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Torna ad infiammarsi lo Xinjiang: ribellione islamica nel Turkestan

di Fabrizio Legger - 08/07/2009

 

E i tibetani continuano a ribellarsi anche nel Sichuan 

La nuova ribellione degli uyghuri, i musulmani cinesi di origine turca, detti anche dungani, si è verificata proprio durante la visita in Italia del presidente cinese Hu Jintao. Una ribellione che covava da tempo sotto la cenere, in quanto gli uyghuri sono trattati da cittadini di serie C, hanno pochi diritti e tanti doveri. Inoltre, in quanto islamici, sono sempre accusati di sostenere il terrorismo fondamentalista. Così, ogni occasione per insorgere contro il regime comunista di Pechino è più che buona. L’uccisione di due uyghuri da parte della polizia cinese ha scatenato la rivolta. Masse di giovani sono scese in strada nella capitale dello Xinjiang, la città di Urumqi, e hanno devastato negozi cinesi, caserme della polizia, sedi del Partito Comunista Cinese. Le truppe antisommossa sono intervenute brutalmente, sparando ad altezza d’uomo: risultato, oltre 150 morti tra i manifestanti (ma fonti non governative parlano addirittura di oltre un migliaio di morti). Indubbiamente, tra i rivoltosi c’erano anche militanti del Fronte di Liberazione Islamico del Turkestan, un movimento fondamentalista islamico che da decenni lotta contro il regime di Pechino, i quali hanno sfruttato i sentimenti anticinesi della popolazione islamica, ma si è trattato più di una rivolta popolare che non di un’azione coordinata da elementi della guerriglia islamica dungana. In ogni caso, lo Xinjiang, per Pechino, è una pentola in costante ebollizione: finché il regime comunista continuerà ad essere così duro nei confronti delle etnie turcofone che lo abitano, le sommosse resteranno un pericolo sempre incombente. Il capo di Stato cinese, durante il soggiorno a  Roma, parlando con Berlusconi e Napolitano, ha dichiarato che la Cina è una paese che fa del progresso e dello sviluppo i cardini principali della sua politica. Ma si è dimenticato di dire che progresso e sviluppo sono solo per gli Han, cioè l’etnia maggioritaria in Cina, mentre per le altre etnie, tra cui gli Uyghur e i Tibetani, ci sono solo politiche di oppressione e di sfruttamento. E anche dalla provincia del Sichuan giungono notizie di nuove ribellioni di giovani nazionalisti tibetani, ribellioni che le truppe cinesi stanno reprimendo nel sangue. Dunque, una situazione davvero complicata e pericolosa. Il Turkestan orientale, ovvero lo Xinjiang, fu conquistato dalle armate cinesi sul finire del XVIII secolo ed è impensabile che Pechino gli riconceda l’indipendenza, così come è impossibile che il Tibet torni ad essere indipendente. Ma se il regime cinese non vuole dissanguarsi nel reprime le continue rivolte degli Uyghur e dei Tibetani deve impegnarsi a fondo nel rispetto della loro cultura, della loro lingua e delle loro tradizioni, concedendo a queste due province una vera autonomia e smettendola di trapiantare coloni cinesi han nelle campagne turchestane e tibetane. Altrimenti, dovrà continuare a fronteggiare la guerriglia islamica uyghura e forse, ben presto, anche una guerriglia nazionalista tibetana. E un paese in vistosa crescita economica, come è la Repubblica Popolare Cinese, non può permettersi di rimanere invischiato in conflitti etnici che potrebbero minare dal suo interno la sua stessa unità.  Il presidente Napolitano ha detto bene quando ha ricordato a Hu Jintao che uno dei cardini dell’amicizia italo-cinese deve essere quello del rispetto dei diritti umani delle minoranze, cosa che tuttora il regime comunista di Pechino non sta facendo. Intanto, lo Xinjiang continua a bruciare di fuochi di rivolta e i legami dei ribelli islamici dungani con Al Qaèda e con i talebani afghani e pachistani si vanno facendo ogni giorno più saldi. Forse, è ora che i governanti cinesi affrontino i problemi delle minoranze etniche puntando tutto sulle trattative e mettendo definitivamente da parte la repressione militare. Se la Cina davvero vuole progresso e sviluppo, questi non possono svilupparsi sul sangue delle minoranze che Pechino continua a ritenere cittadini cinesi di serie C!