economico, ma l’importante è il tipo di logica e di prassi che è dietro lo stanziamento.

In questo senso è importante rendersi conto che le su citate campagne di sensibilizzazione, altro non fanno che riproporre gli schemi della cooperazione fallimentare sin qui effettuata, cosa confermata dalle parole dei soliti paladini della cooperazione Bono Vox e Bob Geldof che ora elogiano Obama (Usa) , Brown (Inghilterra) e la filo-americana Merkel (Germania); senza nemmeno voler commentare il significato di una campagna di questa importanza affidata a cantanti che impersonano con la loro figura la più vera e brutale globalizzazione culturale, è comunque evidente che questioni così presentate, solleticanti il senso di carità e null’altro, a niente servono se non a permettere i soliti aiuti “vincolati”, cioè aiuti dati in cambio della sottomissione alla propria causa.

Una cooperazione efficace, ormai lo si riconosce da più parti, deve abbandonare questi classici schemi post-coloniali e post-imperialisti e deve essere ripensata in modo che davvero possa dare dei risultati. Bisogna puntare su una cooperazione per così dire “regionale”, che non passi attraverso gli imperativi globalizzatori controllati dalla potenze globali anglo-americane, che quindi non risponda alle logiche di un villaggio globale pensato ad immagine e somiglianza del mondo “occidentalizzato”. Soltanto in questo modo gli Stati potrebbero mantenere la propria sovranità (senza doverla sacrificare sull’altare degli aiuti) e, cooperando con altri paesi con cui condivide interessi geopolitici e geoeconomici, riuscire a migliorare le condizioni di vita dei propri cittadini.

Purtroppo dobbiamo segnalare che le grandi istituzioni mondiali, mal vedono organizzazioni del genere, pensiamo all’ALBA sud americana, che vuol migliorare le condizioni dell’America Latina senza doversi piegare ai diktat nordamericani; o pensiamo alle critiche ricevute dall’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai (che riunisce Cina, Russia, Repubbliche centro asiatiche e dialoga, per esempio, con l’Iran), in quanto considerata antagonista alla coalizione protetta dalla NATO. Soprattutto dopo la fine della guerra fredda, e quindi nel lasso di tempo in cui vi era stata l’illusione del governo mondiale targato Usa, unica superpotenza rimasta, vi è stato il rilancio invece di una cooperazione allo sviluppo indirizzata al raggiungimento degli interessi del polo egemone; ed in questo senso va ripensato o comunque definito il concetto di sviluppo, che oggi nasconde la salvaguardia dello status quo internazionale; paesi come per esempio l’Iran, per citare una zona calda, che negli ultimi anni ha migliorato considerevolmente la vita a milioni di persiani, riguardo salute, aspettative di vita, malattie, opportunità per le donne e bambini, non solo non viene citato ad esempio, ma è viene minacciato di guerra e viene sottoposto a sanzioni, questo a testimonianza di come sia fallace il concetto di “sviluppo” e di come sia legato all’appartenenza alla coalizione capeggiata dagli Usa.

Ma oltre l’approfondimento e il chiarimento del concetto di sviluppo, che bisognerà comunque affrontare decisamente, una lampante dimostrazione di come campagne di sensibilizzazione legate ai grandi mass media globali e decisioni delle istituzioni “multilaterali” ancora oggi sotto tutela americana siano legate e non si distinguono nel significato, può essere visto nelle contestazioni, nazionali e internazionali, che hanno investito il governo italiano, al momento degli accordi conclusi con la Libia di Gheddafi.

La questione è davvero incredibile: Gheddafi è il Presidente dell’Unione Africana (UA) che raccoglie praticamente tutti i paesi del continente (tranne il Marocco) ed ha come obiettivi, per semplificare, tutti quei principi che possono migliorare la vita dei cittadini africani e che sono gli stessi che troviamo alla base del concetto di cooperazione. Allora come mai, un accordo fatto direttamente con uno dei più alti rappresentanti degli africani viene contestato, e poi invece si richiedono aiuti e sforzi maggiori? Ovviamente è ormai chiaro che, accordi di tipo regionale, come quello che lega l’Italia e la Libia, grandi Stati del Mediterraneo, mettendo neanche in secondo piano, ma facendo in un certo qual modo concorrenza ai grandi canali globali della cooperazione “mondialista” non sono visti di buon grado dal polo anglosassone. Ed invece è proprio attraverso quelle modalità, come attraverso una cooperazione sud-sud, che sarà possibile fare qualcosa di concreto per le grandi masse che oggi vivono in estrema povertà; e questo sarà tanto più possibile quanto non comporterà intromissioni nella sovranità e nella cultura di queste vaste aree del pianeta. La situazione geopolitica mondiale, oggi fluida come mai, indirizzata verso un futuro multipolarismo grazie alla crescita di alcuni grandi Paesi in via di sviluppo, e del ritorno sulla scena di grandi potenze, toglieranno l’egemonia al polo statunitense, rendendo possibile un nuovo approccio alla cooperazione internazionale.