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Cina, infuria la rivolta degli uiguri

di Federico Rampini - 08/07/2009


Nelle retate di massa del governo sarebbero scomparse più di 1.500 persone

La regione dello Xinjiang è in fiamme. E il presidente cinese Hu Jintao decide all´improvviso di tornare a Pechino, abbandonando i lavori del G8 proprio alla vigilia dell´apertura. Hu Jintao è decollato nella notte dall´aeroporto di Pisa lasciando in Italia solo una delegazione di diplomatici. «Gli affari interni e la situazione nello Xinjiang hanno fatto partire in anticipo il presidente» ha spiegato il primo consigliere politico dell´ambasciata cinese in Italia, Tang Heng.
Dopo la strage compiuta dalle forze dell´ordine, con i 156 morti di domenica, ieri nella provincia dello Xinjiang è scattata la "caccia al musulmano". Per vendicarsi contro gli attacchi degli uiguri - la popolazione locale di religione islamica - centinaia di cinesi etnici (gli han) sono scesi in piazza armati di bastoni e machete. A Urumqi, il "ghetto islamico" dove il ceppo originario della popolazione turcomanna ora in stato di assedio, i protagonisti della spedizione punitiva sono stati a stento trattenuti dalla polizia. La rabbiosa manifestazione ha dato un assaggio di quel che potrebbe accadere se lo Xinjiang si trasformasse in un campo di battaglia tra le due etnie. I cinesi marciavano cantando l´inno nazionale, un´esibizione di orgoglio raramente così visibile nelle provincie periferiche, dove la supremazia cinese è già ben rappresentata dall´autorità politica. Per riprendere il controllo di Urumqi il governo locale ha decretato il coprifuoco, ogni giorno dalle 9 di sera alle 8 del mattino. In precedenza duecento donne uigure erano scese in strada per chiedere notizie dei congiunti, arrestati dopo i moti di domenica. Nelle retate sarebbero scomparse più di 1.500 persone.
È un salto di pericolosità la manifestazione di ieri, quelle centinaia di cinesi decisi a farsi giustizia. Una mobilitazione che può degenerare in la guerra civile. A Urumqi i rapporti numerici sono già in favore degli han. Grazie alla massiccia immigrazione degli ultimi anni ormai l´etnìa turcomanna è solo il 30% nella capitale provinciale (2,5 milioni di abitanti). È proprio questa una causa dell´esasperazione degli uiguri. Attraverso l´immigrazione la Repubblica Popolare li diluisce fino a emarginarli. Una "provincia autonoma" che per Pechino ha valore strategico. Lo Xinjiang è grande 5 volte l´Italia. Nel sottosuolo è custodito un quarto del gas e petrolio cinese, il 40% di tutto il carbone.
Colpisce la differenza con quanto accaduto in Tibet nel marzo del 2008. Dopo quella rivolta anti-cinese gli han di Lhasa non scesero in piazza, a riprendere il controllo della città furono i corpi paramilitari. La reazione degli han a Urumqi ha diverse spiegazioni: il carattere ancorapiù radicale della contrapposizione con i musulmani, che non hanno un leader pacifista come il Dalai Lama; la superiorità numerica ancora più schiacciante degli han a Urumqi. Anche il governo di Pechino ha svolto un ruolo, conl´uso delle immagini della rivolta da parte dei mass media. L´anno scorso sui moti di Lhasa all´inizio ci fu imbarazzo, solo lentamente filtrarono notizie sulle morti di alcuni cinesi. A Urumqi invece la tv di Stato ha diffuso subito immagini terribili,di cinesi coperti di sangue, alimentando la sete di vendetta.
In tutto lo Xinjiang cinesi e musulmani vivono in mondi a tenuta stagna. L´apartheid è visibile nella geografia dei quartieri: i centri sono islamici, le periferie moderne sono cinesi. Le comunità convivono fra diffidenze reciproche, razzismi, diseguaglianze socio-economiche stridenti. Il governo di Pechino nega perfino che il separatismo abbia un fondamento storico. Secondo la storia raccontata dai cinesi, l´imperatore Wudi spinse il suo dominio sulla regione già nel secondo secolo prima di Cristo, per le spedizioni lungo la Via della Seta verso i regni di Samarcanda e Bucchara, l´India e la Persia. In realtà lo Xinjiang - che gli uiguri continuano a chiamare Turkestan orientale - ha alternato secoli di indipendenza sotto khanati buddisti o islamici, periodi di sottomissione ai mongoli o al Tibet, all´impero ottomano o alla Cina. L´ultima indipendenza, goduta a sprazzi negli anni Trenta e Quaranta, fu conquistata da un movimento pan-turco. Dopo l´annessione alla Cina le turbolenze sono state costanti. Nel 1986 lo Xinjiang fu il teatro della prima e unica protesta anti-nucleare della Cina, una manifestazione contro i test delle bombe atomiche nel deserto di Lop Nor. L´anno scorso diversi attentati sono avvenuti poco prima delle Olimpiadi. Rebiya Kadeer, nota imprenditrice locale, vive da esule politica negli Stati Uniti ed è la portavoce più celebre della causa degli uiguri. La metà dei detenuti nei campi di lavoro dello Xinjiang, denuncia la Kadeer, sono stati condannati per le loro pratiche religiose.
Il governo sperimenta da anni nello Xinjiang la stessa "cura" del Tibet: diluire l´identità locale portando modernizzazione, ricchezze e tecnologie. Lo sviluppo è ben visibile nella parte moderna di Urumqi, i suoi frutti però arrivano solo in parte ai musulmani. «Per gli uiguri mancano le abitazioni - dice la Kadeer - mentre continuano a entrare immigranti dal resto della Cina». I lavori più qualificati finiscono ai giovani tecnici affluiti dal resto della Cina. È stata costruita una nuova linea ferroviaria per favorire l´immigrazione. Per gli han che accettano di trasferirsi, la vasta regione semidesertica ai confini dell´Asia centrale fino a ieri è stata la Nuova Frontiera del boom.